Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 19/03/2004, n. 5595

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 19/03/2004, n. 5595
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 5595
Data del deposito : 19 marzo 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. M E - Presidente -
Dott. B B - Consigliere -
Dott. L A - Consigliere -
Dott. M F - rel. Consigliere -
Dott. C G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
TRITTO PASQUALE, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA POMA

2, presso lo studio dell'avvocato G S A, rappresentato e difeso dall'avvocato E A, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA DELLA FREZZA

17, presso l'Avvocatura Centrale dell'istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati G F, F J, G B, giusta delega in calce alla copia notificata del ricorso;

- resistente con mandato -
avverso la sentenza n. 292/01 del Tribunale di BARI, depositata il 05/07/01 R.G.N. 90/98;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/12/03 dal Consigliere Dott. F M;

udito l'Avvocato F G;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. I D che ha concluso per il rigetto dei primi due motivi del ricorso. Accoglimento del terzo.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L'INPS proponeva appello contro la sentenza del Pretore del lavoro di Bari che aveva rigettato l'opposizione proposta dall'ente previdenziale avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dal lavoratore, odierno ricorrente, per il pagamento del t.f.r. maturato dal 20 maggio 1986 al 19 maggio 1989, periodo nel quale aveva fruito del trattamento di Cassa integrazione guadagni straordinaria (Cigs), dopo essere stato licenziato a seguito della dichiarazione di fallimento della società datrice di lavoro.
Sosteneva l'INPS di essere carente di legittimazione passiva per le quote di t.f.r. maturate nei periodi di Cigs precedenti il 23 marzo 1988, data di entrata in vigore del d.l. n. 86/88 (convertito in legge n. 160/88), essendo legittimato, per tali periodi, il Fondo per la mobilità della manodopera, costituito presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale.
Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Bari accoglieva l'appello e, per l'effetto, da un lato, condannava l'INPS al pagamento della minor somma ritenuta dovuta per le (sole) quote di t.f.r. maturate nei periodi di godimento della Cigs successivi al 23.3.1988 (così come risultanti dai conteggi, non contestati, depositati dall'ente previdenziale);
per altro verso, condannava il lavoratore appellato a restituire le differenze rispetto alla somma indicata nel decreto opposto.
Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione la parte privata.
L'Inps ha depositato procura.
MOTIVI DELLA DECISIONE


1. Il ricorso è articolato in tre motivi.
Con i primi due il ricorrente - denunciando omessa motivazione su un punto decisivo della controversia e violazione di norme di diritto (disposizioni della legge in generale, legge n. 297 del 1982, principio di infrazionabilità del trattamento di fine rapporto, artt. 21, 24 e 25 della legge n. 675 del 1977, art. 2 legge n. 301 del 1979, art. 4, comma 19, d.l. n. 463 del 1983, art. 3 d.l. n. 747 del 1983, conv. in l. n. 18 del 1984;
l. 160 del 1980, l. n. 464 del 1972;
d.l. n. 726 del 1984 conv. in l. n. 863 del 1984;
art. 3 l. n. 108 del 1991) - assume che l'unico soggetto passivo dell'azione
intrapresa è l'INPS, dal momento che il diritto al t.f.r. non è frammentabile ma sorge e diventa esigibile solamente alla data di cessazione del rapporto di lavoro, intervenuta, nella specie, il 19.5.1989, vale a dire nel regime del d.l. n. 86/1988 (così come convertito), che ha posto a carico dell'INPS l'onere di corresponsione della prestazione. Per tale ragione contesta l'affermazione della sentenza impugnata secondo cui l'abrogazione, da parte dell'art. 8, comma 2, del ripetuto decreto-legge, delle norme che ponevano a carico del Fondo per la mobilità della manodopera gli oneri per le quote di t.f.r. per fattispecie come quella in esame (art. 21, commi 5 e 6 della l. n. 675/1977) e la contestuale conferma delle disposizioni in materia di cui all'art. 2, secondo comma, della legge 8 agosto 1972 n. 464, non avrebbero effetto, giusta l'art. 8,
comma 8, con riferimento ai periodi di fruizione della integrazione salariale precedenti la data (23 marzo 1988) di entrata in vigore del decreto-legge medesimo.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione di legge processuale e vizio di ultrapetizione (artt. 437 e 345 c.p.c.) per avere i giudici di appello accolto la domanda
dell'INPS di restituzione delle somme percepite in eccedenza in esecuzione del decreto ingiuntivo opposto in primo grado, ancorché una tale domanda fosse stata proposta tardivamente e comunque non nell'atto d'appello.


2. Il ricorso - nei suoi primi due motivi che possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi - non è fondato, attesi i principi di diritto affermati da questa Corte che ha già esaminato fattispecie analoghe (cfr. da ultimo Cass. 10 maggio 2002 n. 6746, Cass. 11 aprile 2002 n. 5207, Cass. 23 marzo 2002 n. 4171). Poiché nella specie il periodo di c.i.g.s - va dal 20 maggio 1986 al 19 maggio 1989, occorre riferire della disciplina applicabile ratione temporis;
disciplina che è mutata nel tempo e che vede, per quanto rileva nel presente giudizio, una alterna evoluzione sviluppatasi essenzialmente in tre fasi nelle quali è possibile cogliere, come momento unificante, la tendenza ad un progressivo affiancamento delle quote di trattamento di fine rapporto maturate nel periodo di c.i.g. allo stesso trattamento di integrazione salariale. Di quest'ultimo le prime finiscono per mutuare la natura previdenziale-assistenziale così come in generale il trattamento di fine rapporto mutua la natura retributiva dall'ordinario trattamento economico spettante al lavoratore. Il fatto poi che, in quelle varie fasi, il pagamento delle quote di t.f.r., diventate, sostanzialmente, una prestazione accessoria della integrazione salariale, sia stato posto a carico di enti previdenziali diversi è situazione che consegue a non sindacabili modalità di regolamentazione dell'intervento straordinario della Cassa integrazione e che, comunque, non contraddice ai principi enunciati a proposito dell'insorgenza del diritto al t.f.r., perché altro è il momento di maturazione di tale diritto (nel caso, la data di cessazione dell'intervento della c.i.g.s.) - questo avendo riguardo alla giuridica possibilità, per il lavoratore, di esigere il proprio credito - altro è la individuazione del soggetto pubblico nei confronti del quale la pretesa va esercitata, nulla vietando che la legge possa porre l'obbligo di adempimento della prestazione a carico di enti previdenziali di volta in volta diversi, da ritenere, quindi, responsabili in relazione ai diversi periodi di ammissione alla c.i.g.s..


