Cass. pen., sez. V, sentenza 01/12/2022, n. 45723

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. V, sentenza 01/12/2022, n. 45723
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 45723
Data del deposito : 1 dicembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: CLEMENTE GASPARE, nato a Castelvetrano il 27 marzo 1974;
avverso la sentenza del 28 gennaio 2021, della Corte d'appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere M C;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale A V, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
lette le note di trattazione depositate il 4 novembre 2022, dall'avv. V S, nell'interesse del ricorrente;

RITENUTO IN FATTO

1. Il ricorrente impugna la sentenza con la quale la Corte d'appello di Palermo ha confermato la condanna, pronunciata a suo carico in primo grado, per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale aggravata (artt. 216, comma 1, 223, comma 1, e 219 I. fall., 99 cod. pen.) perché, nella sua qualità di amministratore unico della C s.r.I., dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Marsala resa in data 22 dicembre 2015, avrebbe distratto, per fini diversi da quelli sociali, valori di liquidità per cassa per un importo complessivo di oltre 270.000 euro, riconoscendosi arbitrariamente, senza motivazione alcuna e senza delibera assembleare, un finanziamento infruttifero ripetuto e continuato nel tempo, pari al predetto ammontare. Con l'aggravante di aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità e con la recidiva reiterata ed infraquinquennale.

2. Il ricorso è articolato in due motivi.

2.1. Con il primo, formulato sotto il profilo dell'inosservanza di norma processuale, si deduce la nullità della sentenza emessa in primo grado in ragione: - dell'omessa notifica (all'imputato assente) del capo d'imputazione, così come modificato nel corso del giudizio di primo grado, e la conseguente violazione dell'art. 441-bis del codice di procedura penale, anche alla luce di principi espressi dalla Corte EDU nella nota sentenza Drassich;
- della sopravvenuta inefficacia dell'originaria procura speciale rilasciata in favore del difensore, ma relativa ad un fatto diverso rispetto a quello poi contestato;
- della mancanza di un valido consenso alla nuova contestazione, desunto dal mero silenzio dell'imputato (assente).

