Cass. civ., sez. III, ordinanza 25/07/2022, n. 23145

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, ordinanza 25/07/2022, n. 23145
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 23145
Data del deposito : 25 luglio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

ato la seguente ORDINANZA sul ricorso iscritto al n. 28072-2019 R.G. proposto da: ASSOCIAZIONE E.F.O.P.A.S.S. Impresa sociale, in persona del rappresentante legale p.t., LUCIANO LEPRE, rappresentata e difesa dall’AVV. GUIDO CAMPOBASSO, elettivamente domiciliata in Roma presso lo Studio TAMIETTI-BELLACHIONA E ASSOCIATI, VIA ACCIAIOLI, 7;
– ricorrente –

contro

ALPI INIZIATIVE S.r.L. E ALPI INVESTIMENTI S.r.L.;
- intimate - avverso la sentenza n. 832-2019 della Corte d’Appello di NAPOLI, depositata il 20 febbraio 2019. Oggetto: Locazione ad uso commerciale – Aggiornamento del canone Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio dal Consigliere M G. Rilevato che: L L, in data 28 settembre 2010, prendeva in locazione, dalla Alpi Iniziative S.r.L., l’immobile ad uso attività di formazione ed orientamento professionale, sito in Napoli, Corso Umberto I, 23, per il canone mensile di euro 1370,62, oltre ad Iva, da incrementare, ai sensi dell’art. 4, a partire dall’ottobre 2011 di euro 779,37, dall’1 ottobre 2013 di euro 268,75, dall’1 ottobre 2014 di euro 134,37, dall’1 ottobre 2015 di euro 134,37, oltre a Iva, rispetto al canone in essere rispetto alle singole date;
il contratto, all’art. 9, prevedeva la facoltà per il conduttore di cedere - come poi era in concreto avvenuto in data 15 aprile 2013 a favore dell’associazione EFOPASS - il contratto ad un costituendo ente di formazione;
gli incrementi del canone venivano corrisposti, su richiesta della locatrice, fino al mese di maggio 2015;
successivamente L L comunicava alla società Alpi Iniziative di aver ceduto alla EFOPASS ogni diritto ed azione derivante dalla restituzione delle maggiorazioni di canone da lui corrisposte sino al mese di luglio 2013;
EFOPASS, con lettera del 14 settembre 2015, rappresentando la illegittimità, ai sensi degli artt. 32 e 79 della l. n. 392/1978, degli aumenti periodici del canone, sosteneva che il canone dovuto a partire da quel momento, tenuto conto degli aggiornamenti Istat, ammontava ad euro 1.446,16, al netto di IVA, e si riservava di quantificare le somme versate ma non dovute per gli anni pregressi;
con raccomandata del 7 ottobre 2015 EFOPASS indicava in euro 40.942,24 la somma non dovuta, comprendente quella cedutale da Antonio Lepre, e ne chiedeva la restituzione;
con nota del 13 giugno 2016 Alpi Iniziative comunicava ad EFOPASS di avere ceduto l’immobile locato ad Alpi Investimenti S.r.L.;
EFOPASS citava, allora, dinanzi al Tribunale di NAPOLI, le società Alpi Iniziative ed Alpi Investimenti, chiedendone la condanna alla restituzione dell’importo di euro 40.924,00 per le ragioni indicate;
le convenute, oltre al rigetto della domanda attorea, con riconvenzionale, chiedevano che EFOPASS fosse condannata al pagamento delle differenze tra il canone corrisposto e quello dovuto, ai sensi dell’art. 4 del contratto;
con la sentenza n. 4883/2018, il Tribunale rigettava la domanda dell’attrice ed accoglieva quella delle resistenti, condannando EFOPASS a corrispondere le maggiorazioni del canone previste dall’art. 4 del contratto di locazione;
ritenendo che le maggiorazioni di canone di cui all’art. 4 del contratto fossero state illegittimamente inserite nello stesso, allo scopo di aggirare surrettiziamente il divieto di cui all’art. 32 ultimo comma della l. n. 392/1978, EFOPASS impugnava la decisione del Tribunale dinanzi alla Corte d'Appello di Napoli, la quale, con la sentenza n. 832/2019, oggetto dell’odierna impugnazione, rigettava l’appello e confermava la sentenza gravata;
EFOPASS ricorre per la cassazione della suddetta pronuncia, affidandosi ad un solo motivo;
nessuna attività difensiva risulta svolta in questa sede da Alpi Investimenti e da Alpi Iniziative, rimaste intimate;
la trattazione del ricorso è stata fissata in Camera di Consiglio ai sensi dell’art. 380 bis1 cod.proc.civ.;
il Pubblico Ministero non ha depositatoconclusioni scritte;
EFOPASS ha illustrato il ricorso con memoria.

