Cass. pen., sez. I, sentenza 23/08/2022, n. 31504

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 23/08/2022, n. 31504
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 31504
Data del deposito : 23 agosto 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: VIGANO' ROBERTO, nato a ROMA il 26/09/1961 avverso la sentenza del 01/10/2020 della CORTE APPELLO di ROMAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere T L;
letta la requisitoria del Procuratore generale, L G, la quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 1°/10/2020 la Corte d'appello di Roma ha riformato quoad poenam la sentenza del 21/11/2019 del Tribunale di Tivoli che aveva condannato R V alla pena di ventidue anni di reclusione - ridotta ad anni diciannove e mesi tre - per avere concorso nella rapina aggravata negli uffici della ditta Bet & Slot Srl. e nel triplice tentato omicidio di appartenenti all'Arma dei Carabinieri, accorsi a sventare la rapina (L A;
M V e L V);
per i connessi delitti in materia di armi e per la ricettazione delle armi destinate alla rapina, oltre che dei veicoli e delle targhe, in ordine ai quali sono stati accertati anche i delitti di riciclaggio e di occulta- mento o soppressione delle targhe originali;
per i reati di violenza e minaccia, nonché di lesioni aggravate, in danno dei citati Carabinieri;
delitti commessi o accertati in San Cesareo, il 31/1/2017. A tutti gli originari imputati è stata contestata la recidiva reiterata e specifica (che tuttavia non ha influito sulla determinazione del trattamento sanzionatorio).

1.1. La vicenda era avvenuta nel contesto di una rapina perpetrata da cinque individui riuniti ed armati con pistole funzionanti e cariche, con proiettili in canna (come risultava dal verbale di arresto, circostanza verificata direttamente dai Carabinieri), giunti in loco a bordo di autovetture di provenienza delittuosa, sulle quali erano state montate targhe appartenenti ad altri veicoli, vestiti in modo eguale e con i volti travisati da passamontagna, con disponibilità di telefoni cellulari utilizzati come citofoni, cioè adattati ad esclusiva comunicazione nel circuito interno al gruppo, e con dotazione di carrelli e sacchi per l'asporto del denaro. Nel corso della rapina, gli agenti non avevano esitato a prendere in ostaggio i dipendenti della ditta, dapprima Simone Capogna costretto ad aprire il cancello carrabile per permettere l'ingresso delle automobili dei rapinatori, e poi i dipendenti che erano all'interno del capannone, costretti con la minaccia delle armi a consegnare i telefoni cellulari e a sdraiarsi con il volto rivolto a terra;
Francesco Pistone, il quale era l'unico a conoscere la password del locale cassaforte, era stato colpito alla testa con il calcio della pistola e costretto ad aprire quel vano. All'arrivo dei Carabinieri, i rapinatori non si arrendevano ma ingaggiavano un conflitto a fuoco, servendosi anche di due ostaggi come scudi umani, e si allontanavano precipitosamente a bordo della vettura Range Rover, incuranti della presenza di altri militari e di un'autoradio.

1.2. La Corte di appello ha dunque confermato la responsabilità concor- suale del V per i delitti di tentato omicidio, resistenza e lesioni pluri- aggravate in danno dei Carabinieri intervenuti, osservando che tale complessa organizzazione e le modalità operative erano state certamente oggetto di previsione nella preparazione della rapina, specialmente quanto alla necessità di usare le armi per fronteggiare i vari dipendenti della ditta e per costringere il Pistone ad aprire la cassaforte, nonché - circostanza sicuramente considerata in fase ideativa - per aprirsi la via di fuga in caso di intervento delle forze dell'ordine: all'uopo il gruppo si era dotato di quattro pistole funzionanti e pronte all'uso, per avere il colpo in canna. Pertanto, lo sviluppo dell'azione predatoria così congegnata in tentati omicidi pluriaggravati non potrebbe definirsi imprevedibile, ma evenienza pienamente considerata nella programmazione e predisposizione di una simile azione di alto profilo criminale, da parte di soggetti esperti, tutti recidivi reiterati e specifici.

