Cass. civ., sez. III, ordinanza 25/06/2019, n. 16921

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, ordinanza 25/06/2019, n. 16921
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 16921
Data del deposito : 25 giugno 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Ud. 14.5.2019

ORDINANZA

Sul ricorso 26112/ 2017 proposto da: D R, rappresentato e difeso dagli avvocati P V G A P e N M, e domiciliato presso quest'ultimo in Roma, Piazza dell'Orologio, n. 7 0201`5 -ricorrente- it'034

contro

G R E C S, rappresentati e difesi dall'avvocato E M F e G B, e domiciliati presso quest'ultimo -intimato- Avverso la sentenza n. 1588/ 2017 della CORTE D'APPELLO di Venezia, depositata il 21.8.2017 Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 maggio 2019 dal Consigliere dott. G C;
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FATTI DI CAUSA

Il ricorrente, D R, ricorre avverso una decisione della Corte di Appello di Venezia che ha dichiarato risolto per suo inadempimento un contratto di affitto di attività produttiva (esercizio dell'attività di taxi), la cui controparte erano i genitori G R e C S. I fatti, in breve, sono questi. G R, nel 1997, ha acquistato una licenza di esercizio del taxi, per 400 milioni di lire, ma, non potendo intestarla a sé stesso, essendo già titolare di una analoga licenza, ne ha fatto intestazione al figlio D. Alcuni anni dopo, nel 2001, le parti, con scrittura privata, hanno convenuto che, previo riconoscimento da parte del figlio che il 50% della attività era del padre, quest'ultimo cedeva tale quota in cambio di mille euro al mese ad entrambi i genitori fino a che uno dei due fosse morto, con l'accordo che, a tale evento, quella metà sarebbe andata all'altro figlio M. D R ha inizialmente dato esecuzione al patto, ma poi, a partire dal 2006, ha smesso di versare i mille euro pattuiti. Per tale ragione, i genitori lo hanno citato in giudizio, ed hanno ottenuto in primo grado la risoluzione per inadempimento. - I giudici di appello, pur confermando la decisione quanto al dispositivo di risoluzione per inadempimento, hanno però qualificato il contratto del 2001 diversamente da quanto fatto dal giudice di primo grado. Quest'ultimo aveva ipotizzato una rendita vitalizia, mentre i giudici di secondo grado hanno ritenuto un contratto di affitto dell'attività di taxi. Il Rutigliano figlio ricorre con un motivo che denuncia violazione di legge V'è controricorso dei genitori.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- La ratio della decisione impugnata è la seguente. Il padre ha acquistato nel 1997 la licenza, l'ha interamente intestata al figlio, facendo una donazione indiretta della metà, ossia del 50%, e trattenendo per sé il restante 50%, anche se non formalmente ma di fatto, essendo la licenza intestata interamente al figlio. Tra i due è stata dunque istituita una sorta di società di fatto per la gestione di quella licenza, ossia per l'esercizio della attività di taxi. Ad un certo punto, ossia a partire dal 2001, data della scrittura privata, il padre avrebbe affittato al figlio il suo 50%, in cambio dei mille euro al mese. La corte esclude che potesse trattarsi di una rendita vitalizia, come supposto dal giudice di primo grado, per due ragioni: la prima, perché la scrittura è intervenuta dopo qualche anno dalla intestazione della licenza mentre la rendita vitalizia deve costituire immediato corrispettivo della cessione;
la seconda è la previsione che l'ammontare del corrispettivo mensile sarebbe rimasto invariato pur dopo la morte di uno dei due genitori beneficiari. 2.- Il ricorso è basato su un solo motivo, che denuncia violazione dell'articolo 7 I. n. 21 del 1992 nonché dell'articolo 14 della legge regionale n. 22 del 1996. Ciò in relazione agli articoli 1418, 1325, 1344 cod. civ. in tema di nullità per contrarietà a norma imperative. Sostiene infatti il ricorrente che, se fosse fondata la ricostruzione effettuata dalla corte di appello, allora ne dovrebbe seguire inevitabilmente la nullità dell'accordo. Infatti, le norme citate vietano la cessione o l'intestazione della licenza a soggetti diversi dai titolari dell'attività, cosi che se il titolare formale dell'attività è il figlio, allora l'accordo che ha costituito la società di fatto è in contrasto con la normativa che impone il rilascio della licenza al soggetto singolo. Più che altro si sarebbe trattato di un accordo elusivo, in frode alla legge, in quanto la società sarebbe stata costituita per eludere la norma che invece impone il rilascio della licenza alla sola persona fisica titolare