Cass. civ., sez. V trib., sentenza 20/01/2023, n. 01743
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Testo completo
022 ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso iscritto al n. 4249/2020 R.G. proposto da: AGENZIA DELLE ENTRATE, elettivamente domiciliata in Roma Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende. -ricorrente -
contro
SARASIN S.R.L. IN LIQUIDAZONE, in persona del liquidatore, legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa nel presente giudizio dal Prof. Avv. L d F e dall’Avv. P S ed elettivamente domiciliata presso lo studio loro e dell’Avv. L R in Roma, via F. Denza n. 20, come daprocura speciale in atti. -controricorrente - avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche, n. 464/02/2019 depositata il 17 giugno 2019. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 14/12/2022 dal consigliere M C.Udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale della Repubblica dott. F T, che ha insistito per l’inammissibilità del ricorso dell’Agenzia delle entrate. Udito l’Avvocato Generale dello Stato A M per la ricorrente, che ha proposto istanza di discussione orale della causa, ex art. 23, comma 8 - bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137. Udito per la controricorrente il Prof. Avv. L d F.
FATTI DI CAUSA
1. L'Agenzia delle entrate notificò alla Sarasin s.r.l. in liquidazione- già Sarasin l.d.a., all’epoca dei fatti società di diritto portoghese avente sede nella zona franca di Madeira, ma successivamente trasferitasi in Italia nel 2010-un avviso di accertamento, relativo all’Irpeg ed all’Irap di cui all’ anno d’imposta 2003, con il quale, sul presupposto che la società fosse da considerarsi fiscalmente residente in Italia nel periodo accertato, determinò le imposte dovute, con i relativi accessori, ed ha irrogato la conseguente sanzione. L’atto impositivo venne infatti emesso a seguito del processo verbale di constatazione, redatto nel 2010 nei confronti della medesima società, relativamente ai periodi di imposta dal 2000 al 2009, con il quale erastata contestata la natura formale e fittizia della sede estera, poiché quella effettiva era da individuarsi in Italia, presso la Fornari s.p.a., unica socia della contribuente. Secondo l'Amministrazione la fattispecie integrava quindi l’esterovestizione della società, solo formalmente residente in Portogallo, ed avente come oggetto sociale, per quanto qui più rileva, l’attività di «acquisizione, vendita e qualsiasi altro tipo di ricerca di marchi registrati, brevetti e diritti d’autore ». A detta dei verificatori e dell’Ufficio, dunque, la Sarasin l.d.a. era stata solo formalmente delocalizzata in Portogallo, al fine del conseguimento di un risparmio di imposta, fondato anche sulla circostanza che i ricavi della società lusitana non erano assoggettati a tassazione per effetto del particolare regime agevolativo esistente nella zona di Madeira. Ed infatti, sottolineava l’Ufficio, la sede della società portoghese è stata trasferita dal Portogallo in Italia non appena (per effetto delle modifiche dell’art. 176 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, apportate dall’art. 13 del d.l. 1 luglio 2009, n. 78, e dalla successiva conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 3 agosto 2009, n. 103, recante disposizioni correttive del precedente d.l. n. 78 del 2009), la società controllata residente all’estero avrebbe perso i benefici del regime impositivo di esenzione esistente a Madeira, in quanto il suo reddito sarebbe stato comunque attratto dalla controllante italiana ed assoggettato a tassazione in Italia, salva la dimostrazione, ai sensi del nuovo comma 8-terdel ridetto art. 167, mediante interpello, che la controllata estera non rappresentava una costruzione artificiosa. La contribuente propose ricorso avverso l’atto impositivo, che l’adita Commissione tributaria provinciale di Macerata accolse integralmente. Averso la sentenza di primo grado l’Agenzia delle entrate ha proposto appello, che la Commissione tributaria regionale delle Marche ha rigettato con la sentenza di cui all’epigrafe. L’Amministrazione ha quindi introdotto ricorso per la cassazione della decisione di secondo grado, affidandolo ad un solo motivo. La contribuente si è costituita con controricorso. La controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia deduce «Violazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., con violazione in via conseguenziale dell’art. 87, co. 3, del d.p.r. 22.12.1986 n. 917;
violazione diretta dello stesso art. 87, co. 3, del Tuir in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.». Secondo la ricorrente, la CTR avrebbe errato nel ritenere che la « sede dell’amministrazione» (criterio di collegamento dettato, in alternativa a quelli della sede legale o dell’oggetto principale, originariamente dall’art. 87, terzo comma, t.u.i.r., e poi trasfuso dal 2004 nell’art. 73, terzo comma, del nuovo t.u.i.r.) potesse collocarsi in Portogallo sulla base di elementi, di natura solo formale, che non individuerebbero la « sede effettiva» della contribuente. Quest’ultima, assume l’ufficio, sarebbe stata collocata piuttosto in Italia, in coincidenza con la controllante, soggetto cui erano realmente imputabili le decisioni che la controllata portoghese si sarebbe limitata ad eseguire. Inoltre la CTR, affermando la mancanza di una valida prova presuntiva circa la localizzazione in Italia della sede di direzione effettiva, avrebbe violato gli art. 2727 e 2729 cod. civ., in tema di onere della prova e di prova presuntiva, fondando la decisione su una disamina degli elementi indiziari che per un verso sarebbe meramente apparente e illogica, relativamente sia alle emails, attinenti gli affari della società portoghese, valorizzate nel p.v.c. e nell’accertamento come riconducibili a dipendenti della controllante italiana;