Considerato che:

1) la ricorrente contesta la violazione dell’art. 32 e dell’art. 79 della l. n. 392/1978, perché la Corte d'Appello avrebbe ritenuto validamente determinato l’aumento del canone di locazione, stante l’insussistenza, per i contratti di locazione ad uso commerciale, di un divieto di corrispondere un canone di locazione in misura differenziata e crescente, facendo, però, erronea applicazione della giurisprudenza di questa Corte che ammette la pattuizione di un canone in misura differenziata e crescente del canone di locazione, a condizione che la stessa non persegua lo scopo di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria e che l’aumento del canone convenuto sia ancorato ad elementi predeterminati ed idonei ad influire sull’equilibro del sinallagma contrattuale ovvero appaia giustificata la riduzione del canone per un limitato periodo iniziale;
ebbene, secondo la prospettazione di parte ricorrente, la fattispecie in esame non presenterebbe i caratteri di quelle in cui è ritenuta legittima la pattuizione relativa ad aumenti del canone locativo, perché l’art. 4 si limiterebbe a prevedere variazioni in aumento del canone inizialmente pattuito;
la ricorrente rileva, in aggiunta, che la giurisprudenza di questa Corte non avrebbe un indirizzo univoco circa la necessità o meno di giustificare l’aumento del canone in ragione di elementi predeterminati ed idonei a giustificare detto aumento nel periodo di durata della convenzioneed osserva che sarebbe priva di pregio la considerazione con cui la sentenza impugnata ha ritenuto che le parti avevano concordemente convenuto un aumento del canone e non l’elusione dell’art. 32 della l. n. 392/1978, anche in ragione del fatto che le variazioni del canone pattuite si aggiungevano all’aggiornamento dello stesso ai sensi dell’art. 32 citato, perché tale previsione, diversamente da quanto ritenuto dal giudice a quo, rafforzerebbe l’ipotesi della nullità dell’art. 4 del contratto di locazione;
in particolare, suffragherebbe tale ipotesi il fatto che tale pattuizione seguisse, nell’art. 4, la previsione delle maggiorazioni;
il punto d’arrivo del ragionamento della società ricorrente è che quanto convenuto con l’art. 4 non avrebbe dovuto considerarsi alla stregua di una determinazione differenziata nel tempo del canone locativo, ma una illegittima pattuizione volta ad aggiornare il canone, al fine di attenuare la differenza tra l’incremento effettivo del costo della vita con il minor incremento del corrispettivo della locazione;
il motivo si conclude con un duplice invito rivolto a questa Corte: i) di «precisare le facoltà concesse al locatore di convenire eventuali aumenti del canone locativo ai sensi dell’art. 32 Legge 392/78, riaffermando la nullità di qualsiasi pattuizione che non indicando in modo chiaro l’esatto ammontare del canone pattuito per tutta la durata della locazione, anche se per misure differenti nel tempo, ne prevede la variazione in aumento degli importi corrisposti negli anni precedenti, ove quest’ultimi, come nel caso in esame, siano già oggetto di aggiornamento della intervenuta variazione dei prezz al consumo per le famiglie di operai ed impiegati come accertata dall’ISTAT»;
ii) di « precisare l’orientamento giurisprudenziale … in ordine all’onere probatorio circa la sussistenza o meno di una violazione al divieto degli aumenti riconosciuti dal 2ˆ comma dell’art. 32 Legge 392/78, affermando che sul conduttore grava l’onere di allegare, ossa dedurre tale violazione, mentre grava sul locatore la prova che gli incrementi del canone dovuti durante la locazione siano stati inizialmente convenuti come originario canone determinato per tutta la durata della locazione», stante il contrasto tra decisioni che richiamano il mero obbligo di allegazione della nullità della clausola e decisioni in cui si fa espresso riferimento all’onere di provare l’assunto della eccepita nullità della clausola;
il motivo è infondato;
il Collegio ritiene che debba darsi seguito all’indirizzo che riconosce univocamente «il potere delle parti del contratto di locazione di immobile adibito ad uso diverso da quello di abitazione di determinare liberamente la misura delcanone» e di farlo ricorrendo a più opzioni;
