Cass. civ., sez. I, sentenza 06/06/2019, n. 15421

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 06/06/2019, n. 15421
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 15421
Data del deposito : 6 giugno 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

5 del TRIBUNALE di ROMA, depositato in data 04/02/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/05/2019 dal cons. ALDO ANGELO DOLMETTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale S D M, che ha concluso per il rigetto del (con parziale inammissibilità) del primo motivo e per il rigetto (con parziale inammisisbilità) del secondo motivo;
udito, per il ricorrente, l'avvocato M M, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito, per il controricorrente, l'avvocato A D I, che concluso per l'inammissibilità o rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1.- La società cooperativa Banco Popolare (come all'epoca diversamente denominata) ha presentato domanda di insinuazione, con prelazione pignoratizia, di un credito derivante da scoperto di conto corrente nel passivo fallimentare della s.r.l. Euroimpianti Group.Il giudice delegato ha ammesso il credito per la somma richiesta, ma in via chirografaria, avendo il curatore eccepito, in specie, «la mancata apposizione di data certa sui titoli costituenti il pegno». 2.- Con sentenza depositata il 4 febbraio 2015, il Tribunale di Roma ha poi respinto l'opposizione presentata in proposito dalla Banca, rilevando che, «a fronte dell'eccezione del curatore, la creditrice istante non ha dimostrato la costituzione delle garanzie pignoratizie in data antecedente alla dichiarazione di fallimento della debitrice», mediante la produzione di uno dei «fatti previsti dall'art.2704 cod. civ. o di fatti equivalenti». 3.- Più in particolare, il giudice del merito ha rilevato - con specifico riferimento alla «lettera inviata dalla Banca Popolare di Lodi alla debitrice in data 10 gennaio 2011» - che questa, «pur essendo contenuta in una busta sigillata recante l'impronta del timbro postale apposto in data 12 gennaio 2011», «non soddisfa il requisito di specificità richiesto dall'art. 2787 comma 3 cod. civ., poiché contiene un riferimento assolutamente generico alla esistenza di titoli costituiti in garanzia». Con riferimento all'altro documento prodotto al riguardo dalla Banca - consistente in una «lettera che sarebbe stata inviata dalla Euroimpianti Group s.r.l. alla Banca in data 12 ottobre 2009» - il Tribunale ha distintamente rilevato che questa missiva presentava, da un lato, «analoghi profili di indeterminatezza» in punto di indicazione dei titoli posti in Kní garanzia;
dall'altro, che la stessa non possedeva «elementi idonei a conferire certezza alla data della sua spedizione o del ricevimento». Il decreto ha inoltre ritenuto non ammissibile l'ulteriore «produzione documentale effettuata dall'opponente alla prima udienza di comparizione», rilevando che a ciò era di ostacolo l'«attuale formulazione dell'art. 99, comma 2, n. 4 legge fall.». 4.- Avverso questo provvedimento la banca ha presentato ricorso per cassazione affidato a due motivi. Il Fallimento ha presentato controricorso. 5.- La controversia è stata chiamata all'adunanza non partecipata della Prima Sezione civile del 13 giugno 2018. Con ordinanza n. 27977/2018, il Collegio ha disposto di rimettere la stessa alla pubblica udienza.