2.1. Passando, quindi, a brevemente illustrare il contenuto della menzionata disciplina, va ricordato che inizialmente - ed è questa la prima fase - era previsto un obbligo di rimborso a carico della c.i.g. della quota di indennità di anzianità corrisposta dal datore di lavoro e riferibile al periodo di sospensione del rapporto per collocamento del lavoratore in cassa integrazione guadagni. Infatti la legge 8 agosto 1972, n. 464 (recante modifiche ed integrazioni alla legge 5 novembre 1968, n. 1115, in materia di integrazione salariale e di trattamento speciale di disoccupazione) ha previsto, all'art. 2, da una parte che i periodi, per i quali è corrisposto il trattamento di integrazione salariale, sono considerati utili d'ufficio al fine del conseguimento del diritto alla pensione e della determinazione della misura di questa;
d'altra parte ha prescritto che per i lavoratori licenziati al termine del periodo di integrazione salariale, le aziende possono richiedere il rimborso alla cassa integrazione guadagni dell'indennità di anzianità, corrisposta agli interessati, limitatamente alla quota maturata durante il periodo predetto.


2.2. Successivamente - e si passa così alla seconda fase - è stato introdotto l'obbligo (non già di rimborso, bensì di erogazione diretta) di un Fondo con gestione autonoma nel caso di c.i.g.s.. Infatti la legge 12 agosto 1977, n. 675 (recante provvedimenti per il coordinamento della politica industriale, la ristrutturazione, la riconversione e lo sviluppo del settore), all'art. 21, comma 5, ha previsto che, ferma restando la disciplina vigente in materia di trattamento di quiescenza maturato dai singoli lavoratori, sono posti a carico del Fondo di cui all'art. 28 le quote di indennità di anzianità maturate durante il periodo di integrazione salariale per ristrutturazione o riconversione aziendale dei lavoratori che non vengano rioccupati nella stessa azienda al termine di detto periodo per l'impossibilità da parte dell'azienda medesima di mantenere il livello occupazionale. L'art. 28 costituiva presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale un Fondo per la mobilità della manodopera, con amministrazione autonoma e gestione fuori bilancio, destinato alla concessione delle provvidenze di cui all'art. 27 della medesima legge. Il Fondo era alimentato per il 50 per cento da versamenti a carico del Fondo per la ristrutturazione e riconversione industriale di cui all'art. 3 della stessa legge e per il 50 per cento da versamenti a carico della Cassa integrazione guadagni operai dell'industria presso l'INPS.
L'obbligo del datore di lavoro di corrispondere le quote di t.f.r. viene poi espressamente previsto dall'art. 2120, comma 3, c.c., novellato dalla legge n. 297 del 1982. Tale disposizione contempla che in caso di sospensione della prestazione di lavoro nel corso dell'anno per una delle cause di cui all'art. 2110 c.c., nonché in caso di sospensione totale o parziale per la quale sia prevista l'integrazione salariale, deve essere computato nella retribuzione di cui al primo comma l'equivalente della retribuzione a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto di lavoro. Questo assetto della disciplina in esame trova poi ulteriori riscontri. In particolare viene ribadito l'accantonamento a carico del Fondo e la generalizzazione dell'intervento di quest'ultimo nell'ipotesi di stipulazione di contratti collettivi aziendali che stabiliscano una riduzione dell'orario di lavoro al fine di evitare, in tutto o in parte, la riduzione o la dichiarazione di esuberanza del personale. Infatti il decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726 (recante misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli occupazionali), convertito in legge 19 dicembre 1984 n. 863, prevede, all'art. 1, comma 5, che ai fini della determinazione delle quote di accantonamento relative al trattamento di fine rapporto trovano applicazione le disposizioni di cui al comma terzo dell'art. 1 della legge 29 maggio 1982, n. 297. Le quote di accantonamento relative alla retribuzione persa a seguito della riduzione dell'orario di lavoro sono a carico del Fondo di cui all'art. 28 della legge 12 agosto 1977, n. 675. Questa stessa disciplina trova poi applicazione anche nelle ipotesi di fallimento dell'impresa prevista dall'art. 2 della legge 27 luglio 1979, n. 301, di conversione del decreto-legge 26 maggio 1979, n. 159
(concernente norme in materia di integrazione salariale a favore dei lavoratori delle aree del Mezzogiorno);
disposizione, questa, ai sensi della quale, nel caso di fallimento di aziende industriali, oltre ad applicarsi le disposizioni di cui al quinto comma dell'art. 25 della cit. legge n,675 del 1977, l'efficacia dei licenziamenti,
eventualmente intervenuti, è sospesa e i rapporti di lavoro proseguono ai soli fini dell'intervento straordinario della Cassa integrazione.

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