vale a dire attraverso: 1) la pattuizione di uncanone differenziato e crescente per frazioni successive di tempo;
2) il pagamento di rate predeterminate per ciascun segmento temporale;
3) il frazionamento dell'intera durata del contratto in periodi più brevi a ciascuno dei quali corrisponda uncanone passibile di maggiorazione;
4) la correlazione dell'entità del rateo all'incidenza di elementi e fatti predeterminati influenti sull'equilibrio sinallagmatico;
l’unico limite posto all’esercizio dell’autonomia privata è costituito dalla clausola (risultante anche da elementi extratestuali) che persegua il solo scopo di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria, perché essa, eludendo i limiti imposti dallaL. n. 392 del 1978, art. 32, risulterebbe nulla ex art. 79 della medesima Legge (Cass. 10/11/2016, n. 22908);
tale approdo giurisprudenziale costituisce l’esito di un’attenta valutazione dei precedenti di questa Corte circa le condizioni che devono ricorrere affinché una pattuizione volta a determinare una modificazione del canone di locazione non sia contra legem. Questa Sezione si è posta, infatti, anche il problema del se la legittimità delle variazioni del canone debba ancorarsi alla presenza di elementi oggettivi e predeterminati ed in che termini. Trattandosi di una questione sollevata anche dall’apparato argomentativo a supporto del ricorso, è opportuno che su di essa si faccia chiarezza;
non può non riconoscersi che sia stato enunciato da questa Corte il principio, invocato anche dal ricorrente, secondo cui il patto che differenzia il canone ove non risulti vincolato ad elementi oggettivi e predeterminati, idonei a influire sull'equilibrio economico degli interessi contrattualmente disposti non possa che esprimere una sostanziale volontà elusiva del divieto stabilito dall'art. 32 cit., ai sensi del quale l'aggiornamento periodico delcanone di una locazione commerciale non può avere luogo in termini quantitativamente superiori al 75% dell'indice dei prezzi al consumo calcolato dall'Istat per le famiglie di operai e impiegati per ciascuna annualità di rapporto;
né che esso risulti discorde rispetto al principio, altrettanto frequentemente espresso, secondo cui la possibilità che ilcanone locativo degli immobili destinati per uso non abitativo sia concordato secondo misure contrattualmente stabilite e, quindi, differenziate nel loro importo, è espressione di una deroga eccezionalmente solo per le clausole di aggiornamento per variazioni del potere di acquisto della moneta, o clausole Istat, con una disposizione che non può essere estesa, per analogia, alle altre clausole contrattuali volte ad incrementare, secondo la comune intenzione delle parti, il valore reale del corrispettivo per diverse e successive frazioni del medesimo rapporto e che debbono, pertanto, ritenersi valide a meno che non sia in concreto accertata la loro funzione elusiva del citato limite posto dall'art. 32 (Cass. n. 8883 del 19/08/1991);
come è stato rilevato da parte ricorrente, il terreno su cui si misura la divergenza è quello del ruolo rivestito dal richiamo, operato dalle parti, ad elementi obiettivi e predeterminati, diversi e autonomi dalla svalutazione monetaria, idonei a influire sull'equilibrio economico del piano contrattuale;
per un indirizzo il richiamo, sempreché corrisponda ad un dato effettivo, acquisterebbe il significato e l’effetto giuridico di una condizione preliminare cui è subordinato il libero svolgimento della autonomia contrattuale;
per l’altro, l’ancoraggio ad elementi obiettivi e predeterminati rappresenterebbe uno degli strumenti – nient’affatto dotato del carattere dell’esclusività –atto a fornire una determinazione obiettiva, al momento della conclusione del contratto, dell'entità esatta degli oneri economici posti in nesso di corrispettività con la concessione in godimento dell'immobile locato;
è stata la decisione n. 22908 del 10/11/2016 a fare da apripista, allorché, fattasi carico di tracciare l'evoluzione dinamica della giurisprudenza di legittimità sul punto in esame, assunse a premessa del ragionamento la constatazione che da tempo vi era stata un’esortazione – in tal senso cfr. Cass. n. 6695 del 03/08/1987;
