Cass. civ., sez. I, sentenza 30/10/2013, n. 24483

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Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto da una banca nei confronti di un correntista, la nullità delle clausole del contratto di conto corrente bancario che rinviano alle condizioni usualmente praticate per la determinazione del tasso d'interesse o che prevedeono un tasso d'interesse usurario è rilevabile anche d'ufficio, ai sensi dell'art. 1421 cod. civ., qualora vi sia contestazione, anche per ragioni diverse, sul titolo posto a fondamento della richiesta di interessi, senza che ciò si traduca in una violazione dei principi della domanda e del contraddittorio, i quali escludono che, in presenza di un'azione diretta a far valere l'invalidità di un contratto, il giudice possa rilevare d'ufficio la nullità per cause diverse da quelle dedotte dall'attore.

L'onere di dimostrare l'avvenuto conferimento del potere rappresentativo al soggetto che ha proposto l'impugnazione in nome e per conto altrui non sorge automaticamente per effetto dell'esercizio di tale potere, ma solo in caso in contestazione, che può essere sollevata anche in sede di legittimità, in quanto essa riguarda un presupposto attinente alla regolare costituzione del rapporto processuale; qualora tale questione venga sollevata per la prima volta nel corso del giudizio di cassazione, deve essere riconosciuta all'interessato la possibilità di fornire la predetta dimostrazione, mediante la produzione, ai sensi dell'art. 372 cod. proc. civ., dei documenti comprovanti la legittimazione processuale.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, sentenza 30/10/2013, n. 24483
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 24483
Data del deposito : 30 ottobre 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C C - Presidente -
Dott. S A - Consigliere -
Dott. A M - Consigliere -
Dott. M G - rel. Consigliere -
Dott. L A P - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A M, NNBMRA44M22G293O elettivamente domiciliato in Roma, alla via Camozzi n. 1, presso l'avv. Pellegrino Carmine, dal quale è rappresentato e difeso in virtù di procura speciale a margine del ricorso;



- ricorrente -


contro
CAPITALIA SERVICE J.V. S.R.L. 07476881003, rappresentata da Forte Alberto e Giove Giuseppe in virtù di procura per notaio Z D del 17 ottobre 2007, rep. n. 218, in qualità di mandataria di UNICREDITO ITALIANO S.P.A., in virtù di procura per notaio A M Z del 16 giugno 2004, rep. n. 76525, elettivamente domiciliata in Roma, alla via della Giuliana n. 44, presso l'avv. NUZZACI VITTORIO, dal quale è rappresentata e difesa in virtù di procura speciale in calce al controricorso;



- controricorrente -


avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 1038/07, pubblicata il 1 marzo 2007. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17 settembre 2013 dal Consigliere dott. G M;

