Cass. civ., sez. III, sentenza 07/12/2005, n. 27007
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Anche nel giudizio avanti al giudice di pace, caratterizzato dallo stesso regime di preclusioni proprio del procedimento avanti al tribunale -le cui disposizioni sono pur sempre applicabili in mancanza di diversa disciplina ( art. 311 cod. proc. civ. ), con la conseguenza che dopo la prima udienza il giudice invita le parti a precisare i fatti ed a richiedere i mezzi di prova e non è più possibile proporre nuove domande o richiedere l'ammissione di nuove prove-, la prova testimoniale va, a pena d'inammissibilità, dedotta entro il termine perentorio di cui all'art. 184 cod. proc. civ., con specifica indicazione non solo dei fatti sui quali deve vertere l'escussione ma anche dei nominativi delle persone da interrogare.
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D N L F - Presidente -
Dott. F M - Consigliere -
Dott. F C - rel. Consigliere -
Dott. S A - Consigliere -
Dott. T A - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PIZZULLI VINCENZO, D'AMBROSIO ROSA, elettivamente domiciliati in ROMA VIA BARONIO 54/A, presso lo studio dell'avvocato R B, difesi dall'avvocato A V, giusta delega in atti;
- ricorrenti -
contro
MAGGIORE EMANUELE, MAGGIORE FELICE, BAYERISCHE ASSIC. SPA;
- intimati -
avverso la sentenza n. 36/2001 del Tribunale di TARANTO, sezione distaccata di GINOSA, emessa il 18/04/2001, depositata il 26/05/2001, R.G. 276/2000;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 28/10/2005 dal Consigliere Dott. C F;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. R R G che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza 16 aprile 1999 il giudice di pace di G rigettava la domanda di V P e Rosa D'Ambrosio intesa ad ottenere la condanna di E e F M e della società Bayerische Assicurazioni s.p.a., intesa ad ottenere il risarcimento dei danni conseguenti all'incidente stradale avvenuto nella notte tra il 20 ed il 21 ottobre 1997.
La D'Ambrosio nell'atto di citazione aveva precisato che quella notte ella era alla guida della vettura targata MT 143144 di proprietà del marito Vicenzo P.
Giunta in via Tagliamento (in G) all'incrocio con la Via Quarto era stata investita nella parte posteriore sinistra del veicolo da lei condotto dalla autovettura Lancia Tema targata TA 531240 di proprietà di E M, condotta da F M, il quale viaggiava a velocità elevata e non aveva rispettato il segnale di stop posto all'incrocio con la strada da lei percorsa. A seguito dell'incidente la vettura condotta dall'attrice aveva riportato danni, alla fiancata destra, per un importo di lire 7.911.240 la D'Ambrosio lesioni personali guarite in 35 giorni. La compagnia di assicurazione si costituiva in giudizio, facendo rilevare le numerose contraddizioni riscontrate tra la prima denuncia del sinistro e l'atto di citazione (non coincidevano, infatti, le date del sinistro, i danni denunciati: indicati nel primo al lato posteriore sinistro e nel secondo alla fiancata destra della vettura).
Alla prima udienza, del 27 febbraio 1998, il giudice di pace ammetteva l'interrogatorio formale richiesto dagli attori, riservando ogni decisione in ordine alle restanti richieste istruttorie, senza disporre tuttavia un rinvio della causa ai sensi del comma 4 dell'art. 320 codice di procedura civile, per ulteriori deduzioni
istruttorie.
Nelle udienze successive, sull'opposizione della convenuta, erano sentiti i testimoni degli attori e disposta la consulenza tecnica di ufficio al fine di quantificare i danni riportati dalla vettura e verificarne la compatibilità con la dinamica del sinistro esposta negli atti introduttivi del giudizio.
L'ausiliare del giudice non si esprimeva, tuttavia, su tale punto, non avendo potuto visionare la vettura del convenuto E M. Con sentenza 16 aprile 1999 il giudice rigettava la domanda degli attori in quanto non provata, dopo aver rilevato la inammissibilità della prova per testi - a causa della tardività della indicazione dei testimoni - e, comunque, la inutilizzabilità della, stessa per effetto delle numerose contraddizioni nelle quali i testimoni erano incorsi.