Cass. n. 6574 e n. 4958 del 1979 e Cass. n. 2758 del 1976 - a non vanificare, in chiave interpretativa, la precisa scelta normativa di contrassegnare con espressioni differenti, rigorose e non casuali, le ragioni in grado di poter influenzare la determinazione del canone di locazione nel corso del dipanarsi del rapporto locatizio: aumento del canone, anche attraverso la successione di più contratti di locazione, determinazione differenziata del canone per periodi compresi nella durata dello stesso contratto, aggiornamento del canone, provocato dalla perdita del potere di acquisto della moneta, adeguamento del canone, per conformarlo al valore reale della prestazione del locatore, e che l’art. 32 della l. n. 392/1978 fu applicato alle locazioni commerciali per ragioni di simmetria. Il problema delle locazioni commerciali era quello, connaturato alla sua maggiore durata, che spingeva le parti ad anticipare le fluttuazioni dell’eventuale rischio di una riduzione futura del potere di acquisto della moneta;
si pensi di fronteggiarlo concedendo ai contraenti di convenire (contestualmente alla stipulazione del contratto o successivamente) la variazione delcanone se condo una percentuale ancorata all'indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati;
l’espediente utilizzato dal legislatore non dava luogo ad un aumento del canone in senso proprio, bensì ad una variazione predeterminata dello stesso per conservare l’equilibrio delle prestazioni contrattuali, a fronte del rischio che nel corso del tempo il valore della prestazione del locatore si riducesse;
si era dunque fuori dal perimetro della libera determinazione del canone, realizzabile attraverso l’esercizio della facoltà per le parti (secondo la loro libera valutazione espressa, tanto al momento della stipulazione del contratto, quanto nel corso del rapporto di locazione di immobile adibito ad uso non abitativo) di assicurare al locatore un corrispettivo maggiore, in termini di valore reale e non nominalistica, rispetto a quello goduto in occasione di un precedente rapporto contrattuale (e cioè un aumento delcanone in senso proprio);
oppure di assicurare al locatore un corrispettivo crescente - sempre in termini di valore reale - durante l'arco di svolgimento dello stesso rapporto, sia prevedendo il pagamento di rate quantitativamente differenziate, sia prevedendo il frazionamento dell'intera durata del contratto in periodi temporali più brevi a ciascuno dei quali corrisponda uncanone passibile di maggiorazione, in difetto dell'incidenza di elementi o di fatti (diversi dalla svalutazione monetaria) predeterminati e influenti, secondo la comune visione delle parti, sull'equilibrio economico del sinallagma (ipotesi dicanone differenziato), quali, ad esempio, lo sviluppo urbano della zona, l dotazione di maggiori servizi, la concentrazione di immobili ad uso concorrenziale, l’incremento del volume di affari del conduttore, e di altri infiniti fattori estrinseci;
di talché questa Corte ha ritenuto che «Controindicazioni a quanto ora affermato non possono essere desunte dall'art. 32;
e ciò, non tanto perché nel testo originario di quella norma la previsione che ilcanone fosse dovuto secondo misur e (al plurale) contrattualmente stabilite lasciasse sottintendere che le misure stesse fossero anche differenziate nel loro importo;
quanto e soprattutto perché il principio generale e immanente della libera determinazione convenzionale delcanone locatizi o (per immobili destinati ad uso non abitativo) soffre, attraverso quella disposizione, di una deroga eccezionale limitatamente alla valenza delle clausole di aggiornamento per eventuali variazioni del potere di acquisto della moneta, o clausole Istat, la quale mai potrebbe essere estesa, per via di interpretazione analogica, al di fuori del predetto settore e con riferimento ad altre clausole contrattuali o a patti successivi volti a incrementare giusta la comune intenzione delle parti -il valore reale del corrispettivo nel corso del rapporto»: Cass. 12/11/2021, n.33884;