RAGIONE DELLA DECISIONE

6.- I motivi di ricorso sono stati intestati nei termini che qui di seguito vengono riportati. Primo motivo: «violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., con riferimento all'art. 2787 commi 3 e 4, 2704 e 2714 cod. civ. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia, ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ.». Secondo motivo: «violazione e falsa applicazione delle norme di diritto ai sensi dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., con ik-- riferimento all'art. 99 comma 2 n. 4 legge fall., 2704 cod. civ. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ.». 7.- Il primo motivo di ricorso muove al decreto impugnato una censura complessa. Il ricorrente afferma, dunque, che il Tribunale ha errato, essendo «evidente che il Tribunale avrebbe dovuto applicare il quarto e non il terzo comma dell'art. 2787 comma 3 cod. civ.»: le «banche rientrano tra gli enti richiamati dal quarto comma dell'art. 2787 cod. civ.», posto che «in tal senso si è pronunciata la Cassazione a Sezioni Unite (Cass., 15 aprile 1976, n. 1333), ritenendo sufficiente la "generica" autorizzazione all'esercizio dell'attività bancaria per l'abilitazione (ancorché in via non esclusiva) all'operazione di credito su pegno». Assunta questa prospettiva, il ricorrente poi sostiene, da un lato, che «la data certa apposta sui pegni è stata fornita, potendo la stessa essere provata con ogni mezzo»;
dall'altro, che entrambe le lettere prodotte «fanno riferimento ai titoli concessi in pegno», una delle due anche indicando una somma in proposito (così, in specie, la lettera dell'ottobre 2009, in cui si fa «riferimento alla posizione debitoria della società Euroimpianti Group s.r.l. nei Vostri confronti attualmente controgarantita da titoli per un importo di € 275.000,00», quella del gennaio 2011 enunciando che l'istituto procederà alla «vendita dei titoli costituiti in garanzia»).8.- Il motivo non è fondato. La norma dell'art. 2787 comma 4 cod. civ. non stabilisce una esenzione dall'onere della data certa per le banche (regolarmente autorizzate all'esercizio dell'attività bancaria ex art. 14 TUB) che faccia riferimento unicamente al genere dei soggetti creditori e cioè relativa a qualsivoglia operazione, posta in essere da banche, che si venga comunque a trovare (anche o solo) garantita da un pegno. Tanto meno questa norma può essere intesa come regola di esonero delle banche (seppure autorizzate all'esercizio dell'attività bancaria) dal requisito della «sufficiente indicazione» scritta della cosa data in garanzia, che la norma dell'art. 2787 comma 3 cod. civ. pone, tra le altre, come condizione necessaria per l'eventuale operatività della prelazione pignoratizia (salvo solo trattarsi di crediti non eccedenti la somma di C 2,85). 9.- Per meglio procedere nell'esposizione delle ragioni che fondano la detta, articolata soluzione, è opportuno muovere dal riscontro della sentenza n. 1333/1976 delle Sezioni Unite di questa Corte. Sull'autorità di questa pronuncia, in effetti, il ricorrente basa per intero la sua pretesa di applicare la norma dell'art. 2787, comma 4, cod. civ. alla fattispecie concretamente in esame. Posta di fronte a una fattispecie di pegno nel concreto costituita da «polizza di pegno n. 791, sottoscritta» dal debitore poi fallito ed «esibita in originale», come pure costituente «parte integrale delle scritture contabili della Banca» creditrice e «soggetta quindi a speciali forme di 2 4F- controllo» (secondo l'accertamento compiuto dalla sentenza della Corte di Appello di Bari che era stata impugnata), la detta pronuncia ebbe a confrontarsi specificamente con il problema di interpretare la formula «enti che, debitamente autorizzati, compiono professionalmente operazioni di credito su pegno», contenuta nell'ultimo comma della norma dell'art. 2787 cod. civ. Per risolverlo nel senso di ritenere che, in tale «categoria dommatica» («enti autorizzati a compiere professionalmente operazioni di credito su pegno»), sono da ricomprendere «non soltanto gli enti previsti dalla legge 10 maggio 1938, n. 745 e dal r.d. 25 maggio 1939, n. 1279, e cioè i monti di pegno e gli altri istituti autorizzati espressamente all'esercizio del credito pignoratizio, secondo le modalità previste dalle suddette norme, ma anche gli istituti di credito in genere abilitati (ancorché in via non esclusiva) alle operazioni di credito su pegno, in base alla generica autorizzazione all'esercizio del credito». Di conseguenza, il principio di diritto desumibile da tale contesto motivazionale è che tutte le banche autorizzate all'esercizio dell'attività bancaria (secondo le leggi del tempo e secondo quanto oggi dispone la norma dell'art. 14 del testo unico bancario, d.lgs. n. 385/1993) possono compiere professionalmente operazioni di credito su pegno e in via correlata avvantaggiarsi della peculiare disciplina dettata dal comma 4 dell'art. 2787 cod. civ. 10.