Cass. civ., sez. III, sentenza 06/07/2009, n. 15797
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Con riguardo ad un mandato "in rem propriam" che integri una cessione di credito con funzione solutoria, ancorché sia seguito dal fallimento del creditore cedente, l'effetto sostanziale dell'avvenuta cessione, che fa uscire il credito dal patrimonio del fallito prima della dichiarazione di fallimento (salva l'esperibilità della revocatoria fallimentare), non solo preclude l'applicazione dell'art. 78 legge fall., ma neppure legittima gli organi della curatela alla revoca del mandato per giusta causa, ai sensi del secondo comma dell'art. 1723 cod. civ.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. F C - Presidente -
Dott. F G - Consigliere -
Dott. U F - rel. Consigliere -
Dott. T A - Consigliere -
Dott. F R - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FERPAN SRL *015235741212*, IBA MAIERBIT SRL *058980634*, in persona del legale rappresentante pro tempore sig. \IERVOLINO PASQUALE\ *05898080634*, SIDA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore sig. \MANCINI Michele\ *01412931212*, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 71, presso lo studio dell'avvocato M L, rappresentati e difesi dagli avvocati IODICE GIOVANNI, VITOBELLO EMANUELE giusta delega a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
FIME FACTORING SPA, in persona del Liquidatore Prof. Avv. \D'ALESSANDRO Floriano\, legale rapp.te pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIETRO MASCAGNI 7, presso lo studio dell'avvocato F F, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato C A giusta delega in calce al controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 2656/2002 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, Sezione Seconda Civile, emessa il 28/04/2004, il depositata il 27/05/2004;R.G.N. 2656/02. udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/05/2009 dal Consigliere Dott. FULVIO UCCELLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RIELLO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso o la inammissibilità.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza del 22 gennaio 2002, emessa a seguito di giudizi di opposizione a decreti ingiuntivi richiesti ed ottenuti dalla Fime factoring, e proposte da Ferpan, Sida e Iba Maierbit, il Tribunale di Napoli:
a) dichiarava l'inefficacia del decreto ingiuntivo notificato alla IBA Maierbit;
b) rigettava le eccezioni di inesistenza originaria dei crediti;
c) accoglieva per quanto di ragione;
1) le domande della Fime contro la IBa Maierbit;
la opposizione della Sida;
d) dichiarava che le obbligazioni della IBA Maierbit e della SIDa erano solidali;
e) rigettava le opposizione della Maierbit AV, della IR.Bit, della Ferpan e le riconvenzionali delle opponenti.
2. - In punto di fatto la Fime aveva stipulato con la Maierbit Italia un contratto di factoring nell'ambito del quale furono effettuate cessioni pro solvendo dei crediti vantati da essa Maierbit nei confronti delle società poi divenute opponenti.
In virtù di tale contratto la Fime anticipò alla Maierbit la somma complessiva di L. 2.749.541.032 a fronte di numerose cessioni pro solvendo, aventi quali debitori ceduti, anche altri debitori diversi dalla predette società.
La Maierbit Italia venne poi dichiarata fallita e la Fime rimase creditrice della suddetta somma.
Stante la morosità delle debitrici cedute la Fime richiese ed ottenne i decreti ingiuntivi in ordine ai singoli crediti vantati, di cui, per quanto concerne la Iba Maierbit e la Ir.Bit., alla dichiarazione di debito sottoscritta dalla prima società l'8 luglio 1993 e dalla seconda nella stessa data.
Contro la sentenza in epigrafe indicata proponevano appello solo la Ferpan, la Iba Maierbit e la Sida, non la Maierbit Av e la Ir.Bit.. La Corte di appello di Napoli con sentenza 25 febbraio 2005 in parte rigettava ed in parte dichiarava inammissibile l'appello. Insorgono contro questa decisione le appellanti con tre motivi. Resiste con controricorso la Fime.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. - Con il primo motivo (violazione degli artt. 1203, 1267 e 1249 c.c., nonché dell'art. 115 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) le ricorrenti lamentano che il giudice di appello non
avrebbe applicato la disciplina codicistica sulla estinzione delle obbligazioni nella parte in cui essa regola la modificazione nel lato passivo delle stesse.
Il motivo proposto in appello doveva essere collocato nell'alveo del rapporto di cessione esistente a monte ed intervenuto tra Maierbit e Fime, stante anche l'intervenuta attività di factoring. Il motivo è inammissibile sotto il profilo dell'art. 360 c.p.c., n.3, perché con esso in sostanza si contesta al giudice del merito non
di avere errato nella individuazione della norma regolatrice della controversia, ma di avere erroneamente ravvisato nella situazione di fatto in concreto accertata la ricorrenza degli elementi costitutivi della fattispecie normativamente regolata.
Siffatta valutazione comporta non già un giudizio di diritto, ma un giudizio di fatto da inquadrarsi sotto il profilo del vizio di motivazione (Giur. costante: Cass. n. 10385/05). 2.- Ritenuto, quindi, ammissibile il motivo sotto il profilo di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5 osserva il Collegio quanto segue. Di vero, la deduzione di tale vizio conferisce a questa Corte non il potere di riesaminare nel merito la intera vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di motivare il proprio convincimento sulla base delle prove assunte, sulla loro valutazione e scegliere tra le complesse risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. n. 11789/05). Nel caso in esame, si tratta di cessioni di credito pro solvendo avvenute tra la Maierbit e Fime, per crediti vantati dalla Maierbit con Ferpan ed altre società.
