Cass. civ., sez. V trib., sentenza 02/11/2023, n. 30492

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Massime1

In tema di acque pubbliche, la distinzione tra le competenze dell'Autorità giudiziaria ordinaria e dei Tribunali regionali delle acque pubbliche attiene all'oggetto delle controversie, rientrando nell'ambito delle competenze del giudice specializzato le sole cause che involgano questioni relative alla demanialità delle acque pubbliche, o al contenuto e ai limiti delle concessioni di utenze, o al diritto nei confronti dell'Amministrazione alla derivazione o alla utilizzazione delle acque, o quelle che, comunque, incidano pure indirettamente sugli interessi pubblici connessi al regime delle acque. Ne consegue che rientra nella competenza del giudice ordinario la controversia che abbia ad oggetto il diritto all'acquisto di un'area demaniale ex art. 5 bis l. n. 212 del 2003 e quella consequenziale risarcitoria da inadempimento.

Massima redatta a cura del Ce.R.D.E.F.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. V trib., sentenza 02/11/2023, n. 30492
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 30492
Data del deposito : 2 novembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Roma, ritenuta la giurisdizione del giudice ordinario, accoglieva la domanda proposta da VIVAI A.A. AZIENDA AGRICOLA S.S. (per brevità, Società) nei confronti dell'Agenzia del Demanio e della Regione Emilia Romagna, con cui aveva chiesto la restituzione delle somme indebitamente versate, ottemperando alle determinazioni dell'Amministrazione Finanziaria, "per la detenzione dell'aera demaniale", perchè eccedenti la misura di quanto dovuto per canoni demaniali, nel periodo compreso tra l'1/1/1996 ed il 31/12/2000, relativamente ad una porzione di terreno sita in Rimini, costituente pertinenza idraulica del fiume (------), e condannava la prima convenuta al pagamento della somma di Euro 48.847,83 e la seconda al pagamento di Euro 26.505,70, oltre interessi e spese di lite.

La Corte di Appello di Roma, con la sopra indicata in epigrafe, ha rigettato l'appello proposto dall'Agenzia del Demanio ed accolto gli appelli incidentali proposti dalla Regione e dalla Società, nonchè in riforma della sentenza di primo grado, ferma la condanna dell'Agenzia del Demanio, ha determinato in Euro 20.167,44, oltre interessi, la minor somma dovuta in restituzione dalla Regione, con spese in parte compensate tra le parti.

Il Giudice di Appello, confermata la competenza giurisdizionale del giudice adito, sul rilievo che la demanialità dell'area non fosse in alcun modo oggetto di contestazione, essendo la causa incentrata sulle modalità d'uso dell'area golenale di pertinenza fluviale, da tempo abbandonata ed adibita a vivaio, ha osservato, nel merito, che l'assenza del titolo concessorio non potesse essere addebitata alla Società, che aveva ottenuto la disponibilità del terreno, su cui insistono tre fabbricati adibiti ad ufficio e uso commerciale, in forza del contratto di locazione stipulato, nel 1975, con il Consorzio per la Sistemazione del Fiume (------), e presentato, nel 1994, istanza di rilascio di concessione d'uso del bene demaniale, all'allora competente Intendenza di Finanza ed infine versato al Ministero delle Finanze l'importo di L.. 136.270.000, a titolo di canoni per l'occupazione dell'area nel periodo 1991/1996, ottenendo dalla Regione Emilia Romagna, cui era nel frattempo passata la competenza in materia di gestione ed uso materia del demanio idrico, l'atto di concessione dell'area demaniale, registrato in data 1/10/2003, per un canone annuo provvisoriamente determinato in complessivi Euro 15.301,34.

Ha, altresì, ritenuto il Giudice di appello che la Società, a ragione, si dolesse del fatto che l'ammontare del canone di occupazione versato per l'occupazione sine titulo del terreno demaniale, con sovrastanti manufatti (realizzati dalla stessa Società), fosse addirittura superiore a quello dei canoni concessori (periodo 1996/2000) calcolati sulla base della l. n. 537 del 1994, art. 9, e della l. n. 507 del 1995, art. 6, secondo i criteri di cui alla l. r. n. 37 del 2002, trattandosi di disciplina applicabile retroattivamente per parametrare la somma dovuta quale corrispettivo del godimento del bene, da ritenersi del tutto legittimo, stante l'inerzia dell'Amministrazione nel rilascio della concessione richiesta, comunque, tempestivamente dalla Società con istanza (prot. n. 5780) dell'11/5/1994.