sia ai conti correnti bancari nella disponibilità degli amministratori della società portoghesi, diversificata e maggiore per l’unico soggetto italiano, che era legittimato ad operare sul conto sul quale affluivano i proventi derivanti dallo sfruttamento dei marchi, che andava poi ad alimentare la provvista degli altri conti, sui quali operavano gli amministratori portoghesi;
sia alla scarsa rilevanza delle strutture delle quali la controllata si avvaleva in Portogallo, con costi modesti e relativi a servizi «tipici e necessari per una delocalizzazione solo formale». Contemporaneamente, la disamina operata dalla CTR sarebbe incompleta, avendo omesso di considerare sia le dichiarazioni rese dai terzi consulenti Baldi e Statti;
sia la finalità del risparmio d’imposta che avrebbe guidato la delocalizzazione, solo formale, realizzata dislocando in Portogallo la controllata estera della controllante italiana. Il motivo è infondato, per le ragioni che si esporranno.
2. Occorre muovere dal testo dell’art. 87, terzo comma, del t.u.i.r., trasfuso successivamente dal d.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, nell’art. 73, terzo comma, del nuovo t.u.i.r., il quale dispone che « Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggiorparte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato.». Prima ancora di procedere all’interpretazione di quest’ultima disposizione, al fine di applicarla al caso di specie, è opportuno sottolinearne la ratio. Invero -in coerenza con la rubrica («Soggetti passivi») dell’art. 73, e con il primi due commi della stessa disposizione e del vecchio art. 87, che individuava i soggetti sottoposti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche - il comma in esame indica i criteri di collegamento, paritetici ed alternativi, tra i soggetti passivi (nel caso di specie le società) dell’imposizione diretta ed il territorio dello Stato, la cui ricorrenza, per la maggior parte del periodo d’imposta, determina la residenza in Italia della contribuente e, con essa, l’assoggettamento alla potestà impositiva del fisco italiano. La rilevanza dei criteri di collegamento territoriale individuati dalla norma prescinde dall’ eventuale alterazione, da parte della società contribuente, della realtà oggettiva, al fine di configurare una residenza diversa da quella effettiva, con il fine di sottrarsi all’imposizione dello Stato italiano e di entrare nell’area territoriale di imposizione di uno Stato diverso,il cui trattamento fiscale risulti più favorevole. Vale a dire che i criteri in questione non sono finalizzati unicamente ad individuare fenomeni, di natura elusiva, solitamente definiti di “esterovestizione”, caratterizzati in generale dall’artificiosa ed apparente distrazione del soggetto passivo dal territorio nazionale, e quindi dalla residenza in Italia e dalla potestà impositiva nazionale, per attrarlo nell’area impositiva più conveniente di altro Stato.Certamente, in questi ultimi casi, i criteri di collegamento territoriale dettati dal ridetto art. 73 t.u.i.r. sono fondamentali per verificare quale sia in realtà la residenza effettiva della società, nonostante la manipolazione della realtà operata dalla contribuente. Tuttavia, gli stessi criteri svolgono la loro naturale funzione selettiva dei soggetti passivi dell’imposizione nazionale in ogni fattispecie nella quale, per elementi oggettivi transnazionali che emergano nel caso concreto ed a prescindere da qualsiasi ipotetica manovra elusiva dell’ente accertato, sorga l’esigenza di verificare, ai fini fiscali, la residenza in Italia di quest’ultimo. Pertanto, come rilevato anche in dottrina, non vi è necessaria coincidenza tra accertamento della residenza in Italia di una società ai sensi dell’art. 73, terzo comma, t.u.i.r. ed accertamento della c.d. esterovestizione elusiva, trattandosi di concetti che possono, ma non debbono inevitabilmente presentarsi contemporaneamente in ogni fattispecie di rilevanza transnazionale. Con la conseguenza, quindi, che la verifica della residenza in Italia di una società, ai sensi del ridetto art. 73, non richiede necessariamente l’imputazione alla contribuente, e
contro
SARASIN S.R.L. IN LIQUIDAZONE, in persona del liquidatore, legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa nel presente giudizio dal Prof. Avv. L d F e dall’Avv. P S ed elettivamente domiciliata presso lo studio loro e dell’Avv. L R in Roma, via F. Denza n. 20, come daprocura speciale in atti. -controricorrente - avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche, n. 464/02/2019 depositata il 17 giugno 2019. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 14/12/2022 dal consigliere M C.Udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale della Repubblica dott. F T, che ha insistito per l’inammissibilità del ricorso dell’Agenzia delle entrate. Udito l’Avvocato Generale dello Stato A M per la ricorrente, che ha proposto istanza di discussione orale della causa, ex art. 23, comma 8 - bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137. Udito per la controricorrente il Prof. Avv. L d F.
