Cass. pen., sez. III, sentenza 15/02/2018, n. 07275
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da V I, nata a Brindisi il 21/2/1945 avverso la sentenza del 12/12/2016 della Corte di appello di Lecce;visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;sentita la relazione svolta dal consigliere E M;udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale S T, che ha concluso chiedendo dichiarare inammissibile il ricorso;udite le conclusioni del difensore della ricorrente, Avv. G G, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 12/12/2016, la Corte di appello di Lecce confermava la pronuncia emessa il 22/10/2015 dal Tribunale di Brindisi, con la quale I V ed A L erano state giudicate colpevoli della contravvenzione di cui agli artt. 81 cpv., 110 cod. pen., 44, comma 1, lett. b), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e condannate alla pena di cui al dispositivo;alle stesse era contestato di aver realizzato opere edilizie in assenza di permesso di costruire e, in particolare, le due unità abitative compiutamente descritte in rubrica. 2. Propone diffuso ricorso per cassazione la V, a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi: - nullità della sentenza con riguardo agli artt. 546, comma 3, cod. proc. pen., 6 CEDU. Il dispositivo della pronuncia richiamerebbe una sentenza (quella di primo grado) priva di indicazione del relativo numero e, soprattutto, errata nel riferimento cronologico;ancora, nello stesso dispositivo sarebbe prevista la sola condanna al pagamento delle spese del grado, senza alcun riferimento alla sanzione penale (detentiva e pecuniaria) irrogata dal Tribunale. Della quale, pertanto, non sarebbe certa l'effettiva conferma;con palese violazione, dunque, di ogni diritto di difesa;- contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. La sentenza - pur a ciò sollecitata con l'atto di appello - non avrebbe valutato adeguatamente la deposizione G, teste del pubblico ministero, che avrebbe escluso il carattere stabile delle opere in esame, ribadendone, per contro, la temporaneità e l'utilizzo nel solo periodo estivo. Deposizione di particolare rilievo, dunque, ma del tutto obliterata dalla Corte di merito. Analoga censura (motivo lett. c) concerne poi le dichiarazioni rese dai testi indotti dalla difesa (P, E e D C), in parte riportate nel gravame, che avrebbero ulteriormente confermato il carattere precario e stagionale delle opere, in uno con il mero appoggio al suolo delle stesse su ruote. A tale riguardo, peraltro, si censura - a più riprese - che nessun testimone avrebbe sostenuto che i manufatti non venissero rimossi nel periodo invernale, e la diversa circostanza negativa sarebbe stata affermata dal Collegio in termini apodittici e non dimostrati;- erronea applicazione dell'art. 3, lett. e.5, d.P.R. n. 380 del 2001. Contrariamente alla lettera della legge, nessun teste avrebbe confermato la collocazione stabile delle strutture in esame, invero utilizzate dalla ricorrente soltanto nel periodo estivo e nella mera qualità di turista;sì da trovare piena applicazione l'art. 3, lett. e.5 citata, pur alla luce delle novelle succedutesi al riguardo, con conseguente irrilevanza penale della condotta. La medesima doglianza è poi proposta anche con il motivo lett. e), concernente l'erronea applicazione dell'art. 6, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001;al riguardo, in particolare, si assume che nessun teste avrebbe visto la ricorrente utilizzare le strutture durante i mesi invernali, emergendo dall'istruttoria - piuttosto, come già rilevato - la palese temporaneità delle stesse e la loro amovibilità. Nessuna stabile destinazione abitativa, dunque, nessun riferimento dibattimentale in tal senso. Come ulteriormente confermato, di seguito, ancora dal teste G, autore di un sopralluogo alla sola data del 27/4/2012;sì da non potersi ritenere provato che le strutture insistessero sul terreno anche nel corso dei mesi invernali;- violazioni di legge e vizi motivazionali, da ultimo, sono dedotti con riguardo al trattamento sanzionatorio. In primo luogo, si denuncia la sproporzione della pena, ritenuta evidente alla luce della modestia dell'opera, specie in zona ad alto indice di abusivismo;ancora, si censura l'inosservanza dell'art. 44 in rubrica, attesa la sperequazione tra la sanzione inflitta alla ricorrente e quella irrogata alla correa Livera, priva di effettiva motivazione (non potendosi distinguere, come invece si legge in sentenza, tra mera esecuzione ed utilizzazione dell'abuso). Infine, si lamenta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, invero dovute alla luce dell'incensuratezza della ricorrente, del modesto carattere delle opere e del buon comportamento processuale tenuto. Si chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza. CONSIDERATO IN DIRITTO 3. Il ricorso risulta manifestamente infondato. Con riguardo alla prima doglianza, di carattere processuale, rileva la Corte che il dispositivo della sentenza di appello recita: "Letti gli artt. 605 e 592 c.p.p., CONFERMA la sentenza del Tribunale di Brindisi, in data 22.10.2012, appellata da VENTURATO Iris e LIVERA Antonella, che condanna al pagamento delle spese di questo grado di giudizio". Segue il termine per il deposito della motivazione. Orbene, al di là del mero errore materiale relativo all'anno della pronuncia di primo grado (2012 anziché 2015), in sé evidente ed irrilevante, osserva il Collegio che il dispositivo citato contiene ogni elemento necessario per la comprensione della sentenza: 1) l'ufficio che aveva emesso la pronuncia impugnata (della quale non occorreva riportare il numero, attesi i diversi elementi identificativi comunque richiamati);2) l'indicazione dei soggetti appellanti;3) il tenore della decisione;4) la condanna al pagamento delle spese del grado. Ciò, con la precisazione che - con l'espressione "conferma" - la Corte di appello ha inteso ribadire la pronuncia del Tribunale nella sua totalità, a muover, quindi, dal trattamento sanzionatorio irrogato (che in questi casi - come noto a qualsiasi operatore del diritto - non viene mai ripetuto nel dispositivo di appello). Un dispositivo, quindi, completo e ben comprensibile, a fronte del quale appare palesemente inammissibile - al limite della pretestuosità - la doglianza proposta.
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