Cass. civ., sez. I, sentenza 03/06/2020, n. 10496
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La natura sinallagmatica del contratto di associazione in partecipazione rende applicabile la disciplina della risoluzione per inadempimento, che richiede una valutazione di gravità degli addebiti, da effettuarsi alla luce del complessivo comportamento delle parti, dell'economia generale del rapporto e del principio di buona fede nell'esecuzione del contratto sancito dall'art. 1375 c.c., che, per l'associante, si traduce, nel dovere di portare a compimento l'impresa o l'affare nel termine ragionevolmente necessario. Alla pronuncia di risoluzione consegue, oltre all'effetto liberatorio per le prestazioni ancora da eseguire, anche quello restitutorio per quelle già eseguite, con obbligo, per l'associante, di restituire l'apporto ricevuto dall'associato, non essendo l'associazione in partecipazione riconducibile alla categoria dei contratti ad esecuzione continuata. (Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia di risoluzione del contratto per inadempimento dell'associante, adottata dal giudice di merito, dopo aver riscontrato plurimi inadempimenti, tra cui l'omessa destinazione all'attività d'impresa dell'apporto in denaro dell'associato, ritenuta espressiva di una condotta contraria a buona fede, per essere tale apporto strumentale all'esercizio dell'impresa oggetto dell'associazione).
Sul provvedimento
Testo completo
८ 10496.20 1 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE PRIMA SEZIONE CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati Oggetto ASSOCIAZIONE CARLO DE CHIARA Presidente In Consigliere UMBERTO LUIGI CESARE PARTECIPAZIONE GIUSEPPE SCOTTI LAURA TRICOMI Consigliere Ud. 07/01/2020 PU GIULIA IOFRIDA Consigliere Rel. Cron. 10496 - LOREDANA NAZZICONE Consigliere R.G.N. 24213/2017 SENTENZA sul ricorso 24213/2017 proposto da: B D, elettivamente domiciliato in Roma, Via Cosenza 8, presso lo studio dell'avvocato S A, rappresentato e difeso dall'avvocato L C, giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro 16 202 C R, elettivamente domiciliato in Roma, Viale Angelico 34, presso lo studio dell'avvocato P F, rappresentato e difeso dall'avvocato C G, C A, giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrente - avverso la sentenza n. 1631/2017 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 14/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/01/2020 da IOFRIDA GIULIA udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale CAPASSO LUCIO, che ha concluso per il rigetto;
udito l'Avvocato S A con delega scritta per il ricorrente, che si riporta agli atti;
udito l'Avvocato C G per il controricorrente, che si riporta agli atti.
FATTI DI CAUSA
La Corte d'appello di Firenze, con sentenza n.1631/2017, depositata in data 14/7/2017, - in controversia promossa da R C, nei confronti di D B, al fine di sentire dichiarare risolto, di diritto, ex art.1454 c.c., quale effetto di diffide inoltrate dal primo nel maggio e nell'agosto 2008, ovvero, ex art.1453 c.c., per grave inadempimento del convenuto, consistente nella violazione del principio di buona fede a causa di una cattiva gestione dell'impresa da parte dell'associante, caratterizzata da «continui prelievi dalle casse aziendali», per finalità extra-aziendali, distrazione dei conferimenti in denaro apportati dall'associato e violazione dell'obbligo di rendicontazione, il contratto definitivo di associazione in partecipazione, stipulato inter partes il 2 18/10/ 2007 (facente seguito ad un preliminare del settembre dello stesso anno), avente ad oggetto un'attività di rivendita di monopoli della Tabaccheria del Ponte sita in Vinci, con condanna del convenuto alla restituzione della somma di € 130.000,00, versata, quale apporto all'associazione (in aggiunta alla propria attività lavorativa), dal C, ed al risarcimento dei danni ☑ ha riformato la decisione di primo - grado, che aveva respinto tutte le domande attrici (ed anche la domanda riconvenzionale del convenuto B). In particolare, i giudici d'appello, rilevato preliminarmente che parte appellata B non aveva censurato i capi della decisione impugnata relativi al rigetto della domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto per inadempimento dell'associato C e di risarcimento danni, hanno sostenuto che doveva accogliersi la domanda formulata dal C ex art.1453 C.C., stante il grave inadempimento dell'associante, consistito: 1) nella mancata dimostrazione dell'effettivo impiego dell'apporto di capitale eseguito dal C nell'azienda (non potendo l'associante, titolare d'impresa, «decidere autonomamente l'impiego di tali somme», senza farle confluire nell'impresa), così pregiudicando anche il diritto dell'associato alla percezione degli utili pro-quota concordato in contratto, ed avendo il medesimo associante, da un lato, ammesso di avere ricevuto la somma versata dal C, quale «controvalore per l'ingresso nell'azienda», e che tale importo si riferiva a «questioni private che nulla hanno a che vedere con l'impresa», e, dall'altro, non provato di avere impiegato la somma nell'attività di tabaccheria;