2.2. Il secondo attiene al profilo dell'accertamento della responsabilità e deduce l'insussistenza del fatto contestato in ragione dell'esistenza di una delibera assembleare di determinazione del compenso (resa in epoca di molto antecedente al dichiarato fallimento, in un periodo in cui la società era in bonis) e della inidoneità della condotta contestata ad incidere sugli interessi dei creditori.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è infondato. Il ricorrente deduce violazione di legge processuale (ai sensi dell'art. 606, comma uno lett. C, cod. proc. pen) e nullità della sentenza perché, richiesto il giudizio abbreviato (condizionato alla indicata integrazione probatoria), ammesso il rito ed acquisite le prove richieste, il giudice procedente avrebbe consentito al P.M. di udienza la modifica del capo d'imputazione senza, tuttavia, acquisire il consenso dell'imputato, notificargli il verbale d'udienza e valutare la sopravvenuta inefficacia della procura speciale originariamente rilasciata. La prima questione da affrontare, secondo un ordine logico, è la dedotta sopravvenuta inefficacia della procura speciale. La censura è inammissibile e, comunque, manifestamente infondata. È inammissibile in quanto formulata in violazione del principio di autosufficienza, che impone la puntuale indicazione, da parte del ricorrente (ai fini della successiva materiale allegazione devoluta alla cancelleria del giudice a quo), degli atti dai quali evincere il vizio dedotto. La valutazione dell'eccezione sollevata imporrebbe, infatti, una preliminare valutazione dell'ampiezza della procura speciale rilasciata al difensore, che, in concreto, non è stata né allegata, né indicata nel corpo del ricorso. E tanto rende la relativa censura inammissibile. Censura che, comunque, è anche manifestamente infondata essendo stati modificati (per come si dirà) solo i connotati materiali del fatto oggetto dell'imputazione, che, nei suoi elementi costitutivi (condotta, oggetto) e nei connessi riferimenti spazio-temporali, è rimasto invece invariato. Le ulteriori due censure (relative all'asserita invalidità di un ipotizzato consenso dell'imputato alla nuova contestazione e all'omessa notifica del verbale contenente la contestazione modificata) devono essere valutate unitariamente e sono entrambe infondate. Appare opportuno premettere che, nel corso dell'istruttoria, le prove assunte possono condurre il pubblico ministero a modificare l'imputazione, sia con riferimento ai profili fattuali della contestazione, sia con riferimento agli elementi propri della fattispecie giuridica ritenuta sussistente. La disciplina relativa alle modificazioni dell'imputazione, con riferimento all'udienza preliminare, è dettata nell'art. 423 cod. proc. pen. che, al primo comma, precisa che, se nel corso dell'udienza il fatto risulta diverso da come descritto nell'imputazione ovvero emerge un reato connesso a norma dell'articolo 12 comma 1 lettera b), o una circostanza aggravante, il pubblico ministero modifica l'imputazione e la contesta all'imputato presente. Se l'imputato non è presente, la modificazione della imputazione è comunicata al difensore, che rappresenta l'imputato ai fini della contestazione. Se, invece, risulta un fatto nuovo non enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, per il quale si debba procedere di ufficio, il giudice ne autorizza la contestazione se il pubblico ministero ne fa richiesta e vi è il consenso dell'imputato. La norma, nel solo primo comma, è espressamente richiamata - per il giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato - dall'art. 441-bis cod. proc. pen., che, in parte qua, precisa che, nei casi disciplinati dagli articoli 438, comma 5, e 441, comma 5 (relativi alle ipotesi di integrazione probatoria), il pubblico ministero può procedere (solo) alle contestazioni previste dall'articolo 423, comma 1 (per il fatto diverso), ma l'imputato può chiedere che il procedimento prosegua nelle forme ordinarie. E la volontà dell'imputato è espressa nelle forme previste dall'articolo 438, comma 3 e, quindi, personalmente o mezzo di procuratore speciale.Ciò considerato, questa Corte ha più volte precisato che il "fatto diverso" (che legittima la contestazione ed esclude la necessità di un esplicito consenso dell'imputato) è quello con connotati materiali anche difformi da quelli descritti nel capo d'imputazione, ma storicamente invariato nei suoi elementi costitutivi (condotta, oggetto) e nei connessi riferimenti spazio-temporali. Simmetricamente, il "fatto nuovo" concerne un accadimento del tutto difforme ed autonomo, per le modalità essenziali dell'azione o per l'evento, rispetto a quello originariamente contestato. (Sez. 1, n, 9958 del 27/10/1997, Rv. 208935). In concreto, per come emerge dalla lettura della sentenza impugnata, all'udienza del 16 gennaio 2019, il capo d'imputazione originariamente è stato modificato ed è stato conseguentemente contestato all'imputato. La modificazione, tuttavia, attiene esclusivamente all'entità della somma distratta e alla conseguente contestazione dell'aggravante prevista dall'art. 219 I. fall., in relazione alla (diversa) entità della distrazione. Ebbene, questa Corte si è già espressa, con orientamento consolidato, nel senso che, in tema di bancarotta fraudolenta, non integra fatto nuovo l'individuazione di diverse modalità della condotta illecita ovvero di ulteriori condotte di distrazione o, comunque, di difformi condotte integrative della violazione dell'art. 216 legge fall., trattandosi di fatto che non può generare 'novità' dell'illecito, ma soltanto la sussistenza della circostanza aggravante (e non la modifica del fatto tipico), in virtù della peculiare disciplina dell'illecito fallimentare - connaturato alla cd. unitarietà del reato desumibile dall'art. 219, comma secondo, n. 1 legge fall., che deroga alla disciplina della continuazione - e della peculiarità della norma incriminatrice che non assegna alle condotte di distrazione, occultamento, distrazione, dissipazione e dissimulazione, previste dall'art. 216, n. legge fall, natura di fatto autonomo, bensì fattispecie penalmente tra loro equivalenti, e cioè modalità di esecuzione alternative e fungibili di un unico reato (ex multis, Sez. 5, n. 15814 del 20/01/2020, Rv. 279257). E ciò vale, a maggior ragione, per la diversa indicazione della somma oggetto di distrazione che, nella sostanziale identità di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, non rappresenta un profilo dotato di intrinseca autonomia strutturale rispetto alla complessiva fattispecie di reato e, quindi, non è in sé circostanza idonea a rendere il "fatto" (seppur modificato) del tutto difforme ed autonomo rispetto a quello originariamente contestato. Ricostruite in questi termini i fatti processuali, alla luce di quanto considerato è possibile dedurre l'assoluta infondatezza delle censure sollevate dal ricorrente. In applicazione del combinato disposto di cui all'art. 441-bis e del richiamato primo comma dell'art. 423 cod. proc. pen., la contestazione di un "fatto diverso" non necessita né di uno specifico consenso da parte dell'imputato (imposto solo per la contestazione di un "fatto nuovo"), né di alcuna comunicazione a quest'ultimo (dovendo, invece essere comunicata al solo difensore, che lo rappresenta ai fini della contestazione: Sez. 5, n. 23983 del 03/02/2015, Rv. 263833). Né tanto può ritenersi in conflitto con i principi della c.d. sentenza Drassich della Corte EDU. È pur vero che il diritto dell'imputato ad una compiuta e tempestiva informazione comprende tanto i fatti materiali posti a suo carico, quanto la relativa qualificazione giuridica (Sez. 5, n. 12213 del 13/02/2014, Rv. 260209;
Sez. 6, n. 3716 del 24/11/2015 - dep. 2016, Rv. 266953), ma la giurisprudenza di questa Corte ha in varie prospettive circoscritto la portata del principio, confinandolo, in particolare, nei soli ambiti in cui le concrete modalità non abbiano consentito all'imputato di rielaborare la propria linea difensiva. Per cui, seppur si ipotizzasse che la diversa quantificazione della somma distratta fosse stata rilevante ai fini di una compiuta conoscenza - per l'imputato - dei fatti materiali posti a suo carico, le facoltà riconosciute dallo stesso art. 441-bis cod. proc. pen. (e la conseguente possibilità di richiedere un termine per valutare la possibilità di procedere nelle forme ordinarie, in concreto mai richiesta dal difensore) sarebbero ampiamente sufficienti a garantire un compiuto esercizio del diritto di difesa ed il rispetto dei principi delineati dalla Corte europea.
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