La Corte di Appello ha provveduto a determinare il saldo attivo oggetto di condanna a favore della Società ed a carico della Regione, sulla scorta del "canone dovuto per l'area senza considerare i 3 fabbricati, non risultando dagli atti prodotti che gli stessi siano mai stati formalmente acquisiti al demanio, e tenendo conto del fatto che la concessione rilasciata si riferisce unicamente all'ara demaniale senza fare riferimento ai predetti fabbricati".

Avverso la decisione, l'Agenzia del Demanio propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, al quale resistono, con controricorso, la Società e la Regione Emilia Romagna;
quest'ultima ha pure proposto ricorso incidentale, affidato a due motivi, e depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente Agenzia del Demanio deduce, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del R.D. n. 1775 del 1993, artt. 1 e l. n. 36 del 1994, 140, 1, 818 e 820 c.c., per avere la Corte di Appello disatteso la riproposta eccezione di incompetenza funzionale del Tribunale Civile di Roma, per essere la presente controversia devoluta alla competenza del Tribunale Superiore delle Acque avuto riguardo alla domanda riconvenzionale di accertamento della demanialità dell'area de quo in quanto pertinenza idraulica del Fiume (------) e delle costruzioni su di essa insistenti, ai fini della domanda di risarcimento del danno da occupazione sine titulo per il complesso immobiliare destinato a vivaio.

Con il secondo motivo deduce, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 823 e 2043 c.c. nonchè dei principi afferenti l'utilizzazione di beni demaniali, per avere la Corte di Appello respinto la riproposta domanda riconvenzionale nonostante l'occupazione dell'area fosse da qualificare, nel periodo 1994/2000, illegittima risalendo all'anno 2002 il rilascio, da parte della Regione Emilia Romagna, del provvedimento concessorio. Deduce, inoltre, che l'Amministrazione è estranea al pregresso contratto di locazione dell'area, che l'ordinamento prevede specifici rimedi in caso di inerzia della Pubblica Amministrazione e che la Regione è soggetto diverso, per cui la sopravvenuta concessione è priva di efficacia retroattiva.

Con il terzo motivo deduce, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della l. n. 537 del 1993, artt. 9, e l. n. 507 del 1995, 6, nonchè della l. r. n. 37 del 2002, per non avere la Corte di Appello considerato che, relativamente alla domandata restituzione di somme pretesamente versate in eccesso, non è corretto il riferimento alla misura dei canoni concessori, i quali presuppongono una situazione fattuale differente da quella oggetto d'esame, stante l'assenza di un valido titolo in capo alla Società atto a legittimare l'utilizzo di beni demaniali.

Con il quarto motivo deduce, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell'art. 934 c.c., per avere la Corte di Appello condiviso la decisione del primo giudice nella parte in cui ha determinato il canone "senza tenere conto dei fabbricati", perchè "appartenenti alla società in proprietà superficiaria e da questa realizzati", in quanto, trattandosi di opere realizzate in un caso di abuso ai danni della proprietà statale, erano indubbiamente da considerarsi acquisite al demanio dello Stato.

La ricorrente Regione Emilia Romagna deduce, con il primo motivo di ricorso incidentale, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della l. r. n. 37 del 2002, artt. 19, l. n. 537 del 1993, 9, D.L. n. 415 del 1995, 5, comma 6, conv. nella l. n. 507 del 1995, perchè la Corte di Appello ha determinato la misura del canone concessorio erroneamente applicando il criterio (VAM) previsto dalla richiamata legge regionale per la quantificazione dell'indennizzo dovuto in caso di esproprio, in tal modo pervenendo ad un risultato differente dal valore di mercato del bene cui pure il giudice di primo grado aveva fatto riferimento.

Con il secondo motivo deduce, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 934 c.c. e l. n. 10 del 1977, 15, comma 13, perchè la Corte di Appello ha ritenuto che, nel procedere alla determinazione dei canoni, di fare riferimento al valore del solo terreno e non anche a quello dei manufatti realizzati dalla Società per l'esercizio dell'attività vivaistica, in quanto pretesamente oggetto di proprietà superficiaria, pur trattandosi di opere

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