Cass. civ., sez. V trib., sentenza 24/05/2022, n. 16680
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CONTRORICORRENTE- I FATTI DI CAUSA 1. I Comuni di Porto Tolle, Poto Viro e Taglio di Po presentavano all'Agenzia delle Entrate istanza di rimborso della complessiva somma di 25.883,95 C versata, ai sensi ex art. 21 della tabella allegata al d.P.R. n. 641/72, nel triennio maggio 2006/febbraio 2009, in qualità di sostituto di imposta, a titolo di concessione governativa sulla telefonia mobile in abbonamento (pari all'importo di 12,91 C per ogni singola utenza), sostenendo che tale somma non fosse dovuta, essendo venuto meno, a seguito dell'abrogazione, ad opera dell'art. 218, co. 1, lett. s, del d.lgs. 10 agosto 2003, n. 259, dell'art. 318 del d.P.R. 19 marzo 1973, n. 156, il presupposto impositivo previsto dalla norma. 1.1. Proposta impugnazione contro il silenzio-diniego dell'amministrazione finanziaria, la Commissione tributaria provinciale di Rovigo accoglieva i ricorsi proposti (anche) dai ricorrenti in epigrafe indicati, giusta sentenza n. 33/01/2011, depositata il 25 febbraio 2011. 1.2. Senonchè, la Commissione tributaria regionale di Venezia- Mestre accoglieva, con sentenza n. 1232/06/2014, l'appello avanzato dall'Agenzia, così riformando la prima decisione. A tale soluzione il Giudice regionale giungeva in ragione dei principi affermati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la pronuncia n. 9650/2014, assumendo che la stessa: - aveva confermato la debenza della predetta tassa, escludendo qualsiasi incompatibilità tra il diritto comunitario e quello nazionale, reputando che il contenuto dell'abrogato art. 318 d.P.R. del 29 marzo 1973, n. 156 fosse stato interamente trasfuso nell'art. 160 del d.lgs. 259/2003 (che sottopone le stazioni radioelettriche soggette a licenza d'uso) ed al quale quindi andava riferito il contenuto dell'art. 21 della Proc. 6103/2015 ric. gen. Sentenza Pagina 2 di 23 Corte Suprema di Cassazione - Quinta Sezione Civile - tariffa allegata al d.P.R. 641/1972, stante il rinvio di natura formale e non recettizio che tale disposizione aveva operato al menzionato art. 318;- aveva chiarito che l'art. 219 del d.lgs. del d.lgs. 259/2003, costituente norma interpretativa della liberalizzazione nel sistema delle comunicazioni, stabiliva che dall'attuazione del codice delle telecomunicazioni non dovevano derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato (da intendersi, come tali, anche l'eventuale riduzione od eliminazione degli introiti prima derivanti dalla tassa in questione), per cui la tesi dell'avvenuta abrogazione della tassa di concessione governativa sui telefonini risultava incompatibile con la predetta disposizione;- aveva precisato che la norma interpretativa introdotta dall'art. 2, comma 4, del d.l. 24 gennaio 2014, n. 4, conv. con modif. in legge 28 marzo 2014, n. 50, chiariva che, ai fini di quanto previsto dall'art. 21 della tariffa annessa al d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 641, le disposizioni dell'art. 160 del codice delle comunicazioni elettroniche di cui al d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259, richiamate dal predetto art. 21, si interpretano nel senso che per stazioni radioelettriche si intendono anche le apparecchiature terminali per il servizio di radiomobile terrestre, assumendo, in ragione di detta natura interpretativa, efficacia retroattiva;- aveva stabilito che la tassa in questione era dovuta anche dagli enti locali, ai quali non poteva essere estesa l'esenzione spettante alle Amministrazioni dello Stato. 2. I predetti Comuni proponevano ricorso per cassazione avverso detta sentenza, depositata in data 14 luglio 2014 e non notificata, consegnato per la notifica in data 24 febbraio 2015, affidandolo a nove motivi di impugnazione. 3. L'Agenzia delle Entrate resisteva con controricorso notificato il 3 aprile 2015. Proc. 6103/2015 ric. gen. Sentenza Pagina 3 di 23 Corte Suprema di Cassazione - Quinta Sezione Civile - 4. Il Procuratore Generale ha rassegnato le sue motivate conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso. LE RAGIONI DELLA DECISIONE 5. I motivi di impugnazione sono così riassumibili. 5.1. Con la prima censura i ricorrenti hanno lamentato la «violazione e falsa applicazione dell'art. 1 DPR 641.72, della tariffa 21 allegata al DPR 641.72, dell'art. 2 co. 4 D.L. 04/14 conv. L. 50/2014, dell'art. 160 D.LGS 259.03, in relazione all'art. art. 360 comma 1 n. 3 CPC - violazione direttive comunitarie: ordinanza CTR Veneto, n. 385.24.14 - istanza ex art. 267 TFUE». Nello specifico, i Comuni istanti hanno censurato la decisione impugnata in quanto fondata su di una normativa nazionale contraria alle direttive comunitarie di settore, segnalando che pendeva innanzi alla Corte di Giustizia Europea analoga questione pregiudiziale sollevata dalla Commissione tributaria regionale del Veneto, giusta ordinanza n. 385.24.2014 dell'Il giugno 2014, in relazione all'interpretazione della normativa nazionale sulla tassa di concessione governativa, che si porrebbe in contrasto con le direttive comunitarie nn. 5/99, 20/02 e 22/02, in