2) nel fatto che, a fronte della contestazione dell'associato, del maggio 2008, sui prelievi dalle casse aziendali, l'associante si era limitato a rivendicare l'autonomia gestionale, che tuttavia «non poteva estendersi al compimento di atti tali da indebolire e /o pregiudicare la situazione 3 patrimoniale dell'azienda ed il diritto agli utili da parte dell'associato»;
3) nella mancata rendicontazione sull'attività, in violazione del principio generale di buona fede e del diritto dell'associato, ex art.5 del contratto definitivo, di accesso e consultazione della documentazione fiscale e contabile per l'esercizio del potere di controllo della gestione, non avendo l'associante risposto alle specifiche richieste dell'associato, del 29/5 e del 9/8 del 2008, di rendiconto dell'attività svolta sino alle date e di prospetto di natura extracontabile per la ricostruzione dei flussi finanziari. Di conseguenza, ad avviso della Corte territoriale, il convenuto, in accoglimento del gravame del C, doveva essere condannato (non essendo il contratto in oggetto caratterizzato da «un continuo sinallagma», in relazione alla seconda parte dell'art.1458 c.c.) alla restituzione della somma di € 130.000,00, oltre interessi legali dal conferimento, ma non anche al pagamento degli utili ed al risarcimento del danno. Avverso la suddetta pronuncia, D B propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti di R C (che resiste con controricorso). A seguito di proposta redatta ex art.380 bis c.p.c., il ricorrente ha depositato memoria ed il Collegio della Sesta Civile Sottosezione Prima, con ordinanza interlocutoria n. Как 23608/2019, ritenendo che non ricorressero i presupposti per la decisione camerale, ha disposto la rimessione della causa in pubblica udienza dinanzi alla Prima civile. Il controricorrente ha depositato istanza di liquidazione delle spese relative alla procedura di sospensione dell'esecuzione della sentenza d'appello. Il ricorrente ha depositato memoria. RAGIONI DELLA DECISIONE 4 1. Il ricorrente lamenta: con il primo motivo, sia la violazione degli artt.1375, 2552 2697 C.C., stante l'insussistenza di e un inadempimento, da parte di esso associante, al principio di buona fede nell'esecuzione del contratto, nonché, ex art. 360 n. 5 c.p.c., vizio di motivazione, in violazione dell'art. 132 n. 4 c.p.c., stante il mancato esame di fatti decisivi, rappresentati dalla «massima disponibilità»> manifestata dal B per la visione di documenti contabili, essendosi solo contestata la continua ingerenza dell'associato nell'attività di impresa, dalla mancata prova da parte del C dei prelievi dalle casse aziendali e dall'insussistenza di un obbligo di rendiconto infrannuale, non avendo la gestione dell'attività superato l'anno né essendo stato compiuto l'affare oggetto del contratto;
con il secondo motivo, sia la violazione degli artt. 2549, 2553 e 2697 c.c., stante l'insussistenza di un diritto alla restituzione del contributo iniziale «di ingresso in impresa già avviata», e quindi da qualificarsi come corrispettivo. dovuto per partecipare ai benefici derivanti dell'attività, contributo, versato dall'associato ed acquisito all'impresa, in difetto, oltretutto, di un obbligo di utilizzo specifico della somma, e che doveva essere restituito solo in caso di positiva conclusione dell'affare, nonché, ex art. 360 n. 5 c.p.c., vizio di motivazione, in violazione dell'art. 132 n. 4 c.p.c., stante il mancato esame di fatti decisivi, rappresentati dall'insussistenza di un obbligo dell'associante di conferimento dell'importo versato dall'associato in un conto corrente piuttosto che in un altro o di impiego dello stesso per estinguere i mutui contratti per l'esercizio dell'attività.
2. Le due censure, da trattare unitariamente, in quanto connesse, sono, in parte, inammissibili, in parte, infondate. 5 2.1. L'associazione in partecipazione (art.2549 c.c.) è un contratto di scambio o sinallagmatico con il quale l'associante attribuisce all'associato, con cadenza annuale se la gestione si protrae per più anni, una partecipazione agli eventuali utili di una sua impresa o di uno o più affari, dietro corrispettivo di un determinato apporto, in genere, costituito da una somma di denaro (con partecipazione, di regola, anche alle perdite dell'impresa o dell'affare, ma sempre nei limiti dell'apporto, Cass. 24376/2008, Cass. 15920/2007, Cass 503/1996), ma talvolta da una prestazione lavorativa, distinguendosi in tal caso il rapporto da quello di lavoro subordinato perché manca il vincolo di dipendenza e la garanzia di un guadagno che sono connaturati al rapporto di lavoro. Trattasi di uno strumento che consente all'imprenditore di reperire mezzi finanziari per lo svolgimento della propria attività o per il compimento di determinate