Cass. civ., sez. III, sentenza 12/07/2005, n. 14601

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Massime1

Nel giudizio di cassazione avente ad oggetto una controversia in materia di risarcimento dei danni da circolazione stradale, non è qualificabile come ricorso incidentale adesivo, da proporsi nei termini ordinari, quello proposto dalla compagnia assicuratrice che, avendo riportato condanna in appello unitamente al danneggiante, abbia impugnato la sentenza in forza di ragioni totalmente diverse da quelle fatte valere da quest'ultimo con il ricorso principale, ed unicamente per i capi che la riguardano, onde, tenuto conto della sussistenza, nella fattispecie in questione, di una situazione di litisconsorzio necessario, deve ritenersi che la compagnia assicuratrice, evocata con il ricorso principale, sia legittimata ad impugnare a sua volta la sentenza, nei termini di cui all'art. 334 cod. proc. civ., non solo nei confronti del ricorrente principale, ma anche nei confronti del danneggiato.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 12/07/2005, n. 14601
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 14601
Data del deposito : 12 luglio 2005
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. F G - Presidente -
Dott. M E - Consigliere -
Dott. F M - rel. Consigliere -
Dott. S A - Consigliere -
Dott. L G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
R C, A D, ARCOPINTO M T, ARCOMPINTO A, ARCOPINTO O, A G, eredi di A A e G, elettivamente domiciliati in Roma, via di Porta Pinciana n. 6, presso l'avv. S G, difesi dall'avv. F B, giusta delega in atti;



- ricorrenti -


contro
M C, T T, T A, T S, quali eredi di T E, elettivamente domiciliati in Roma, via Quattro Fontane n. 10, presso l'avv. L G, difesi dall'avv. D S A M, giusta delega in atti;



- controricorrenti -


e contro
Assicurazioni Generali s.p.a.
- intimata -
e sul ricorso (19420/02 R.G.) proposto da:
Assicurazioni Generali s.p.a., in persona dei legali rappresentanti R A e G R, selettivamente domiciliati in Roma, via Cicerone n. 49, presso l'avv. A B, che li difende anche disgiuntamente all'avv. M R, giusta delega in atti;

- controricorrente ricorrente incidentale -
contro
M C, T T, T A, T S, quali eredi di T E, elettivamente domiciliati in Roma, via Quattro Fontane n. 10, presso l'avv. L G, difesi dall'avv. Antonio Marco di Somma, giusta delega in atti;

- controricorrenti al ricorso incidentale -
e contro
R C, A D, ARCOFINTO M T, ARCOMPINTO A, ARCOPINTO O, A G, eredi di A A e G;



- intimati -


avverso la sentenza della Corte d'appello di Napoli n. 58/02 del 30 novembre 2001, deliberata il 7 dicembre 2001 e pubblicata il 14 gennaio 2002 (R.G. 2297/98 e 2394/98). Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 7 giugno 2005 dal Relatore Cons. Dott. Mario Finocchiaro;

Udito l'avv. M. Di Somma per i controricorrenti Masone e altri;

Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

NAPOLETANO

Giuseppe che ha concluso chiedendo l'accoglimento, per quanto di ragione, del ricorso principale e il rigetto di quello incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il 5 aprile 1975

MINUTOLO

Bernardo, alla guida della propria Fiat 850 CE 169967, sulla quale erano trasportati