udito l'avv. N per la controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Gambardella Vincenzo, il quale ha concluso per la dichiarazione d'inammissibilità del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. - La Edil Gima S.r.l. e A Mario proposero opposizione al decreto emesso il 26 maggio 1993, con cui il Presidente del Tribunale di Roma aveva ingiunto alla prima in qualità di debitrice principale ed al secondo in qualità di fideiussore il pagamento della somma di L. 272.862.373, dovuta alla Banca di Roma a titolo di saldo debitore di due conti correnti intestati alla predetta società e di restituzione dell'importo di cambiali dalla stessa scontate e rimaste insolute.
Il giudizio, dichiarato interrotto a seguito dell'intervenuta dichiarazione di fallimento della debitrice principale, fu riassunto dal fideiussore.
1.1. - Con sentenza del 19 giugno 2003, il Tribunale di Roma dichiarò cessata la materia del contendere tra la Banca ed il fallimento della Edil Gima e rigettò l'opposizione proposta dall'A, affermando peraltro che ai rapporti di conto corrente era applicabile il tasso d'interesse legale, con la conseguenza che l'importo dovuto a tale titolo risultava pari ad Euro 39.542,91 per capitale ed Euro 40.312,87 per interessi. 2. - Sull'impugnazione proposta dalla Capitalia Service J.V. S.r.l., in qualità di mandataria di Capitalia S.p.a., la Corte d'Appello di Roma, con sentenza del 1 marzo 2007, ha riformato la sentenza di primo grado, rigettando l'opposizione al decreto ingiuntivo. Premesso che la sentenza impugnata risultava contraddittoria nella parte in cui, nonostante il rigetto dell'opposizione, aveva modificato l'importo dovuto a titolo d'interessi sui conti correnti, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ha ritenuto che il Tribunale avesse inteso confermare l'esistenza del debito per capitale, implicitamente revocando il decreto ingiuntivo. Rilevato peraltro che a sostegno dell'opposizione l'A si era limitato a far valere l'inferiorità del tasso d'interesse pattuito rispetto a quello praticato dalla Banca, senza eccepire la nullità della relativa clausola per indeterminatezza o la misura usuraria degl'interessi, ha osservato che la tesi dell'opponente era smentita dai contratti di conto corrente, i quali indicavano il tasso applicato dalla Banca, rinviando alle condizioni usualmente praticate su piazza soltanto per le variazioni intervenute nel corso del rapporto;
ha quindi ritenuto che, nel limitare il riconoscimento degl'interessi alla misura legale, il Giudice di primo grado fosse incorso in ultrapetizione, nonché in violazione dell'art. 1284 c.c., comma 2, che prevede l'applicabilità del tasso legale soltanto in
assenza di una misura convenzionale, precisando che l'unica altra domanda volta alla modifica del tasso d'interessi era quella di riconoscimento della capitalizzazione trimestrale avanzata dalla Banca, ormai estranea al thema decidendum, in quanto non accolta in primo grado e non riproposta in appello.
3. - Avverso la predetta sentenza l'A propone ricorso per cassazione, articolato in sei motivi. Resiste con controricorso la Capitalia Service J.V. S.r.l., in qualità di mandataria della Unicredito Italiano S.p.a., succeduta alla Capitalia S.p.a. a seguito di fusione per incorporazione con atto per notaio P M del 25 settembre 2007, rep. n. 18322.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. - Con il primo motivo d'impugnazione il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 101, 102, 331 e 332 c.p.c., evidenziando la compromissione del contraddittorio derivante dalla mancata citazione in appello del fallimento della Edil Gima, la cui posizione era inscindibile da quella di esso ricorrente, avendo entrambi partecipato al giudizio di primo grado in qualità di parti debitrici.
1.1. - Il motivo è infondato.
La fideiussione non da luogo, sul piano processuale, ad un litisconsorzio necessario tra il debitore principale ed il garante, in quanto, essendo gli stessi obbligati in solido, ai sensi dell'art.1944 c.c., comma 1, nei confronti del creditore, quest'ultimo è
legittimato ad agire per il pagamento dell'intero debito nei confronti di ciascuno dei ciascuno degli obbligati, senza essere tenuto a convenire in giudizio anche l'altro.
Il cumulo soggettivo derivante dalla proposizione congiunta dell'azione nei confronti di entrambi da pertanto luogo ad un litisconsorzio facoltativo, che, rendendo possibile in qualsiasi momento la scissione del rapporto processuale, consente al giudizio di proseguire utilmente in sede d'impugnazione anche in caso di proposizione dell'appello da parte di uno solo degli obbligati, senza che sia necessario disporre l'integrazione del contraddittorio nei confronti dell'altro, ai sensi dell'art. 331 c.p.c., non vertendosi in tema di cause inscindibili (cfr. Cass., Sez. 3, 30 maggio 2008, n. 14469;
Cass., Sez. 2, 21 novembre 2006, n. 24680;