quanto: a. la normativa nazionale (d.l. n. 4/14, art. 160 d.lgs. 259/2003 e art. 21 Tariffa allegata al d.P.R. n. 641/1972), nello stabilire che per «stazioni radioelettriche» devono intendersi anche le «apparecchiature terminali di telecomunicazione» (ossia i telefoni cellulari), ha, nei fatti, operato, ai fini del pagamento della tassa in rassegna, una equiparazione dei due apparati, con ciò esigendo per l'utilizzo e la messa in servizio dei cellulari il conseguimento della relativa autorizzazione generale, senza però tenere conto che le rispettive direttive comunitarie (5/99 e 20/02) non sono ugualmente «armonizzabili»;b. le direttive nn. 5/99 e 20/02, infatti, prevedono la libera circolazione e la libera messa in servizio degli apparecchi terminali di Proc. 6103/2015 ric. gen. Sentenza Pagina 4 di 23 Corte Suprema di Cassazione - Quinta Sezione Civile - telefonia mobile, mentre la direttiva 22/2002 definisce il contenuto dell'atto stipulato tra il gestore del servizio e l'utente finale come «contratto» privatistico, anziché come «abbonamento», a differenza della normativa nazionale che prevede, invece, l'obbligo di autorizzazione generale a carico solamente dei soggetti che hanno stipulato un contratto denominato «abbonamento». Per tala via, i ricorrenti, evidenziando che la Corte UE non si è mai espressa sulla legittimità comunitaria della normativa di interpretazione autentica di cui al d.l. 4/2014, convertita in L. n. 50/2014, hanno formulato istanza di sospensione ex art. 267 TFUE, al fine di sottoporre alla Corte di Giustizia della Comunità europee la domanda di pronuncia pregiudiziale in merito al contrasto tra la normativa comunitaria e quella nazionale. 5.2. Con il secondo motivo gli istanti hanno denunciato la «violazione e falsa applicazione dell'art. 1 del d.P.R. 641/1972, della Tariffa 21 allegata al d.P.R. 641/1972 e dell'art. 2 comma 2 lett. b) DLGS 259.03, in combinato disposto all'art. 97 della Costituzione (principio di legalità), in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 CPC - campo di applicazione - il telefono cellulare è disciplinato dal DLGS 269.01». Segnatamente, gli istanti hanno sostenuto l'illegittimità della sentenza impugnata per violazione del principio di legalità, tenuto conto dell'abrogazione dell'unica fonte normativa che prevedeva il pagamento del tributo e cioè dell'art. 318 del d.P.R. n. 156/1973 (abrogato codice delle Poste e Telecomunicazioni), nonché dell'assenza di una disciplina specifica concernente la tassa di concessione governativa per i telefoni cellulari da parte nel nuovo codice delle telecomunicazioni, che espressamente dichiara di non applicarsi ai predetti strumenti (v. art., co. 2, del d.lgs. n. 269/2001). I ricorrenti hanno posto in rilievo che sia il d.lgs. n. 259/2003 (nella parte in cui, all'art. 2, comma 2, lett. b, ha previsto che le disposizioni del codice delle comunicazioni non si applicano alle «apparecchiature contemplate dal d.lgs. 9 maggio 2001 n. 269 che attua la direttiva Proc. 6103/2015 ric. gen. Sentenza Pagina 5 di 23 Corte Suprema di Cassazione - Quinta Sezione Civile - 1999/5/CE...» e cioè ai telefoni cellulari), che il d.lgs. n. 269/2001 (il quale, a mente dell'art. 2, considera come apparecchiature anche quelle terminali di telecomunicazione e, dunque, i predetti telefoni cellulari) hanno introdotto una netta separazione tra la disciplina delle stazioni radioelettriche e dei telefoni cellulari. In particolare - secondo l'assunto dei ricorrenti - il d.lgs. 269/2001, (che ha recepito la direttiva 1999/5/ CE) avrebbe implicitamente abrogato la disposizione di cui all'art. 3 del d.m. n. 33/1990 (concernente l'attività di omologa e di collaudo a carico del Ministero), essendo norma di rango superiore, successivamente intervenuta ed incompatibile con la precedente disciplina nella parte in cui, in luogo del collaudo, ha previsto una verifica tecnica da parte del fabbricante di conformità del prodotto alla normativa CE. In tale direzione, gli istanti hanno sostenuto che il primo comma dell'art. 160 del nuovo Codice delle comunicazioni elettroniche (nel quale, anche secondo la sentenza delle Sezioni Unite n. 9560/2014, è stato trasfuso il contenuto dispositivo del primo comma dell'art. 318 del d.P.R. n. 156/1973), che rappresenta la fonte giuridica della licenza d'esercizio per le sole stazioni radioelettriche e non per i telefoni cellulari in virtù del citato art. 2, co. 2, lett. b, del d.lgs. n. 259/2003, avesse fatto venir meno il necessario riferimento alla licenza di esercizio e, conseguentemente, all'atto amministrativo (documento sostitutivo) quale presupposto impositivo previsto dall'art. 1 del d.P.R. n. 641/1972 per la telefonia mobile. Ancora, gli istanti hanno lamentato che la menzionata pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione aveva omesso ogni riferimento alla previsione dell'art. 2, co. 2, lett. b, del d.lgs. n. 259/2003, non considerando, quindi, che detta norma stabilisce che le disposizioni del codice delle comunicazioni non si applicano alle «apparecchiature contemplate dal
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