Cass. civ., sez. V trib., sentenza 26/02/2019, n. 5563

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. V trib., sentenza 26/02/2019, n. 5563
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 5563
Data del deposito : 26 febbraio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Svolgimento del processo

La società contribuente ha impugnato davanti alla CTP di Livorno un verbale di revisione dell'accertamento emesso dall'Ufficio delle Dogane di Livorno in data 24.03.2009 relativo a bollette di importazione del 18.09.2007, unitamente all'avviso di rettifica dell'accertamento definitivo per recupero di maggiori diritti di confine oltre accessori, conseguenti all'accertamento di importazione di merce per valori e quantitativi superiori al valore di transazione dichiarato.

La CTP di Livorno ha rigettato il ricorso della società contribuente. La CTR della Toscana ha invece accolto l'appello, ritenendo che la sottofatturazione fosse ascrivibile esclusivamente al comportamento penalmente rilevante posto in essere dall'importatore, rispetto al quale il rappresentante indiretto, benchè dichiarante in dogana, era stato ritenuto estraneo. L'ipotesi delittuosa si sarebbe tradotta, secondo il giudice di appello, nella utilizzazione da parte dell'importatore, tramite artifizi e raggiri, di documentazione commerciale contraffatta relativa all'ingresso nel territorio dell'Unione di merce per valori e quantitativi inferiori al valore di transazione, con conseguente sottrazione di parte della stessa al dazio doganale. Ha ritenuto, pertanto, il giudice di appello che ali baso di specie sarebbe applicabile il Reg. (CEE) del 12 ottobre 1992, n. 2913, art. 202, in luogo del citato Reg. (CEE), art. 201, in quanto il riscontro della sottofatturazione ex post, a seguito di complesse indagini penali, sarebbe qualificabile come introduzione irregolare di merci da parte dell'importatore, rispetto alla quale il rappresentante indiretto (dichiarante in dogana), non ne era a conoscenza, nè poteva esserne a conoscenza con l'ordinaria diligenza a lui consentita. Il giudice di appello ha, inoltre, escluso in concreto che il rappresentante indiretto potesse compiere una autonoma valutazione della veridicità dei valori esposti in bolletta, rilevando come nessun rilievo fosse stato mosso originariamente dai funzionari doganali in relazione a congruità e qualità dei beni, che pure avevano effettuato un riscontro fisico in dogana, nonchè ai prezzi fatturati, posto che la fattispecie delittuosa era emersa a seguito di accesso (perquisizione) presso la sede dell'importatore.

Ha, infine, valorizzato il giudice impugnato la buona fede del dichiarante a termini del citato Reg. (CEE) n. 2913/1992, art. 220.

Propone ricorso l'Agenzia delle Dogane con due motivi di ricorso cui resiste con controricorso la società contribuente, la quale ha depositato memoria.

Motivi della decisione



1 - Con il primo motivo l'Ufficio ricorrente denuncia violazione di legge in relazione al Reg.(CEE) del 12 ottobre 1992, n. 2913, art. 201, 202 (codice doganale comunitario applicabile ratione temporis) e delle Disposizioni Attuative del medesimo Regolamento, art. 199 (Regolamento (CEE) del 2 luglio 1993, n. 2454/1993), che fissa talune disposizioni applicative. Ritiene il ricorrente che la CTR, nella sentenza impugnata, abbia fatto erroneamente applicazione dell'art. 202 c.d.c., rilevando come nel caso di specie dovrebbe applicarsi l'art. 201 c.d.c., comma 3, con conseguente responsabilità del dichiarante e, quindi, del rappresentante indiretto a termini del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 40 (T.U.L.D.) e dell'art. 5 C.D.C. (art. 56 T.U.L.D.).

Ritiene il ricorrente che nel caso di specie la merce sia stata introdotta regolarmente sulla base di una formale dichiarazione doganale, laddove l'introduzione irregolare presuppone l'immissione della merce in libera pratica senza dichiarazione. Sostiene il ricorrente che anche nel caso di sottofatturazione (accertata ex post in seguito ad indagine penale) - nella quale si accerti che il mancato versamento dei dazi dovuti consegua alla presentazione di documenti ideologicamente falsi - ricorra la fattispecie della introduzione regolare a termini Reg. (CEE) n. 2913/1992 (c.d.c.), art. 201.

Ritiene, in ogni caso, che - ancorchè dovesse astrattamente farsi applicazione dell'art. 202 c.d.c. - il controricorrente, in quanto dichiarante e rappresentante indiretto, non potrebbe andare esente da responsabilità, essendo, da un lato, irrilevante l'estraneità al fatto delittuoso del dichiarante, stante la diversità della responsabilità tributaria rispetto a quella penale, dall'altro in quanto rileverebbe nel caso di specie la natura professionale della responsabilità del dichiarante (art. 1176 c.c., comma 2), in forza della quale il rappresentante indiretto avrebbe potuto e dovuto accertare preventivamente l'irregolarità della documentazione a corredo della dichiarazione doganale, anzichè potersi qualificare quale "vittima incolpevole".