FATTI DI CAUSA
1. L'Agenzia delle entrate notificò alla Sarasin s.r.l. in liquidazione- già Sarasin l.d.a., all’epoca dei fatti società di diritto portoghese avente sede nella zona franca di Madeira, ma successivamente trasferitasi in Italia nel 2010-un avviso di accertamento, relativo all’Irpeg ed all’Irap di cui all’ anno d’imposta 2003, con il quale, sul presupposto che la società fosse da considerarsi fiscalmente residente in Italia nel periodo accertato, determinò le imposte dovute, con i relativi accessori, ed ha irrogato la conseguente sanzione. L’atto impositivo venne infatti emesso a seguito del processo verbale di constatazione, redatto nel 2010 nei confronti della medesima società, relativamente ai periodi di imposta dal 2000 al 2009, con il quale erastata contestata la natura formale e fittizia della sede estera, poiché quella effettiva era da individuarsi in Italia, presso la Fornari s.p.a., unica socia della contribuente. Secondo l'Amministrazione la fattispecie integrava quindi l’esterovestizione della società, solo formalmente residente in Portogallo, ed avente come oggetto sociale, per quanto qui più rileva, l’attività di «acquisizione, vendita e qualsiasi altro tipo di ricerca di marchi registrati, brevetti e diritti d’autore ». A detta dei verificatori e dell’Ufficio, dunque, la Sarasin l.d.a. era stata solo formalmente delocalizzata in Portogallo, al fine del conseguimento di un risparmio di imposta, fondato anche sulla circostanza che i ricavi della società lusitana non erano assoggettati a tassazione per effetto del particolare regime agevolativo esistente nella zona di Madeira. Ed infatti, sottolineava l’Ufficio, la sede della società portoghese è stata trasferita dal Portogallo in Italia non appena (per effetto delle modifiche dell’art. 176 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, apportate dall’art. 13 del d.l. 1 luglio 2009, n. 78, e dalla successiva conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 3 agosto 2009, n. 103, recante disposizioni correttive del precedente d.l. n. 78 del 2009), la società controllata residente all’estero avrebbe perso i benefici del regime impositivo di esenzione esistente a Madeira, in quanto il suo reddito sarebbe stato comunque attratto dalla controllante italiana ed assoggettato a tassazione in Italia, salva la dimostrazione, ai sensi del nuovo comma 8-terdel ridetto art. 167, mediante interpello, che la controllata estera non rappresentava una costruzione artificiosa. La contribuente propose ricorso avverso l’atto impositivo, che l’adita Commissione tributaria provinciale di Macerata accolse integralmente. Averso la sentenza di primo grado l’Agenzia delle entrate ha proposto appello, che la Commissione tributaria regionale delle Marche ha rigettato con la sentenza di cui all’epigrafe. L’Amministrazione ha quindi introdotto ricorso per la cassazione della decisione di secondo grado, affidandolo ad un solo motivo. La contribuente si è costituita con controricorso. La controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia deduce «Violazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., con violazione in via conseguenziale dell’art. 87, co. 3, del d.p.r. 22.12.1986 n. 917;
violazione diretta dello stesso art. 87, co. 3, del Tuir in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.». Secondo la ricorrente, la CTR avrebbe errato nel ritenere che la « sede dell’amministrazione» (criterio di collegamento dettato, in alternativa a quelli della sede legale o dell’oggetto principale, originariamente dall’art. 87, terzo comma, t.u.i.r., e poi trasfuso dal 2004 nell’art. 73, terzo comma, del nuovo t.u.i.r.) potesse collocarsi in Portogallo sulla base di elementi, di natura solo formale, che non individuerebbero la « sede effettiva» della contribuente. Quest’ultima, assume l’ufficio, sarebbe stata collocata piuttosto in Italia, in coincidenza con la controllante, soggetto cui erano realmente imputabili le decisioni che la controllata portoghese si sarebbe limitata ad eseguire. Inoltre la CTR, affermando la mancanza di una valida prova presuntiva circa la localizzazione in Italia della sede di direzione effettiva, avrebbe violato gli art. 2727 e 2729 cod. civ., in tema di onere della prova e di prova presuntiva, fondando la decisione su una disamina degli elementi indiziari che per un verso sarebbe meramente apparente e illogica, relativamente sia alle emails, attinenti gli affari della società portoghese, valorizzate nel p.v.c. e nell’accertamento come riconducibili a dipendenti della controllante italiana;