Cass., Sez. 1, 15 febbraio 2005, n. 3028). 2. - È parimenti infondato il secondo motivo, riflettente la violazione degli artt. 110, 111, 163, 165, 299, 342 e 347 c.p.c.. Sostiene infatti il ricorrente che legittimata all'impugnazione della sentenza di primo grado era esclusivamente la Banca di Roma, in quanto la Capitalia, erroneamente indicata dal Tribunale quale parte convenuta, non si era mai costituita in giudizio, ma si era limitata a comparire in udienza ed a depositare la comparsa conclusionale, senza specificare la propria posizione e dare prova della propria legittimazione. Aggiunge che neppure la Capitalia Service J.V. ha fornito la prova della propria legittimazione ad appellare in qualità di mandataria, mancando nell'atto di appello qualsiasi riferimento alla sentenza impugnata e ai documenti prodotti. 2.1. - La legittimazione della Capitalia a proseguire il giudizio di primo grado in luogo della Banca di Roma e ad appellare la relativa sentenza, mai posta in dubbio nelle precedenti fasi processuali, è stata peraltro contestata soltanto in questa sede, nella quale la controricorrente ha comunque ribadito l'indicazione già fornita a verbale in primo grado, e riportata dallo stesso ricorrente, secondo cui non si tratta di un soggetto diverso intervenuto in sostituzione della società convenuta, ma della nuova denominazione dalla stessa assunta, la cui adozione, configurandosi come una mera modificazione formale dell'organizzazione societaria già esistente, non richiedeva la rinnovazione della costituzione in giudizio con il rilascio di una nuova procura al difensore.
La legittimazione della Capitalia Service J.V. ad impugnare la sentenza di primo grado nell'affermata qualità di mandataria della Capitalia, rimasta anch'essa incontestata nel giudizio di appello, è stata invece dimostrata nella presente fase mediante la produzione delle procure rilasciate dalla mandante con atti per notaio A M Z del 28 maggio 2003, rep. n. 74350, e del 6 aprile 2004, rep. n. 76072. Tale produzione deve considerarsi ammissibile, pur avendo ad oggetto documenti che si riferiscono alla legittimazione ad appellare, in quanto l'esigenza della relativa prova è emersa soltanto in questa sede, per effetto della contestazione sollevata dal ricorrente. L'onere di dimostrare l'avvenuto conferimento del potere rappresentativo al soggetto che ha proposto l'impugnazione in nome e per conto altrui non sorge infatti automaticamente per effetto dell'esercizio di tale potere, ma solo in caso di contestazione, che può essere sollevata anche in sede di legittimità, in quanto attiene alla legitimatio adprocessum, la cui verifica, trattandosi di un presupposto necessario per la valida costituzione del rapporto processuale, può aver luogo in ogni stato e grado del giudizio, anche d'ufficio, salvo il limite del giudicato, con la conseguenza che, ove la questione venga proposta per la prima volta nel giudizio di cassazione, deve essere riconosciuta all'interessato la possibilità di fornire la predetta dimostrazione, mediante la produzione, ai sensi dell'art. 372 c.p.c., dei documenti comprovanti la legittimazione processuale (cfr. Cass., Sez. lav., 27 agosto 2003, n. 12547).
3. - Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 112 c.p.c., sostenendo che nelle proprie conclusioni l'appellante si era limitata a chiedere la dichiarazione d'inammissibilità o improcedibilità dell'opposizione, ed in subordine la conferma del rigetto della stessa e del decreto ingiuntivo.
4. - La censura va esaminata congiuntamente a quella di cui al quarto motivo, con cui il ricorrente ribadisce la violazione dell'art. 112 c.p.c., denunciando anche l'omissione e la contraddittorietà della
motivazione della sentenza l'impugnata, nella parte in cui, pur avendo ritenuto implicitamente revocato il decreto ingiuntivo, ha confermato l'esistenza del debito per capitale, ma ha riformato la sentenza appellata, in assenza di uno specifico motivo d'impugnazione.
5. - Entrambi i motivi sono infondati.
La Corte d'Appello non si è affatto limitata a confermare l'esistenza del credito per capitale fatto valere nel procedimento monitorio, già accertata dalla sentenza di primo grado, ma, in contrasto con quest'ultima, ha ritenuto che, nel dichiarare non dovuta una parte dell'importo richiesto dalla Banca per interessi, il Tribunale avesse pronunciato ultra petita, e per tale motivo ha rigettato l'opposizione al decreto ingiuntivo proposta dal ricorrente. Tale conclusione non si pone in contraddizione con l'interpretazione della sentenza di primo grado che ne costituisce la premessa, avendo la Corte di merito ritenuto che, nonostante il rigetto dell'opposizione risultante dal dispositivo, il Tribunale avesse inteso in realtà revocare il decreto ingiuntivo, proprio in virtù dell'affermata inesistenza parziale del credito per interessi. Irrilevante, in quest'ottica, è la circostanza che, a causa della sua errata formulazione, il dispositivo della sentenza di primo grado risulti sostanzialmente identico a quello della sentenza di appello, essendo quest'ultima destinata a prendere interamente il posto della prima, assorbendone i relativi vizi, in virtù dell'effetto sostitutivo del gravame, operante tanto in caso di conferma quanto in caso di riforma della sentenza impugnata (cfr. Cass., Sez. 3, 10 ottobre 2008, n. 25013;
Cass., Sez. 5, 25 gennaio 2008, n. 1604;