2 - Il primo motivo è fondato nei termini che seguono, dovendosi ritenere che la vicenda in esame resta disciplinata dal Reg. (CEE) n. 2913/1992 (c.d.c.), art. 201, per essere avvenuta l'importazione sulla base di una dichiarazione doganale, ancorchè si verta nell'ipotesi di sottofatturazione accertata ex post in base ad indagine penale.

2.1 - L'art. 201, comma 1, lett. a) dispone che l'obbligazione doganale all'importazione sorge in seguito all'immissione in libera pratica di una merce soggetta a dazi all'importazione. Il medesimo art., comma 2, prevede che il sorgere dell'obbligazione doganale è legato all'accettazione della dichiarazione in dogana, la cui dichiarazione rende soggetto passivo dell'obbligazione doganale il dichiarante (citato Reg., art. 201, comma 3). La disposizione prevede, infine, una estensione dell'area della soggettività passiva in capo a coloro che, in caso di accertata mancata riscossione ex post di diritti di confine, hanno, da un lato, fornito gli elementi che hanno reso erronea la dichiarazione doganale che ha condotto alla mancata riscossione dei diritti di confine e, dall'altro, erano o avrebbero dovuto ragionevolmente essere a conoscenza della loro erroneità.

In correlazione con l'immissione di merci in libera pratica per effetto della sequenza procedimentale prevista dagli artt. 38 e ss. c.d.c. (trasporto delle stesse presso gli uffici doganali o zone franche e presentazione in dogana), l'obbligazione doganale sorge con la dichiarazione, quale effetto della indicazione di un determinato regime doganale contenuto nella dichiarazione e si lega soggettivamente all'autore della dichiarazione, indipendentemente dal rapporto che il dichiarante abbia con la merce.

Analoga responsabilità grava sul rappresentante indiretto dell'importatore, il quale risponde in quanto dichiarante, laddove il rappresentante diretto rimane estraneo alla fattispecie impositiva (posto il dichiarante in questo caso è il rappresentato), a conferma che l'obbligazione doganale è legata al ruolo di dichiarante, ovvero di autore della dichiarazione doganale. La centralità della figura del dichiarante è, poi, confermata dal Reg. (CEE) n. 2913/1992, art. 5, comma 4, secondo cui "la persona che non dichiari di agire a nome o per conto di un terzo o che dichiari dí agire a nome o per conto di un terzo senza disporre del potere di rappresentanza è considerata agire a suo nome e per proprio conto". La mancanza di prova dei poteri di rappresentanza, la mancata risposta a una contestazione da parte dell'Ufficio o l'assenza di dichiarazione comporta la presunzione che il dichiarante abbia agito quale rappresentante indiretto e, come tale, quale dichiarante.

Diversa è, invece, l'ipotesi in cui l'obbligazione doganale sorga per effetto della inosservanza della normativa doganale, ossia in caso di introduzione irregolare (art. 202 c.d.c.), di sottrazione al controllo doganale (art. 203 c.d.c.) e delle altre ipotesi previste dal Regolamento (artt. 204, 205 c.d.c.). In questo caso l'obbligazione doganale emerge non per effetto della presentazione di una dichiarazione, ma a causa del verificarsi di alcuni fatti (introduzione di merci senza dichiarazione doganale, sottrazione al controllo, inosservanza di obblighi previsti dalla normativa doganale per i regimi speciali etc.), che inducono una presunzione legale di immissione al consumo delle merci medesime. In dette ipotesi, il fatto generatore dell'imposta prescinde dalla esistenza di una valida dichiarazione doganale ed è legato al verificarsi di un fatto. Solo in questo caso si configura una importazione di merci che prescinda dalla esistenza di una valida dichiarazione doganale, perchè l'introduzione della merce non ha rispettato le fasi contemplate dall'art. 38 c.d.c., n. 1 e dall'art. 40 c.d.c. (Cass., Sez. 5, 1 marzo 2013, n. 5159), ossia conduzione/trasporto all'ufficio doganale e presentazione in dogana (Conf, Cass. 6, 23 giugno 2017, n. 15777;
Cass., Sez. 6, 20 aprile 2017, n. 10033;
Cass., Sez. 6, 30 marzo 2017, n. 8240).