1.3. Quanto al trattamento sanzionatorio, la Corte territoriale ha confer- mato la negazione delle circostanze attenuanti generiche, passando in rassegna gli elementi ostativi all'invocato temperamento della pena, ma - fermo restando l'aumento di tre anni per la rapina aggravata sulla pena base di anni quattordici per il triplice tentato omicidio - ha ridotto l'aumento per la continuazione in ordine ai reati di cui ai capi da C) a I) così da giungere alla pena finale di anni diciannove e mesi tre di reclusione.

2. Avverso detta sentenza l'imputato R V ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore, avv. M B, avanzando i seguenti motivi di impugnazione.

2.1. Il ricorrente denuncia violazione di legge per la lesione del diritto di difesa, con riferimento alla violazione del principio del contraddittorio determi- nata dal rigetto dell'istanza difensiva di visionare nel dibattimento pubblico i filmati estrapolati dalle telecamere di sicurezza della ditta Bet&Slot durante la rapina. Una visione dei filmati capillare e ripetuta, nel contraddittorio delle parti, avrebbe consentito di valorizzare specifici passaggi di immagine decisivi per la ricostruzione della vicenda, anche in ordine all'elemento soggettivo del tentato omicidio dei Carabinieri. Invero, la Corte di appello può non avere percepito alcuni fotogrammi fondamentali e ciò, insieme alla mancanza di indagini bali- stiche sulla posizione dei bossoli in rapporto a quella del Carabiniere Animobono schermato dalla vettura Opel Meriva, avrebbe dimostrato l'inverosimiglianza della tesi che uno sparo avrebbe potuto raggiungerlo.

2.2. Nel secondo motivo si deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'affermazione di responsabilità per il delitto di tentato omicidio. In particolare, si contesta la direzione della volontà degli agenti verso l'esito letale della loro azione di fuoco, desunta dalla mera constatazione che dall'interno dello stabile in cui erano asserragliati i rapinatori fossero stati esplosi colpi di arma. Ciò è particolarmente rilevante in merito al tentato omicidio del Car. Animobono, in quanto - pur in assenza di indagini balistiche - emerge che all'esterno del caseggiato si erano rinvenuti soltanto bossoli di armi in dotazione alle Forze dell'ordine (ben 32), nonché dalla visione dei filmati si notava che quasi contestualmente alla fuoriuscita di liquido dal cofano della Opel Meriva dietro la quale si era riparato l'Animobono, vi erano stati spari convergenti dei Carabinieri verso la porta dell'edificio, con consistente probabilità che il foro del radiatore fosse stato causato dal rimbalzo di uno di essi, come aveva rilevato il consulente tecnico della difesa, dott. Provenzano. Gli unici tre bossoli attribuibili ad armi diverse da quelle di ordinanza erano stati rinvenuti all'interno del caseggiato, peraltro non in prossimità della porta. Tali elementi di valutazione non sono stati considerati nell'impugnata sentenza, con particolare riguardo al tema della direzione degli spari, che si è data per provata sulla base di testimo- nianze che avevano parlato di spari che partivano dal capannone verso l'esterno. Ma tale dato non autorizza le conclusioni tratte dalla Corte territoriale, secondo le quali ciò significherebbe senz'altro sparare verso i Carabinieri per aprirsi la fuga. Dalla visione dei filmati, poi, si era tratta conferma dei due successivi tentati omicidi in danno dei Carabinieri che si trovavano sulla via di fuga dei rapinatori, ma ciò è stato giustificato con motivazione apparente che non è stata in grado di smentire la inidoneità dell'azione - come effettivamente avrebbero dimostrato i filmati - e dunque la mancanza di intenzionalità omicida dei fuggitivi. Il profilo psicologico andava provato con particolare approfondimento, posto che proprio nell'impugnata sentenza si era dato atto che l'obiettivo principale dei rapinatori era aprirsi una via di fuga.