Cass., Sez. lav., 10 settembre 1999, n. 9661).
L'accoglimento dell'appello ha poi avuto luogo per effetto della ritenuta fondatezza dell'unico motivo dedotto dalla Banca, con cui era stato fatto valere il vizio di ultrapetizione in cui sarebbe incorso il Giudice di primo grado, per aver dichiarato che gl'interessi erano dovuti al tasso legale anziché a quello convenzionale, sebbene l'opponente non avesse fatto valere la nullità della relativa pattuizione, ma solo l'applicabilità di un tasso convenzionale inferiore a quello riconosciuto con il decreto ingiuntivo. La lettura delle conclusioni formulate dall'appellante e trascritte nell'epigrafe della sentenza impugnata evidenzia inoltre che all'esito del giudizio la Banca aveva chiesto in via principale la dichiarazione d'inammissibilità o d'improcedibilità dell'opposizione, ed in subordine il rigetto della stessa, con la conferma del decreto opposto. Il ricorrente contesta il contenuto e l'ampiezza del gravame, come individuati dalla Corte di merito sulla base delle censure proposte e delle conclusioni formulate dall'appellante, senza però essere in grado di indicare eventuali carenze dell'iter logico da quest'ultima seguito o elementi ai quali essa avrebbe attribuito un significato estraneo al senso comune, in tal modo dimostrando di voler sollecitare una nuova lettura dell'atto di appello, non consentita a questa Corte, dal momento che l'interpretazione della domanda costituisce un'attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, e sindacabile in sede di legittimità esclusivamente per incongruenza o illogicità della motivazione (cfr. Cass., Sez. 3, 6 ottobre 2005, n. 19475;