2.2 - Nel caso di specie il fatto generatore dell'imposta è retto dalla dichiarazione in dogana, a sua volta fondata su una fattura rivelatasi ideologicamente falsa quanto a descrizione della quantità della merce e ai singoli valori di transazione. In questo caso non può operare l'ipotesi di cui all'art. 202 c.d.c. (cd. introduzione irregolare), in quanto vi è stata sia presentazione in dogana (art. 4 c.d.c., punto 19: comunicazione all'autorità doganale dell'avvenuto arrivo delle merci), sia dichiarazione doganale (art. 14 c.d.c., punto 17: atto con il quale una persona manifesta la volontà di vincola una merce ad un determinato regime doganale), laddove l'introduzione irregolare è quella che prescinde del tutto dalla sussistenza di una dichiarazione doganale. Nè può ritenersi rilevante il fatto che l'autorità doganale abbia proceduto a una verifica fisica dei prodotti, in quanto ciò che conta è la presentazione della merce in dogana.

2.3 - Questa ricostruzione è coerente con la giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale distingue l'ipotesi della introduzione della merce con dichiarazione da quella oggetto di introduzione irregolare, facendo applicazione dell'art. 202 c.d.c. nelle sole ipotesi in cui la dichiarazione mancava del tutto, ovvero non aveva alcun rapporto con la merce oggetto di introduzione.

Si è ritenuta, ad esempio, applicabile la disciplina della introduzione irregolare di cui all'art. 202 c.d.c in un caso in cui la dichiarazione doganale non aveva alcun rapporto nè con le merci importate (utensili da cucina anzichè sigarette) nè con il regime doganale dichiarato (transito anzichè immissione in libera pratica: Corte di Giustizia, 3 marzo 2005, Papismedov, C-195/03), caso nel quale si è ritenuto che non sussisteva alcuna presentazione in dogana ex art. 4 c.d.c., punto 19. Analogamente si è fatta applicazione dell'art. 202 c.d.c. nel caso di merce introdotta unitamente a merce oggetto di dichiarazione, ma occultata in un nascondiglio creato a tale scopo (Corte di Giustizia, 4 marzo 2004, Hauptzollamt Hamburg-Stadt, cause riunite C-238/02 e C-246/02). In questi casi la Corte di Giustizia ha dato atto che la dichiarazione "non sussiste", posto che la descrizione della merce dichiarata non ha alcuna relazione con la merce introdotta.

Diversamente, si è ritenuto che non sussiste introduzione irregolare ove la merce sia stata dichiarata, benchè menzionata con una classificazione doganale erronea (Corte Giustizia, 8 settembre 2016, Schenker, C-409/14).

Nel caso di specie la merce dichiarata era proprio quella oggetto della dichiarazione, differendo i quantitativi e i valori di transazione, per cui non può ritenersi che la dichiarazione doganale non avesse alcuna attinenza con la merce introdotta.

Si versa, pertanto, nel caso dell'inserimento nella dichiarazione di dati relativi alla merce introdotta non rispondenti al vero, tali da comportare la erroneità della stessa in relazione ai valori di transazione applicabili. Nel qual caso, l'inserimento nella dichiarazione doganale di dati non corrispondenti al vero, comporta la erroneità della dichiarazione doganale, per la quale non viene meno l'applicazione del regime di cui all'art. 201 c.d.c., ma al più si rende si rende applicabile il terzo comma dell'art. 201 c.d.c. che, ferma restando la responsabilità del dichiarante, estende la responsabilità tributaria anche alle persone che hanno fornito detti dati necessari alla stesura della dichiarazione e che erano o avrebbero dovuto ragionevolmente essere a conoscenza della loro erroneità (Corte Giustizia, 19 ottobre 2017, C-522/16, punto 46).

Nè può pensarsi che in questo caso si verta in tema di responsabilità oggettiva, sia in quanto il dichiarante può premunirsi contrattualmente nei confronti dell'importatore e, in ogni caso, può evitare di incorrere in responsabilità agendo quale rappresentante diretto dell'importatore.

Il primo motivo va, pertanto, accolto enunciandosi il principio di diritto secondo cui, in presenza di sottofatturazione, conseguente alla introduzione di merci con dichiarazione doganale redatta su dati rivelatisi falsi la quale, per effetto di indicazione di falsi quantitativi e falsi valori di transazione, abbia comportato la mancata riscossione anche solo parziale dei dati dovuti per legge, resta ferma la responsabilità del dichiarante a termini dell'art. 201 c.d.c., commi 2 e 3, essendo il fatto generatore dell'obbligazione doganale costituito dalla dichiarazione doganale accettata, laddove si rende applicabile l'art. 202 c.d.c. nel solo caso in cui la merce importata non abbia alcuna relazione con quella oggetto della dichiarazione.

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