Deducono le ricorrenti che la Maierbit Italia con il versamento di L. 340.000.000 intese adempiere ex art. 1267 c.c. alla propria obbligazione di manleva nei confronti della Fime factoring, con ciò surrogandosi ex lege nel diritto di credito sorto in capo alla Fime nei confronti delle debitrici cedute, trattandosi di situazione analoga a quella prevista per il pagamento del debito da parte del fideiussore ex art. 1949 c.c. e sicuramente ricadente nel disposto dell'art. 1203 c.c. (p. 8 ricorso). La somma venne imputata espressamente agli insoluti con scadenza 18 dicembre 1992 (p. 13 sentenza impugnata).
In sostanza, le ricorrenti sostengono che, sia al momento del debito e dell'accollo sia al momento della procedura monitoria, la Fime non fosse più titolare dei crediti ceduti nei loro confronti. Il giudice dell'appello, ritenendo il contrario, non avrebbe tenuto conto della deposizione del teste \Ambrosio\, già legale rappresentante della Fime, secondo il quale teste la Fime a fronte dei debiti ceduti poteva agire direttamente nei confronti di questi e far valere la garanzia di insolvenza prestata dal cedente limitatamente alla esposizione finanziaria verso lo stesso (p. 8 e 9 ricorso).
Osserva la Corte che il motivo non può essere accolto per le ragioni che seguono.
2.1.- Al riguardo va precisato che ci si trova dinanzi ad un contratto di factoring, notoriamente contratto atipico, attuato mediante la cessione pro solvendo - come in questo caso - o pro soluto della titolarità dei crediti di un imprenditore derivanti dall'esercizio della sua impresa ad altro imprenditore (il factor, nel caso la Fime), con effetto traslativo al momento dello scambio dei consensi tra i medesimi.
Questo effetto si verifica indipendentemente dalla volontà del debitore ceduto (Cass. n. 1510/01): il che conferma che, una volta stipulato il contratto di factoring con il suo contenuto, il trasferimento del diritto va in capo al cessionario e il cedente ne perde la disponibilità.
2.2.- In sostanza il factoring con il contenuto che si rinviene, come si legge nella sentenza impugnata e che non sembra oggetto sul punto di contestazione tra le parti, si conforma a quanto vige in tema di surrogazione legale.
Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, da cui non vi è motivo per discostarsi, il principio sancito nell'art. 1203 c.c., a tenore del quale la surrogazione legale ha luogo di diritto va inteso nel senso che esso opera anche senza il consenso del creditore originario e del debitore e non già nel senso che la sua concreta attuazione possa prescindere dalla rituale domanda del terzo, che ha pagato, di volersi surrogare al creditore soddisfatto (Cass. n. 1997/ 95, in motivazione, che riporta Cass. n. 1764/60, in motivazione ed è richiamata nella sentenza impugnata).
La surrogazione legale opera sì indipendentemente dalla dichiarazione del terzo di volersi surrogare al creditore soddisfatto, ma essa per essere fatta valere deve portata a conoscenza degli interessati.
Nel caso in esame, non vi è stata alcuna manifestazione di volontà da parte della Maierbit Italia di surrogarsi nella posizione della Fime, come si evince dai documenti acquisiti ed esaminati dal giudice dell'appello, per cui la Fime non ha perso la titolarità del credito.
In realtà, vi è stata solo una imputazione di pagamento all'intero rapporto di factoring, che era ed è quello per cui ha agito la Fime a fronte dell'inadempimento dei vari debiti, senza che fosse stata raggiunta la prova dell'asserita imputabilità del versamento dei 340 milioni ad un credito diverso da quello azionato.
Le dichiarazioni successive della Ir Bit e della Iba Maierbit, intervenute l'8 luglio 1993 e riguardanti l'accollo dei debiti delle altre società, sono emblematiche e di conforto alla tesi sostenuta dalla Fime e cioè che essa era ancora titolare dei crediti ceduti. In realtà, la Fime si è limitata ad imputare il predetto versamento a "deconto esposizione", ossia al maggior credito vantato nei confronti della Maierbit.
Ne consegue che non appare conferente il richiamo alla fideiussione. 2.- Con il secondo motivo le ricorrenti lamentano la violazione della L. Fall., art. 78 in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Assumono le ricorrenti che il contratto di factoring è un contratto di durata con causa gestoria e continuatività della prestazione. Una volta fallita la Maierbit Italia avrebbe dovuto essere applicato, essendo il rapporto precedente al fallimento, la L. Fall., art. 78, secondo il quale il contratto di mandato anche in rem propriam si scioglie.
Quindi, assumono le ricorrenti, una volta sciolto il contratto di factoring verrebbe meno l'incarico della Fime di riscuotere i crediti della Maierbit Italia e, quindi, i crediti ceduti non sussisterebbero più in capo alla Fime e le cessioni di credito dovrebbero essere retrocesse al fallimento della stessa.
Sotto questo aspetto, oltre che riportarsi a quanto precisato sub 1.1., questa Corte osserva che con riguardo ad un mandato in rem propriam, che integra una cessione di credito con funzione solutoria, ancorché seguita dal fallimento del cedente, l'effetto sostanziale dell'avvenuta cessione, che fa uscire dal patrimonio del fallito, (ed avvenuta prima della dichiarazione del fallimento - e salva la esperibilità della revocatoria fallimentare) i suoi crediti non solo preclude l'applicazione della L. Fall., art. 78, ma neppure legittima gli organi della curatela alla revoca del mandato per giusta causa ex art. 1723 c.c. (Cass. n. 11966/92, richiamata nella sentenza impugnata), perché esso mandato non si scioglie per la successivamente intervenuta procedura concorsuale (Cass. n. 3157/78, richiamata nella sentenza impugnata e nel controricorso);ma v. per quanto valga anche Cass. 5724/01). Quindi anche questo motivo non è meritevole di accoglimento. 3.- Con il terzo motivo le ricorrenti denunciano la violazione dell'art. 342 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n.