sia ai conti correnti bancari nella disponibilità degli amministratori della società portoghesi, diversificata e maggiore per l’unico soggetto italiano, che era legittimato ad operare sul conto sul quale affluivano i proventi derivanti dallo sfruttamento dei marchi, che andava poi ad alimentare la provvista degli altri conti, sui quali operavano gli amministratori portoghesi;
sia alla scarsa rilevanza delle strutture delle quali la controllata si avvaleva in Portogallo, con costi modesti e relativi a servizi «tipici e necessari per una delocalizzazione solo formale». Contemporaneamente, la disamina operata dalla CTR sarebbe incompleta, avendo omesso di considerare sia le dichiarazioni rese dai terzi consulenti Baldi e Statti;
sia la finalità del risparmio d’imposta che avrebbe guidato la delocalizzazione, solo formale, realizzata dislocando in Portogallo la controllata estera della controllante italiana. Il motivo è infondato, per le ragioni che si esporranno.
2. Occorre muovere dal testo dell’art. 87, terzo comma, del t.u.i.r., trasfuso successivamente dal d.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, nell’art. 73, terzo comma, del nuovo t.u.i.r., il quale dispone che « Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggiorparte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato.». Prima ancora di procedere all’interpretazione di quest’ultima disposizione, al fine di applicarla al caso di specie, è opportuno sottolinearne la ratio. Invero -in coerenza con la rubrica («Soggetti passivi») dell’art. 73, e con il primi due commi della stessa disposizione e del vecchio art. 87, che individuava i soggetti sottoposti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche - il comma in esame indica i criteri di collegamento, paritetici ed alternativi, tra i soggetti passivi (nel caso di specie le società) dell’imposizione diretta ed il territorio dello Stato, la cui ricorrenza, per la maggior parte del periodo d’imposta, determina la residenza in Italia della contribuente e, con essa, l’assoggettamento alla potestà impositiva del fisco italiano. La rilevanza dei criteri di collegamento territoriale individuati dalla norma prescinde dall’ eventuale alterazione, da parte della società contribuente, della realtà oggettiva, al fine di configurare una residenza diversa da quella effettiva, con il fine di sottrarsi all’imposizione dello Stato italiano e di entrare nell’area territoriale di imposizione di uno Stato diverso,il cui trattamento fiscale risulti più favorevole. Vale a dire che i criteri in questione non sono finalizzati unicamente ad individuare fenomeni, di natura elusiva, solitamente definiti di “esterovestizione”, caratterizzati in generale dall’artificiosa ed apparente distrazione del soggetto passivo dal territorio nazionale, e quindi dalla residenza in Italia e dalla potestà impositiva nazionale, per attrarlo nell’area impositiva più conveniente di altro Stato.Certamente, in questi ultimi casi, i criteri di collegamento territoriale dettati dal ridetto art. 73 t.u.i.r. sono fondamentali per verificare quale sia in realtà la residenza effettiva della società, nonostante la manipolazione della realtà operata dalla contribuente. Tuttavia, gli stessi criteri svolgono la loro naturale funzione selettiva dei soggetti passivi dell’imposizione nazionale in ogni fattispecie nella quale, per elementi oggettivi transnazionali che emergano nel caso concreto ed a prescindere da qualsiasi ipotetica manovra elusiva dell’ente accertato, sorga l’esigenza di verificare, ai fini fiscali, la residenza in Italia di quest’ultimo. Pertanto, come rilevato anche in dottrina, non vi è necessaria coincidenza tra accertamento della residenza in Italia di una società ai sensi dell’art. 73, terzo comma, t.u.i.r. ed accertamento della c.d. esterovestizione elusiva, trattandosi di concetti che possono, ma non debbono inevitabilmente presentarsi contemporaneamente in ogni fattispecie di rilevanza transnazionale. Con la conseguenza, quindi, che la verifica della residenza in Italia di una società, ai sensi del ridetto art. 73, non richiede necessariamente l’imputazione alla contribuente, e
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