- Come ha sottolineato l'ordinanza che ha rimesso la controversia in esame alla pubblica udienza, la fattispecie .f concreta, che formò oggetto dell'analisi delle Sezioni Unite, è «piuttosto remota» (risalendo, nelle sue radici, al giugno 1963). Tanto più che, nell'abbondante mezzo secolo che è passato, la materia bancaria ha subito fortissimi (per quantità e qualità) «rivolgimenti» legislativi. Nella specie, la formula «enti debitamente autorizzati a compiere professionalmente operazioni di credito su pegno» - di cui appunto al comma 4 dell'art. 2787 cod. civ. - ha visto mutare il termine dei suoi riferimenti normativi. Che è attualmente costituito dalla norma dell'art. 48 testo unico bancario, sotto la rubrica «credito su pegno». Nella versione odierna - introdotta con il d.lgs. n. 342/1999 e dunque applicabile alla fattispecie concretamente in esame (la cui dimensione fattuale richiama la parte finale del primo decennio degli anni 2000) - tale norma dispone, in particolare, che «le banche possono intraprendere l'esercizio del credito su pegno di cose mobili disciplinato dalla legge 10 maggio 1938 e dal r.d. 25 maggio 1939 n. 1279, dotandosi delle necessarie strutture e dandone comunicazione alla Banca d'Italia» (così esprimendo, in particolare, uno dei fenomeni cardine dell'evoluzione normativa che ha attraversato l'ordinamento bancario, quale rappresentato dalla c.d. despecializzazione delle relative imprese). E' dunque da rilevare che il testo normativo vigente viene in modo esplicito a confermare (quanto meno) il nocciolo di ciò che ebbero a suo tempo a ritenere le Sezioni Unite: tutte le banche, in quanto autorizzate all'esercizio dell'attività N ' bancaria, possono svolgere attività professionale di credito su pegno;
e, quando lo fanno, vengono in via correlata a giovarsi della peculiare disciplina scritta nell'ultimo comma dell'art. 2787 cod. civ. 11.- Ciò posto, si tratta adesso di affrontare il nodo problematico rappresentato dall'interpretazione della formula «credito su pegno», di cui ancora al testo normativo in esame. Problema, questo, che, per un verso, non è stato affrontato dalla sentenza delle Sezioni Unite, limitata a considerare il punto dell'identificazione soggettiva posto dalla norma, degli enti, cioè, che possono giovarsi della relativa disciplina. E che, per altro verso, propone - per l'identificazione del tipo di operatività avvantaggiato da tale disciplina - uno scenario per una parte diverso da quello in origine presentato dalla norma dell'art. 2787 comma 4: il riferimento normativo al «credito su pegno», se da un lato deve continuare a confrontarsi con le regole della legge n. 745/1938 e del regolamento n. 1279/1939 (nelle parti tuttora in vigore, come richiamate dal citato art. 48), cioè, dall'altro dev'essere pure collocato nel complessivo sistema normativo conformato dal testo unico bancario del 1993. 12.- Il Collegio non ritiene che - nel contesto della norma del comma 4 dell'art. 2787 cod. civ. - il sintagma «credito su pegno» rimanga sprovvisto di un qualunque significato di connotazione operativa, sino a dissolversi nella semplice sussistenza di una garanzia pignoratizia posta a presidio di un qualunque credito bancario.Più indici contrastano, invero, una simile lettura, nel contempo indicando, o altrimenti suggerendo, lo schema di operatività bancaria che risulta conformato dalla legge n. 745/38 e dal regolamento n. 1279/39. Un primo aspetto va direttamente alla capacità evocativa dell'espressione in discorso («credito su pegno», appunto, o anche, con variante meno frequente, «prestito su pegno») che da sempre richiama un dato e specifico tipo di operatività creditizia: un tempo, di pertinenza caratteristica dei monti di pietà e di pegno, quale loro attività «fondamentale», e oggi aperta sì all'azione di qualunque banca, ma pure sempre conservata nelle sue linee cardinali costitutive, secondo il disegno per l'appunto formato dall'attuale norma dell'art. 48 TUB (la peculiarità strutturale di vertice dell'operazione consisterebbe, secondo studi di recente dottrina, in ciò che al rimborso del finanziamento risulta destinato il solo bene dato in garanzia, il finanziato non rispondendo della restituzione con gli altri beni del proprio patrimonio). 13.- Un altro rilievo discende immediato dal testo proposto dal comma 4 dell'art. 2787 cod. civ. Che, oltre a richiamare l'attività imprenditoriale di operazioni di credito su pegno, viene in modo specifico ad appuntarsi sulla «polizza» di pegno (cfr. l'incipit della norma). Si tratta, in effetti, del documento fondamentale e caratteristico dell'operatività del credito su pegno (cfr. l'art. 10 legge n. 745/38 e l'art. 37 r.d. n. 1279/39), non certo dei pegni in genere costituiti nell'ambito dell'attività creditizia delle banche. Sarebbe «f‘ dunque senz'altro scorretto trascurare un'indicazione di simile spessore. 