Cass. pen., sez. V trib., sentenza 13/12/2022, n. 47147

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. V trib., sentenza 13/12/2022, n. 47147
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 47147
Data del deposito : 13 dicembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da C C, nata a Carini, il 3 ottobre 1964;
avverso la sentenza del 14 ottobre 2021, della Corte d'appello di Caltanissetta;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere M C;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale N L, che ha chiesto dichiararsi l'inammissibilità del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1. Oggetto dell'impugnazione è la sentenza con la quale la Corte d'appello di Caltanissetta, per quel che rileva in questa sede, ha confermato la decisione assunta in primo grado, ritenendo C C responsabile del reato di minaccia grave contestatole al capo A) della rubrica, già riqualificato, in primo grado, ai sensi del secondo comma dell'art. 612 del codice penale.

2. Avverso tale decisione ricorre la C, articolando tre motivi di censura. In particolare:

2.1. con il primo motivo, formulato sotto i profili della violazione di legge e dell'inosservanza di norma processuale, la ricorrente deduce che, riqualificato il fatto ai sensi del secondo comma dell'art. 612, il giudice di primo grado avrebbe dovuto informare le persone offese della facoltà di formalizzare la querela. Tale invito sarebbe stato, invece, esperito solo dalla Corte d'appello e la querela, conseguentemente, sarebbe stata presentata quando ormai il termine di tre mesi (decorrente dalla data della pronuncia della sentenza di primo grado) era ormai spirato. Né, per giustificare la procedibilità d'ufficio, sarebbe applicabile l'art. 623-ter cod. pen., attesa l'irretroattività della norma, discendente dall'applicazione del principio del favor rei, trattandosi di norma processuale che aggrava la posizione dell'imputata.

2.2. Con il secondo, formulato sotto il profilo della violazione di legge, il ricorrente deduce l'insussistenza della recidiva. La difesa sostiene che la corte d'appello avrebbe applicato la recidiva da un canto senza che tale aggravante le fosse stata contestata (attesa la relativa indicazione solo in calce al capo d'imputazione formulato a carico del Corvaia) e, comunque, in assenza dei presupposti normativi (essendo la C incensurata) e senza alcuna motivazione specifica in ordine alla necessaria relazione qualificata che deve sussistere tra il nuovo reato e quelli commessi in precedenza.

2.3. Il terzo, in ultimo, attiene al profilo della ritenuta responsabilità, sia sotto il profilo soggettivo (in relazione alla percezione che il marito stesse subendo un'aggressione), che sotto quello oggettivo (in relazione all'assoluta genericità della minaccia).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è manifestamente infondato. L'imputata è stata condannata per il reato di minaccia grave, di cui al secondo comma dell'art. 612 cod. pen., così riqualificato il reato di resistenza a pubblico ufficiale originariamente contestato nel capo d'imputazione. Nel corso dell'iter procedimentale, il d.lgs. del 10 aprile 2018, n. 36 ha modificato l'art. 612 cod. pen. mutando il regime della procedibilità e prevedendo che anche la minaccia grave fosse procedibile a querela di parte. All'imputata, tuttavia, è contestata l'aggravante della recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale, che è un'aggravante ad effetto speciale (Sez. 5, n. 2481 del 05/11/2020, dep. 2021, Rv. 280406;
Sez. U., n. 20798 del 24/02/2011, Rv. 249664;
in termini analoghi, seppur con riferimento all'art. 649-bis cod. pen., Sez. U, n. 3585 del 24/09/2020, dep. 2021, Li Trenta, Rv.280262) e l'art. 623-ter cod. pen., introdotto con il medesimo decreto legislativo, specifica che, per i fatti perseguibili a querela preveduti dall'art. 612 cod. pen., se la minaccia è grave, si procede d'ufficio qualora ricorrano circostanze ad effetto speciale. Il ricorrente sostiene che la norma non sarebbe applicabile, per il principio del favor rei, in quanto peggiorativa della situazione processuale dell'imputata. Ma la deduzione è manifestamente infondata. La valutazione della disciplina, se peggiorativa o meno della posizione dell'imputato, deve essere operata considerando complessivamente la nuova normativa emersa all'esito della modifica legislativa, non essendo legittima la simultanea applicazione delle due diverse discipline (quella introdotta con il citato decreto legislativo e quella antecedente alla modifica), secondo il criterio della maggiore convenienza per l'imputato, (Sez. 6, n. 21744 del 24/04/2008, Rv. 240575) e, quindi, chiedere l'applicazione del nuovo art. 612 cod. pen. (nella parte in cui esclude la procedibilità d'ufficio) e, contestualmente, chiedere la disapplicazione dell'art. 623-ter, che, introdotto dal medesimo decreto, integra la disciplina relativa alla procedibilità. In ogni caso, la norma transitoria introdotta con l'art. 12 del citato decreto legislativo, prevede che, per i reati perseguibili a querela in base alle nuove disposizioni, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, se è pendente il procedimento, il pubblico ministero, nel corso delle indagini preliminari, o il giudice, dopo l'esercizio dell'azione penale, anche, se necessario, previa ricerca anagrafica, informa la persona offesa dal reato della facoltà di esercitare il diritto di querela e il termine decorre dal giorno in cui la persona offesa è stata informata. Ebbene, a prescindere dall'individuazione dell'ufficio giudiziario tenuto a tale comunicazione (se il giudice di primo grado o la corte d'appello), ciò che rileva è che "il termine decorre dal giorno in cui la persona offesa è stata informata". Ed è incontestato il rispetto di tale termine.
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