Cass. civ., sez. I, sentenza 03/09/2004, n. 17825
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Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. P V - Presidente -
Dott. V U - Consigliere -
Dott. L M G - rel. Consigliere -
Dott. M G V A - Consigliere -
Dott. P C - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DE FERRI FABIO, elettivamente domiciliato in ROMA, via TACITO 90, presso l'avvocato G M, rappresentato e difeso dall'avvocato A S, giusta mandato a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
DE FERRI PIERINA, DE FERRI BEATRICE, elettivamente domiciliate in ROMA, VTA LAZZARO SPALLANZANI 36, presso l'avvocato V B, rappresentate e difese dall'avvocato S P, giusta procura in calce al controricorso;
- controricorrenti -
contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DE L'AQUILA;
- intimato -
avverso la sentenza n. 3/02 della Corte d'Appello de L'AQUILA, depositata il 14/03/02;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/05/2004 dal Consigliere Dott. M G L;
udito per il ricorrente l'Avvocato S che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito per il resistente l'Avvocato PALE che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 24 giugno 1996 Pierina D F chiedeva al Tribunale per i Minorenni de L'Aquila, dopo esserne stata autorizzata, di dichiarare che la propria figlia minore Beatrice D F, nata il 17 gennaio 1983, era figlia naturale di F D F, deceduto il 31 agosto 1984, dal quale era stata adottata il 24 gennaio 1983.
Costituitosi Fabio D F, anch' egli figlio adottivo ed erede di F D F, ed espletata indagine genetica relativa al DNA, con sentenza del 20 ottobre - 8 novembre 2000 il Tribunale rigettava la domanda, ritenendo che gli elementi raccolti non fossero sufficienti a fornire la prova della paternità.
Proposto appello da Pierina D F e da Beatrice D F, divenuta maggiorenne, nella contumacia di Fabio D F, con sentenza del 26 febbraio - 14 marzo 2002 la Corte di Appello de L'Aquila, sezione per i Minorenni, dichiarava la paternità naturale di F D F. Osservava in motivazione la Corte territoriale che era rimasto accertato che tra Pierina e F D F era intercorsa una relazione, che nella cerchia di amici e parenti era noto che questi era riuscito ad avere una figlia dalla predetta a seguito di inseminazione artificiale, che lo stesso convenuto Fabio D F aveva sempre ammesso di sapere che la bambina era figlia del proprio genitore adottivo, che l'esame del DNA del defunto aveva evidenziato una probabilità di paternità pari al 99,96%.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione Fabio D F deducendo due motivi. Resistono con controricorso Pierina e Beatrice D F.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va innanzi tutto disattesa l'eccezione delle controricorrenti di difetto di integrità del contraddittorio per non essere stato il ricorso per Cassazione notificato al pubblico ministero presso la Corte di Appello. Rileva al riguardo la Corte che non solo il ricorso è stato effettivamente notificato a detto p.m., ma che tale notifica non era affatto necessaria, atteso che r integrazione del contraddittorio nei confronti del pubblico ministero presso il giudice a quo è necessaria soltanto nelle ipotesi in cui egli sia titolare del potere di proporre impugnazione e che nel giudizio per l'accertamento della paternità naturale, così come per quello diretto ad ottenere l'ammissibilità della relativa azione, il pubblico ministero è privo di tale potere. Peraltro la necessità del suo intervento ai sensi dell'art. 71 c.p.c. resta assicurata dalla partecipazione al giudizio del procuratore generale presso la Corte di Cassazione (v. per tutte in tal senso Cass. 1996 n. 2437;
1991 n. 8575;1990 n. 2350).