14.- In realtà, nel contesto normativo in discorso, l'espresso riferimento al nomen documentale caratteristico delle operazioni di credito su pegno - e tale considerato dalla legge e dal regolamento a tali operazioni dedicate - non può che possedere un significato qualificante. E perciò pure paradigmatico (e parametrico) delle «altre scritture» dalla disposizione in esame (e da intendere, dunque, nei termini di documentazione nella sostanza equivalente a quella che consegue alla «polizza»). Tanto più che si tratta di estensione (non già al genere della scrittura privata in quanto tale, ma) circoscritta alle scritture provenienti dagli «enti debitamente autorizzati» all'operatività del credito su pegno (come pure sono le polizze, «firmate dal rappresentante legale del Monte o da un funzionario all'uopo delegato dal Consiglio e dal perito», ex art. 10 comma 2 legge n. 745/1938). Si tratta, perciò, di documentazione sicuramente non sovrapponibile a quella richiamata dal comma 3 dell'art. 2787 cod. civ., che risulta puntualizzata invece sulla provenienza dello scritto da parte del datore del pegno (cfr., sul punto, Cass., 4 febbraio 2019, n. 3199). Nella prospettiva dell'esenzione dalla data certa per l'indiscriminato genere delle operazioni bancarie garantite da pegno, per contro, la stessa posizione di un presupposto del genere (che il pegno, cioè, risulti da polizza o altra scrittura proveniente dall'ente garantito) apparirebbe oggettivamente inspiegabile. 15.- Va ancora aggiunto che, sul piano sistematico, la norma dell'art. 2787, comma 4, trova corrispondenza nella disposizione dell'art. 67 ultimo comma legge fallimentare, appunto intesa nell'attuale versione a esonerare, tra l'altro, le «operazioni di credito su pegno» dalla revocatoria fallimentare (la formula originaria discorreva invece di «enti autorizzati a compiere operazioni di credito su pegno, limitatamente a queste operazioni»). E' da notare, al riguardo, come la dottrina - segnalato il fenomeno di «despecializzazione» degli enti bancari che è stato condotto (anche) dall'art. 48 TUB (v. già sopra, nel n. 10) - sia ferma nel fissare il perimetro dell'esenzione sulla configurazione oggettiva delle operazioni regolate dalla legge n. 745/38 e dal regolamento n. 1279/39. Né potrebbe risultare in qualche modo giustificata, sul piano oggettivo, la soluzione di una diversa applicazione di fronte a norme così simmetriche (quali appunto sono, nell'attuale, quelle dell'art. 2787, comma 4, e quella dell'art. 67 comma 4). E' appena il caso di ricordare, poi, come la giurisprudenza di questa Corte - che non risulta abbia avuto modo di confrontarsi sul testo vigente dell'esenzione revocatoria in discorso - abbia sempre tenuto, davanti al testo originario, concentrata l'attenzione sui termini oggettivi dell'operatività data dal credito su pegno (cfr. Cass., 18 novembre 1998, n. 11606).16.- Una lettura della norma dell'art. 2787, comma 4, cod. civ., che intenda esonerare l'intero spettro delle operazioni bancarie garantite da pegno, risulta pure sconsigliata, com'è evidente, dalla perdurante vigenza del principio della par condicio creditorum (e pure si pone in sostanziale distonia, se non più, con il dovere di «sana e prudente gestione» che il testo unico del 1993, con l'introdurre la norma dell'art. 5, ha posto in capo alle imprese bancarie). Una simile lettura non mancherebbe, del resto, di presentare significativi problemi di giustificazione oggettiva per la deteriore posizione in cui verrebbe a collocare i creditori pignoratizi di diritto comune nei confronti del ceto dei creditori bancari. Anche perché, comunque, potrebbe facilmente apparire, nell'intrinseco, non razionale un sistema che - esentando le imprese bancarie dalla data certa per l'intero genere delle operazioni di pegno - lasci tuttavia integra, per tutta la restante loro attività, la soggezione di queste imprese alla regola generale posta dall'art. 2704 cod. civ. 17.- A fronte degli assunti formulati dal ricorrente (cfr. sopra, il n. 7) appare opportuno precisare, in via ulteriore, che la disciplina dettata dalla norma dell'ultimo comma dell'art. 2787 comma 4 cod. civ si risolve nello stabilire un regime «agevolato» circa la prova del tempo della costituzione della garanzia, senza in alcun modo incidere sulla disciplina delle altre condizioni richieste dalla legge per l'operare della prelazione (art. 2787, commi 2 e 3, cod. civ.).
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