GRASSINI

Fausto e T E, ha colliso, in Novellato di Cerinola (Ce) con l'autocarro NA 618195 di proprietà di A G, condotto dal figlio di questo ultimo, A A e assicurato per la responsabilità civile con la s.p.a. Generali.
Successivamente, il 26 marzo 1979 T E, lamentando di avere riportato lesioni con postumi dal descritto sinistro, ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Santa Maria Capua Vetere, A G e Antonio nonché la Generali s.p.a., chiedendo che, dichiarata la esclusiva responsabilità di A A in ordine al verificarsi del sinistro, la Generali fosse condannata al pagamento di lire 15 milioni (pari, all'epoca del fatto, al massimale assicurato) e gli ARCOPINTO, in via tra loro solidale, al pagamento della somma di lire 25 milioni oltre interessi e rivalutazione. In via subordinata, in caso di ritenuta colpa concorrente presunta del MINUTOLO, l'attore ha chiesto la condanna della Generali s.p.a. al pagamento della somma di lire 15 milioni e degli ARCOPINTO di lire 5 milioni, oltre rivalutazione e interessi.
Costituitisi i convenuti in giudizio, la Generali s.p.a. ha chiesto il rigetto della domanda attrice, contestandola. Gli ARCOPINTO, per loro conto, hanno pure essi resistito dalla domanda eccependo la prescrizione dell'azionato diritto e, comunque, nel merito, la infondatezza della pretesa, essendosi il sinistro verificato per colpa esclusiva del MINUTOLO.
Svoltasi l'istruttoria del caso l'adito tribunale con sentenza 6 giugno 1997 ritenuta la concorrente colpa presunta dei conducenti dei veicoli rimasti coinvolti, ha condannato la GENERALI al pagamento in favore dell'attore della somma di lire 25 milioni, oltre rivalutazione e interessi e gli ARCOPINTO al risarcimento del residuo danno, danno pari a lire 11.800.000 oltre rivalutazione e interessi. Gravata tale pronunzia in via principale da A G e in via incidentale da M T e A e T S, quali eredi di T E nonché dalla Generali s.p.a., la Corte di appello di Napoli, con sentenza 7 dicembre 2001 - 14 gennaio 2002 ha rigettato sia l'appello principale che quelli incidentali. Avverso tale ultima pronunzia, notificata il 10 aprile 2002 hanno proposto ricorso R C nonché A D, M T, A, O, G, quali eredi di A A e G, affidato a 4 motivi.
Resiste con controricorso e ricorso incidentale, affidato a un unico motivo e illustrato da memoria, la Assicurazioni Generali s.p.a. M C, T T, T A e T S, quali eredi di T E resistono, 1 con distinti controricorsi, a entrambi i ricorsi.
MOTIVI DELLA DECISIONE


1. I vari ricorsi, tutti proposti contro la stessa sentenza, devono essere riuniti, ai sensi dell'art. 335 c.p.c. 2, Come esposto in parte espositiva con l'atto introduttivo del giudizio, in primo grado, T E ha chiesto - in via principale - che, dichiarata la esclusiva colpa di A A (in ordine al sinistro oggetto di controversia) la società Assicurazioni Generali fosse condannata al pagamento della somma di lire 15 milioni, pari al massimale dell'epoca del fatto, e gli ARCOPINTO al pagamento della somma di lire 25 milioni (oltre interessi e rivalutazione).
In via subordinata, con riguardo all'eventualità fosse stata ritenuta la concorrente colpa presunta di

MINUTOLO

Bernardo, il TATTA ha chiesto la condanna della società assicuratrice al pagamento della somma di lire 15 milioni (pari al massimale all'epoca) e degli ARCOPINTO al pagamento della somma di lire 5 milioni (sempre oltre svalutazione e interessi).
Poiché il tribunale adito, con la sentenza 6 giugno 1997, ritenuta la concorrente colpa presunta dei conducenti dei due veicoli rimasti coinvolti nel sinistro ha condannato gli ARCOPINTO non alla somma di lire 5 milioni come richiesto nella citazione introduttiva ma in quella, diversa, di lire 11.800.000 oltre interessi e rivalutazione, parte ACORPINTO ha censurato, con il terzo motivo di appello, tale capo della pronunzia del primo giudice.
Tale censura è stata disattesa dalla Corte di appello di Napoli, evidenziandosi, - in linea di fatto che in sede di precisazione delle conclusioni, in primo grado, il difensore del TATTA aveva specificato che "il TATTA avendo agito autonomamente ha diritto a quella somma che il tribunale riterrà equa e giusta quale danno risarcito dall'INAIL con la pensione e più precisamente all'eventuale maggiore danno patrimoniale più il danno psicologico derivante dalla mancata prima esplicazione della vita di relazione: danni questi ultimi sicuramente non risarciti dall'INAIL. Qualora tutte le predette somme non saranno coperte dai massimali assicurativi, per l'eventuale esubero dovranno essere condannati ... A A e ARCOMPINTO G";

- in linea di diritto, da un lato, che come affermato da Cass., sez. un., 4 marzo 1966 n. 635 nonché da Cass. 4 agosto 1994, n. 7221 "non è necessario che il danneggiato indichi all'atto della domanda o al momento della precisazione delle conclusioni, una cifra numericamente individuata", dall'altro, che la stessa mutatio libelli (nel regime anteriore alla novella di cui alla l. 353/1990) non è sanzionabile in mancanza di un rifiuto del contraddittorio della parte destinataria della domanda".
"Il motivo è mal posto, hanno concluso quei giudici, avendo anche se per implicito l'ARCOPINTO accettato il contraddittorio e legittimamente deciso il tribunale".