Cass., Sez. lav., 29 luglio 2003, 11667;
Cass., Sez. 2, 14 aprile 1999, n. 3678). 6. - Con il quinto motivo il ricorrente insiste sulla violazione dell'art. 112 c.p.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che egli si fosse limitato a contestare la misura degl'interessi convenzionali, laddove, sia nell'atto di citazione che in sede di precisazione delle conclusioni, egli aveva contestato l'entità complessiva dell'esposizione debitoria, chiedendo in via subordinata la riduzione dell'importo richiesto in considerazione del tasso d'interesse illegittimamente applicato dalla Banca. 7. - Con il sesto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 112 c.p.c. e dell'art. 1284 c.c., sostenendo che erroneamente la Corte di merito ha ritenuto affetta da ultrapetizione la sentenza di primo grado, avendo il Tribunale correttamente applicato, in ossequio al principio jura novit curia, il tasso d'interesse legale in luogo di quello convenzionale richiesto con il ricorso per decreto ingiuntivo, in considerazione della nullità del contratto, il quale prevedeva un tasso d'interesse non riferito ad un'unità temporale.
8. - Le predette censure, da esaminarsi anch'esse congiuntamente, in quanto riflettenti entrambe l'insussistenza del vizio di ultrapetizione accertato dalla sentenza impugnata, sono fondate. Premesso che l'unico motivo addotto a sostegno dell'opposizione riguardante la misura degl'interessi riconosciuti con il decreto ingiuntivo era costituito dalla divergenza tra il tasso praticato dalla Banca e quello asseritamente pattuito tra le parti, la Corte d'Appello ha infatti ritenuto che neppure la generica deduzione dell'illegittimità degl'interessi, risultante dalle conclusioni rassegnate dall'A in udienza, consentisse di ravvisarvi un richiamo alla L. 17 febbraio 1992, n. 154, art. 4 o alla L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 4, ed ha pertanto concluso che, nell'escludere
l'applicabilità del tasso d'interesse convenzionale a favore di quello legale, il Tribunale aveva pronunciato ultra petita, oltre a non aver motivato in alcun modo la propria decisione. Tale conclusione si pone in contrasto con il principio, reiteratamente enunciato da questa Corte, secondo cui nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto da una banca nei confronti di un correntista la nullità delle clausole del contratto di conto corrente bancario che rinviano alle condizioni usualmente praticate per la determinazione del tasso d'interesse o che prevedono un tasso d'interesse usurario è rilevabile anche d'ufficio, ai sensi dell'art. 1421 c.c., qualora vi sia contestazione, anche per ragioni diverse, sul titolo posto a fondamento della richiesta degli interessi, senza che ciò si traduca in una violazione del principio della domanda, il quale esclude che, in presenza di un'azione diretta a far valere l'invalidità di un contratto, il giudice possa rilevare d'ufficio la nullità per cause diverse da quelle dedotte dall'attore (cfr. Cass., Sez. 1, 8 marzo 2012, n. 3649;
25 novembre 2010, n. 23974;
10 ottobre 2007, n. 21141
). L'opposizione determina infatti l'instaurazione di un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice non deve limitarsi a verificare se l'ingiunzione sia stata legittimamente emessa, ma deve procedere all'accertamento del credito azionato nel procedimento monitorio, sulla base del titolo posto a fondamento della domanda, la cui nullità può dunque essere rilevata anche d'ufficio, rientrando tra i compiti del giudice la verifica in ordine alla sussistenza delle condizioni dell'azione (cfr. Cass., Sez. 1, 21 dicembre 2007, n. 27088;
31 agosto 2007, n. 18453
). In tale giudizio, d'altronde, il debitore, pur rivestendo formalmente la qualità di attore, assume la posizione di convenuto in senso sostanziale, configurandosi la domanda proposta dal creditore come una ordinaria azione di adempimento, rispetto alla quale l'eventuale deduzione della nullità da parte dell'opponente non si pone come autonoma domanda o eccezione, ma come mera difesa, volta a sollecitare l'esercizio del potere ufficioso del giudice, il quale non subisce pertanto limitazioni in relazione alle cause d'invalidità fatte valere dalla parte (cfr. Cass., Sez. 1, 9 gennaio 2013, n. 350;
28 ottobre 2005, n. 21080
). L'applicabilità di tale principio, nella specie, non poteva essere esclusa, come ha ritenuto la Corte di merito, in virtù dell'omessa motivazione della decisione adottata dal Tribunale: il giudice d'appello che rilevi la mancanza, l'insufficienza o la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata con riferimento ad una o più questioni sollevate dalle parti, non può infatti limitarsi alla declaratoria del relativo vizio, ma è tenuto, in ossequio all'efficacia sostitutiva del gravame, a decidere nel merito sulla domanda proposta in primo grado, salve le ipotesi di rimessione della causa al primo giudice tassativamente previste dagli artt. 353 e 354 c.p.c., tra le quali non rientra il difetto di motivazione (cfr. Cass., Sez. 1, 5 dicembre 2008, n. 28838;
Cass., Sez. 3, 25 maggio 1992, n. 6243). 9. - La sentenza impugnata va pertanto cassata, nei limiti segnati dalle censure accolte, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d'Appello di Roma, che provvedere, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

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