a ciò si accompagna l’ineludibile constatazione che un accrescimento del valore effettivo del canone percepito dal locatore non potrebbe mai essere conseguito senza aggiornarne il valore all’effettivo potere di acquisto della moneta;
di talché , quando le parti abbiano convenuto, come è avvenuto nella fattispecie per cui è causa, di determinare il canone in misura differenziata per precisi periodi temporali – lo stesso varrebbe anche per pa tti modificativi della misura del canone intercorsi nella vigenza del rapporto locativo –spetta al giudice del merito, interpretarne la volontà, allo scopo di accertare se abbiano in concreto inteso neutralizzare soltanto gli effetti negativi della svalutazione monetaria (con eventuale surrettizia elusione, sanzionabile ai sensi dell'art. 79, dei limiti quantitativi posti dallaL. n. 392 del 1978, art. 32), oppure abbiano di comune accordo inteso riconoscere al locatore, in misura dinamica, una maggiore fruttuosità in termini reali del ceduto godimento dell'immobile;
merita, invece, di essere ribadito che in materia di locazioni commerciali vige il principio della piena e incondizionata libertà delle parti di assicurare al locatore un corrispettivo crescente - sempre in termini di valore reale - durante l'arco di svol gimento dello stesso rapporto (ciò che costituisce la regola);
e ciò, salvo che le stesse parti non abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi -il 75% di quelle accertate dall’Istat posti dallaL. n. 392 del 1978, art. 32 (nella formulazione originaria ed in quella novellata dallaL. n. 118 del 1985, art. 1,comma 9-sexies), così incorrendo nella sanzione di nullità prevista dal successivo art. 79, comma 1, della stessa Legge (ciò che costituisce l'eccezione);
ove non vi sia prova del perseguimento di tale intento elusivo, il patto di determinazione differenziata delcanone per frazioni di tempo successive, così come il patto successivamente intercorso tra le parti al fine di modificare in aumento l'entità delcanone, devono ritenersi comunque validi (Cass. 12/11/2021, n. 33884);
l’applicazione di quanto esposto alla fattispecie per cui è causa consente di concludere nel senso, come già anticipato, della infondatezza del ricorso, perché la Corte d'Appello, come già il Tribunale, hanno accertato che le parti avevano convenuto una variazione del canone, senza eludere il divieto di cui all’art. 32, comma 2, della l. n. 392/1978, né parte ricorrente ha offerto argomenti per dimostrare il contrario;
anche la considerazione della Corte d'Appello, secondo cui il fatto che la clausola contrattuale di variazione in aumento del canone prevedesse anche l’aggiornamento Istat costituiva la riprova che le parti non avevano inteso eludere i criteri di aggiornamento del canone ISTAT di cui all’art. 32 della l. 392/1978 e quindi non erano incorse nel divieto di pattuire contra legem – considerazione cui parte ricorrente, errando, ha attribuito ben altro significato e valore – accredita la conclusione che, ricostruitala attraverso l’interpretazione giudiziale dell’art. 4 del contratto di locazione, la volontà perseguita dalle parti fosse quella di valida libera determinazione del canone di locazione;
la memoria che EFOPASS ha depositato in vista dell’odierna camera di Consiglio non ha fornito argomenti per modificare tale conclusione;
le sentenze di questa Corte ivi citate, infatti, confermano proprio la libera determinabilità del canone in aumento anche con riferimento a frazioni temporali collocate all’interno della durata inizialmente prevista del rapporto locativo, attraverso una qualunque formula, a condizione che la pattuizione modificativa del canone iniziale non violi il divieto di determinarne l’aggiornamento in misura diversa e superiore rispetto quella prevista dall’art. 32, comma 2, l. 392/1978;
2) ne consegue il rigetto del ricorso;
3) nulla deve essere liquidato per le spese del giudizio di cassazione non avendo le intimate svolto attività difensiva in questa sede;
4) si dà atto della ricorrenza dei presupposti per porre a carico dell’associazione ricorrente l’obbligo di pagamento del doppio contributo unificato, se dovuto.
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