I contrasti rilevati tra le varie testimonianze, ad avviso del giudice di pace, non consentivano di ricostruire la dinamica dell'incidente e di ritenere quindi provata la responsabilità di F M nella causazione dello stesso.
Nessuno dei testimoni sentiti poteva ritenersi attendibile. La decisione di primo grado era integralmente confermata dal Tribunale di Tarante, sezione distaccata di G. Anche i giudici di appello ritenevano tardiva l'indicazione dei testimoni fatta all'udienza del 7 aprile 1998, rilevando che l'unico mezzo di prova ritualmente dedotto dagli originari attori rimaneva dunque l'interrogatorio formale deferito al convenuto contumace, F M (che non si era, tuttavia, presentato a renderlo). La mancata risposta all'interrogatorio formale ritualmente deferito, da sola, non suffragata cioè da ulteriori elementi di prova, non era sufficiente a fare ritenere ammessi i fatti dedotti nell'atto di citazione. Non poteva dirsi provato che l'incidente si fosse verificato per esclusiva responsabilità del M. Di più: secondo i giudici di appello, gli attori non avevano neppure fornito la prova che i danni subiti dalla vettura e le lesioni denunciate dalla D'Ambrosio fossero diretta conseguenza dell'incidente, così come dedotto nell'atto di citazione. Contro questa decisione il P e la D'Ambrosio hanno presentato ricorso per Cassazione sorretto da un unico motivo.
Nessuno dei due intimati ha svolto difese in questa sede. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l'unico motivo i due ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione di norme di diritto, artt. 184 e 320 c.p.c., comma 4, e artt. 244 e 245 c.p.c. in relazione all'art. 360 c.p.c,. nn. 3 e 4. I giudici di appello avevano ritenuto che l'indicazione dei testimoni in relazione alla prova testimoniale articolata con l'atto introduttivo fosse tardiva, in quanto formulata alla seconda udienza, quando erano già intervenute le preclusioni di cui all'art. 184 del codice di procedura civile.
Tale conclusione aveva portato i giudici di appello a trascurare completamente il contenuto di dette testimonianze e a giudicare sulla base degli altri elementi di prova dedotti dagli attori (vale a dire sulla mancata risposta del convenuto F M all'interrogatorio formale).
Tale decisione - rilevano i ricorrenti - si pone in contrasto con il disposto degli artt. 184, 320 c.p.c., comma 4, artt. 244 e 245 del codice di procedura civile.
Alla prima udienza, infatti, il giudice di pace ebbe a pronunciare solo sull'ammissione dell'interrogatorio del convenuto F M, riservandosi di provvedere successivamente su tutte le altre richieste.
In tal modo, sottolineano i due ricorrenti, deve ritenersi che egli abbia rinviato - seppure implicitamente - ogni decisione sull'ammissione dei mezzi istruttori alla udienza successiva, dando contemporaneamente termine per ulteriori produzioni e richieste di prova, secondo la previsione di cui all'art. 320 c.p.c., comma 4 (ciò anche se tale disposizione non era stata esplicitamente menzionata nell'ordinanza resa in udienza).
Tra l'altro, nella udienza immediatamente successiva alla prima, dopo aver dato atto della mancata comparizione del convenuto F M, il giudice di pace si era pronunciato positivamente sull'ammissione delle richieste istruttorie formulate dagli attori ed, in particolare, sulla prova testimoniale così come articolata dagli stessi, con la puntuale indicazione dei nominativi del testi, dando ingresso a tale prova.
La decisione dei giudici di appello, osservano i ricorrenti, si pone in contrasto con alcune decisioni di questa Corte, le quali hanno di recente riconosciuto che l'art. 184 del codice di procedura civile prevede la perentorietà del termine per indicare nuovi mezzi di prova, non per indicare i nominativi dei testimoni di una prova già ammessa, o comunque tempestivamente richiesta.
Quando, nel caso di specie, il giudice di pace si era pronunciato sull'ammissibilità della prova (all'udienza del 7 aprile 1999) erano stati correttamente articolati i capitoli di prova ed erano stati indicati i nominativi dei testimoni.