2.3. Nel terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio argomentativo, per carenza ed illogicità della motivazione, in relazione ai parametri costituzionali e convenzionali, per non avere coinvolto la difesa negli accertamenti irripetibili (scarrellamento e messa in sicurezza delle armi;
raccolta di tracce ematiche), nonché per essere state restituite le vetture in sequestro senza interlocuzione con la difesa, che aveva avanzato richiesta di incidente probatorio sulle mede- sime, in particolare sulla Opel Meriva onde accertare a quale arma appartenesse il proiettile che aveva cagionato la fuoriuscita di liquido dal radiatore. Si denuncia che gli accertamenti irripetibili compiuti dai Carabinieri erano stati svolti senza darne avviso alla difesa, dunque erano inutilizzabili.

2.4. Nel quarto motivo si deduce violazione di legge con riferimento all'art. 585 cod. pen. in relazione all'imputazione di lesioni sub G), per la quale si lamenta carenza assoluta di motivazione: invero non si è giustificato che si sia trattato di lesioni volontarie, posto che dai filmati è stato possibile escludere che i Carabinieri siano stati feriti dalla vettura in fuga, o che si siano altrimenti feriti a causa dell'operato dei rapinatori. Non vi è stata alcuna colluttazione in cui sia rimasto ferito il Brigadiere Oliva, il quale aveva affrontato il rapinatore che teneva stretto un ostaggio, peraltro colpendo erroneamente l'ostaggio medesimo con una ginocchiata (e non con il calcio della pistola, come aveva testimoniato l'Ap.S. Chiarelli). Piuttosto, è stato il V ad essere ricoverato in ospedale con un trauma contusivo, evidenziato anche dalla foto segnaletica scattata dopo l'arresto. Non vi è stata risposta alla deduzione difensiva che chiedeva in subordine di qualificare le lesioni come colpose, in difetto di prova dell'elemento volontaristico.

2.5. Nel quinto motivo si deduce violazione di legge quanto alla diminuente ex art. 116 cod. pen., non essendo stata riconosciuta al V l'attenuante di avere voluto concorrere ad un reato diverso e meno grave di quello effettivamente commesso. L'imputato si trovava in una diversa stanza, intento a spostare le monete, e non era in grado di vedere cosa accadeva tra i complici e i Carabinieri. Non è congruo il richiamo agli arresti di legittimità che focalizzano sulla concreta previsione dell'evento più grave, mancando nel caso di specie proprio l'evento, trattandosi di fattispecie rimasta allo stadio del tentativo. Il ricorrente si è sottoposto ad interrogatorio rendendo la sua versione dei fatti;
l'uso di armi da parte di taluno dei concorrenti non può automaticamente estendere eventuali volontà delittuose più gravi a chi non volle il reato più grave;
né è stato possibile confutare il dato che le pistole avessero il colpo in canna e fossero funzionanti, essendo stata inibita alla difesa ogni possibilità di intervento durante gli accertamenti all'uopo esperiti.

2.6. Nell'ultimo motivo di impugnazione si lamenta l'eccessività del tratta- mento sanzionatorio e la negazione delle circostanze attenuanti generiche. Non si è considerato il positivo comportamento processuale del V, né il dato che la refurtiva sia stata integralmente recuperata;
la vicenda non ha cagionato ferite o danni gravi per nessuna delle persone offese. Le circostanze attenuanti generiche non implicano necessariamente una valutazione di non gravità del fatto, né la fissazione della pena in misura prossima al minimo, essendo invece preposte a garantire l'adeguamento della sanzione alla capacità a delinquere dell'imputato e, in definitiva, a consentire la finalità rieducativa della pena, di cui la "congruità" costituisce elemento essenziale. Infine, si stigmatizza che la negazione delle invocate attenuanti sia scaturita anche dalla mancata collaborazione nella individuazione dei correi riusciti a fuggire.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è complessivamente infondato e deve essere respinto.

1.1. Preliminarmente si precisa che - quanto all'affermazione di responsa- bilità dell'imputato - ci si trova al cospetto della conferma nei medesimi termini della sentenza di condanna pronunciata in primo grado, cioè ad una cosiddetta "doppia conforme". Tale costruzione postula che il vizio di motivazione deducibile e censurabile in sede di legittimità sia essenzialmente quello che - a presidio del devolutum - discende dalla pretermissione dell'esame
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