della ditta individuale. Non potendo ottenere ossia direttamente l'intestazione della licenza ad entrambi, padre e figlio avrebbero costituito una società in cui il figlio risultava titolare di una autonoma ditta individuale, ed il padre ne era socio di fatto, onde consentire anche a quest'ultimo di fruire della licenza, eludendo il divieto normativo. Conseguentemente il ricorrente denuncia l'errore in cui sarebbe incorsa la corte nel ritenere l'esistenza di una società di fatto tra padre e figlio volta a gestire la licenza da parte di entrambi, senza però trarne la conclusione che un simile accordo serviva ad aggirare il divieto normativo di attribuire la licenza a soggetti diversi (in questo caso il padre) dal titolare della ditta individuale. Per certi versi su questa ricostruzione concordano anche i controricorrenti, i quali ammettono che se effettivamente si fosse trattato di una società di fatto, stabilita allo scopo di gestire in comune l'attività di taxi, gestione che poi avrebbe comportato l'affitto dell'uno all'altro, allora di certo ne sarebbe dovuta seguire la nullità, posto che la società di fatto altro scopo non ha che aggirare l'obbligo di intestazione individuale, ossia di consentire la gestione dell'attività da parte di entrambi, pur con la intestazione ad uno solo di essi. Tuttavia, i controricorrenti chiedono il rigetto del ricorso, proponendo una diversa qualificazione della domanda, ossia assumendo come corretta quella fatta in primo grado, dove l'accordo era stato qualificato in termini di cessione della licenza dietro corrispettivo di una rendita vitalizia. Il motivo di ricorso è infondato, ma la tesi della corte di appello, quanto alla qualificazione dell'accordo, va rivista. Di certo se la ricostruzione della fattispecie fosse quella, ossia di un contratto di affitto da parte di un socio di fatto a quello titolare, non solo l'accordo di costituire una società di fatto sarebbe elusivo, non avendo altra finalità che consentire di utilizzare la licenza a due soggetti contro la previsione di legge che essa spetti invece ad uno solo di essi, ma lo stesso accordo di affitto sarebbe in realtà privo di causa, in quanto il concedente (il padre) darebbe in uso una licenza di cui non è titolare formalmente, ed il figlio affitterebbe in realtà una licenza di cui è nel stesso tempo titolare esclusivo. Va considerato che la corte di secondo grado ha escluso che l'accordo potesse integrare una rendita vitalizia, per due ragioni. La prima è che l'accordo è stato stipulato qualche anno dopo l'acquisto della licenza da parte del padre e la conseguente intestazione al figlio;
la seconda è che l'ammontare del corrispettivo mensile è pattuito come invariato in caso di morte di uno dei due genitori. Entrambe le osservazioni sono però infondate. Che il contratto sia stato formalizzato dopo qualche anno non è indicativo della sua natura, potendo intervenire anche dopo che la cessione sia avvenuta. Ma soprattutto la rendita può essere costituita a favore di due persone (1873 cod. civ.), ed in caso di morte di uno dei due, la quota si accresce a favore del superstite (art. 1874 cod. civ.). Del resto nella scrittura è specificato che la somma mensile sarà corrisposta dal figlio al padre o alla madre finché uno dei due (ossia padre o figlio) vivrà. Se si trattasse di affitto, l'obbligo di corresponsione della somma sarebbe misurato sulla durata dell'uso, essendo l'affitto il corrispettivo del godimento della cosa produttiva, e non potrebbe ovviamente superare la durata di quest'ultimo, senza che i successivi pagamenti siano sprovvisti di causa. Deve dunque ritenersi che si tratta di una rendita vitalizia proprio perché la sua durata non è commisurata al godimento dell'attività, ma alla vita delle parti dell'accordo, e proprio perché, in caso di morte del beneficiario, non prevede l'estinzione dell'obbligo, che è un effetto naturale, posto che l'altro genitore non può subentrare nella posizione attiva. La circostanza che invece, morto il beneficiario della rendita (il padre) l'obbligo di pagamento continui immutato nei confronti dell'altro genitore, esclude che si possa trattare di un corrispettivo dell'affitto della licenza.Ciò posto, la domanda originaria era di sola risoluzione. Gli attori non hanno chiesto alcun rimedio conseguente, riservandosi di farlo in diverso giudizio, con la conseguenza che, non occorrendo altri accertamenti di fatto, si può decidere nel merito, accogliendo la domanda originaria di risoluzione del contratto per inadempimento.
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