La prova per testi era stata formulata già con l'atto introduttivo del giudizio e nella prima udienza il procuratore degli attori aveva dedotto a verbale di insistere nella predetta richiesta istruttoria. Osserva il Collegio:
il ricorso è infondato.
La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che il giudizio dinanzi al giudice di pace è caratterizzato dallo stesso regime di preclusioni che assiste il procedimento davanti al Tribunale, le cui disposizioni sono pur sempre applicabili in mancanza di diversa disciplina (art. 311 del codice di procedura civile), con la conseguenza che, dopo la prima udienza, in cui il
giudice invita le parti a precisare i fatti ed a richiedere i mezzi di prova, non è più possibile proporre nuove domande o richiedere l'ammissione di nuove prove (Cass. 7 settembre 2004 n. 17992). Ciò in analogia con quanto previsto per il processo dinanzi al Tribunale dall'art. 184 del codice di procedura civile, che concentra nelle prime due udienze le deduzioni istruttorie, precludendone di regola la formulazione in quelle successive: Cass. 2399 del 1998. Gli attori, secondo quanto rilevato dai giudici di appello, non avevano indicato i nominativi dei testimoni nell'atto di citazione ovvero alla prima udienza, provvedendo a tale incombente solo nella udienza successiva del 7 aprile 1999.
Correttamente, pertanto, i giudici di appello hanno ritenuto che, nel caso di specie, la preclusione di cui all'art. 184 del codice di procedura civile si fosse già verificata, alla prima udienza, e che
la-stessa non fosse impedita dalla riserva del giudice di provvedere all'udienza successiva in ordine alle altre richieste istruttorie. La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che l'art. 184 c.p.c., comma 2, prevede il carattere perentorio del termine non
solo per indicare nuovi mezzi di prova, ma anche per indicare il nome dei testimoni: l'art. 244 c.p.c., comma 1, stabilendo che la prova deve essere dedotta mediante indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti sui quali ciascuna deve essere interrogata, rende inammissibile una prova dedotta incompletamente ed in particolare, senza l'indicazione dei testi, salvo il potere, discrezionale ed insindacabile del giudice istruttore di assegnare alla parte un termine perentorio per integrare la formulazione difettosa, ai sensi dell'ultimo comma dello stesso articolo (Cass. 1 marzo 1995 n. 2337). Con la conseguenza che qualora la parte, nel richiedere la prova testimoniale, non abbia indicato i nominativi dei testimoni da escutere - ed il giudice non si sia avvalso del potere discrezionale conferitogli dalla legge di concedere alla parte un termine per l'indicazione degli stessi - la prova deve essere dichiarata inammissibile, anche d'ufficio, per violazione di un precetto di carattere processuale attinente alla regolarità del contraddittorio e la decisione sul punto non è sindacabile in sede di legittimità. (In questo senso, cfr. Cass. 11 settembre 1993 n. 9476, 20 febbraio 1996 n. 1315, 4 marzo 1998 n. 2399). Sfugge, pertanto, a qualsiasi censura la conclusione cui sono pervenuti i giudici di appello i quali hanno ritenuto di dover omettere, nella loro decisione, il contenuto di dette testimonianze e hanno giudicato sulla base degli altri elementi di prova addotti dagli attori, considerando la mancata risposta all'interrogatorio formale del convenuto, non suffragata da altri elementi di prova, insufficiente a far ritenere ammessi i fatti dedotti nell'atto di citazione (tenuto conto anche della circostanza che, nel caso di specie, si trattava di un rapporto processuale con pluralità di parti).
In tal modo, i giudici di appello si sono attenuti al costante insegnamento di questa Corte secondo il quale "la mancata risposta all'interrogatorio rappresenta un fatto, qualificato, riconducibile al più ampio ambito del comportamento della parte nel processo, cui il giudice può riconnettere valore di ammissione dei fatti dedotti e così di prova, ma che resta tuttavia soggetto alla sua prudente valutazione ed al quale, quindi, il giudice, senza incorrere in violazione della legge processuale, può negare nel caso concreto quel valore (Cass. 11233 del 1997, cfr. anche Cass. 1264 del 1995). Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato.
Nessuna pronuncia in ordine alle spese non avendo gli intimati svolto difese in questa sede.