Con il primo motivo di ricorso, denunciando omissione e/o insufficienza di motivazione e totale carenza di indicazione delle fonti di prova, si deduce che la sentenza impugnata ha omesso l'esame di tutte le risultanze istruttorie analiticamente esposte e diffusamente analizzate nella sentenza di primo grado, ed in particolare non ha considerato che il primo consulente tecnico nominato aveva declinato l'incarico, ritenendo che un accertamento di paternità su un soggetto deceduto tredici anni prima non fosse completamente affidabile, e che anche i due esperti che avevano successivamente accettato l'incarico avevano posto in evidenza nella loro relazione l'impossibilità di stabilire in assoluto la paternità di F D F;non ha inoltre rilevato che l'attrice il 7 maggio 1983, dopo che era stata adottata, aveva dichiarato all'ufficiale dello stato civile che la bimba era nata dall'unione "con uomo non padre ne' affine con lei nei gradi che ostano al riconoscimento", che la medesima aveva reso in giudizio dichiarazioni contraddittorie in ordine alle modalità del concepimento, che la casa di cura ove sarebbe avvenuto il parto aveva rilasciato una dichiarazione scritta in cui aveva affermato di non possedere alcuna cartella clinica intestata alla D F, che le ammissioni di Fabio D F di essere stato sempre edotto della relazione tra il padre adottivo e l'istante non potevano essere assunte come prova decisiva, non solo perché, come rilevato dal primo giudice, non provenivano dal presunto padre, ma anche perché espresse in termini probabilistici, che il de cuius aveva redatto il testamento olografo in favore di Fabio e Pierina D F lo stesso giorno dell'adozione di quest'ultima, senza nominare affatto la figlia della stessa, infine che la proposizione dell'azione era avvenuta oltre dieci anni dopo la nascita della bambina e solo dopo che Fabio D F aveva adito il Tribunale di Pescara per sentir dichiarare aperta la successione e sentir disporre la riduzione delle disposizioni testamentarie.
Le censure così riassunte sono inammissibili. Esse invero si risolvono in una contestazione degli apprezzamenti in fatto compiuti dalla Corte di merito, anche attraverso una analitica comparazione con le difformi argomentazioni svolte nella sentenza del primo giudice, ed in una sollecitazione ad una nuova valutazione degli elementi acquisiti in giudizio. Ed è appena il caso di ricordare che non è consentito a questa Suprema Corte il potere di riesaminare il merito della causa, potendo essa solo controllare sul piano logico e formale e della correttezza giuridica l'esame e la valutazione effettuati dal giudice di merito, cui soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, apprezzare le prove e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute più idonee a dimostrare i fatti in discussione, salvi i casi tassativamente previsti dalla legge in cui è assegnato un valore legale alla prova (v. per tutte, di recente, Cass. 2004 n. 2004 n. 584;2003 n. 11936;
2003 n. 11918).
È peraltro noto che al fine di adempiere all'obbligo di motivazione il giudice non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo sufficiente che egli indichi gli elementi sui quali ha fondato il suo convincimento, dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli altri rilievi e circostanze che, pur non menzionati specificamente, siano logicamente incompatibili con la soluzione adottata.
Con il secondo motivo si denuncia violazione dell'art. 251 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. per non avere la Corte di Appello rilevato che l'accertamento del concepimento e quindi della nascita di un figlio dal rapporto con persona che si ha in animo di adottare determina l'impossibilità del riconoscimento ai sensi dell'art. 251 c.c., nonché per aver mancato di considerare che la D F, nel registrare la bambina nel maggio 1983, aveva dichiarato che la nascita era avvenuta dall'unione con uomo non parente ne' affine, e successivamente aveva affermato di aver praticato una inseminazione artificiale e di non sapere chi fosse il donatore. La censura, di non chiara formulazione, è inammissibile per la parte in cui appare diretta a prospettare la sussistenza di una situazione fattuale impeditiva della dichiarazione giudiziale di paternità ai sensi dell'art. 251 c.c., trattandosi di questione non sollevata nei precedenti gradi di giudizio. Va peraltro rilevato che nel richiamare tale disposizione il ricorrente omette di considerare che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 494 del 2002 ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 278 comma 1 c.c. nella parte in cui esclude la dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturale e le relative indagini nei casi in cui, a norma dell'art. 251 comma 1 c.c., il riconoscimento dei figli incestuosi è vietato.
Le ulteriori deduzioni contenute nel motivo in esame sono parimenti inammissibili, in quanto si sostanziano ancora nella pretesa di una diversa ricostruzione della vicenda ed in un diverso apprezzamento dei fatti e delle prove.
Segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di Cassazione, nella misura liquidata in dispositivo.