3. Con il primo motivo i ricorrenti principali censurano nella parte de qua la sentenza impugnata denunziando "violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione agli artt. 99, 112, 113, 163 c.p.c. vigente e 184 c.p.c., antecedente alla riforma del 1990. Limite del potere dovere -decisionale del Giudice in relazione alla domanda formulata nell'atto introduttivo del giudizio e (diversamente precisata) nelle conclusioni".

4. Il motivo è fondato e meritevole di accoglimento.
Alla luce delle considerazioni che seguono.


4.1. Preme, in primis, evidenziare la assoluta non pertinenza, al fine del decidere, dei principi giurisprudenziali di questa Corte regolatrice cui la sentenza impugnata ha fatto riferimento a suffragio della conclusione fatta propria.
Le sentenze di questa Corte regolatrice ricordate dalla corte di appello di Napoli nel rigettare il terzo motivo dell'appello di parte ARCOPINTO, infatti, riguardano fattispecie totalmente diverse e in alcun modo corrispondenti a quella all'attenzione dei giudici a quibus.
Infatti:
- nel caso concreto parte ARCOPINTO non si doleva, affatto (come invece nelle fattispecie all'attenzione di Cass. 4 agosto 1994, n. 7221, nonché della remota Cass. 4 marzo 1966, n. 635) che nell'atto introduttivo non fosse indicato il quantum della pretesa risarcitoria, specificato solo successivamente, in occasione della precisazione delle conclusioni (alla luce delle risultanze istruttorie del caso), ma che mentre nell'atto introduttivo era stato quantificato il limite del risarcimento preteso nei confronti di parte ARCOPINTO nella eventualità fosse stata ritenuto un concorso di colpa tra i due conducenti dei veicoli rimasti coinvolti nel sinistro, detto limite era stato superato in sede di precisazione delle conclusioni e facendo presente, pertanto, che così agendo parte TATTA aveva operato una vera, vietata mutatio libelli;

- quanto, ancora, all'insegnamento contenuto in Cass. 2 maggio 1997, n. 3813 si osserva che quest'ultima ha enunciato un principio opposto a quello, in termini totalmente apodittici, attribuitogli dalla sentenza gravata. Ha esposto, infatti, la richiamata sentenza di questa Corte il principio secondo cui con riguardo a procedimento pendente alla data del 30 aprile 1995 - per il quale trovano applicazione le disposizioni di cui agli art. 183 e 184 c.p.c. nel testo vigente anteriormente alla novella di cui alla l. n. 353 del 1990 - il divieto di introdurre una domanda nuova nel corso del
giudizio di primo grado risulta posto a tutela della parte destinataria della domanda;

- la violazione di tale divieto, pertanto - che è rilevabile anche d'ufficio, ha ricordato Cass. 2 maggio 1997, n. 3813, non essendo riservata alle parti l'eccezione di novità della domanda - non è sanzionatale in presenza di un atteggiamento non oppositorio della parte medesima, consistente nell'accettazione esplicita del contraddittorio o in un comportamento concludente che ne implichi l'accettazione;

- certo che nella specie la Corte di appello di Napoli non ha ne' accertato una accettazione "esplicita" del contraddittorio sulla nuovo domanda, ne' un "comportamento concludente della parte ARCOPINTO" che ne implicasse l'accettazione, essendosi limitata a verificare che era mancata, nella stessa udienza di precisazione delle conclusioni, una espressa dichiarazione di non accettazione del contraddittorio sulla nuova domanda (prescindendo, altresì, dal rilevare, come espressamente ricordato dalla più volte ricordata Cass. n. 3813 del 1997, che era onere del giudice di primo grado rilevare la inammissibilità della domanda nuova introdotta in causa solo in sede di precisazione delle conclusioni) è palese, come anticipato, la non rilevanza al fine del decidere, e di ritenere corretta la conclusione cui è pervenuta nella specie la Corte di appello di Napoli, del principio giurisprudenziale sopra ricordato.

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