Cass. civ., SS.UU., sentenza 26/05/2004, n. 10137
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Il precetto sulla composizione variabile dei Collegi o dei Consigli centrali degli Ordini professionali in generale (e del Consiglio nazionale forense, in particolare), di cui agli artt. 16 e 22 del D.lgt. 23 novembre 1944, n. 382, non è inscindibilmente ed ontologicamente collegato allo "stato di guerra" e alle connesse difficoltà dei collegamenti esistenti alla data di entrata in vigore del detto D.Lgs.Lgt.; al contrario, esso rinviene la propria ragion d'essere, per un verso, nel rilevante numero dei chiamati a comporre i Collegi dei quali si tratta, e per altro verso, nella necessità di contemperare la funzionalità dei Collegi con le prioritarie esigenze professionali dei loro componenti. Con riguardo al Consiglio nazionale forense, la scissione tra persistenza in vigore degli artt. 16 e 22 del citato D.Lgs.Lgt. e cessazione dello stato di guerra è comprovata dall'art. 18 dello stesso testo normativo, che prevede l'applicabilità delle disposizioni di quella fonte legislativa fino a quando non si sia provveduto alla riforma dell'ordinamento forense.
Ai fini dell'iscrizione nell'albo degli avvocati, l'art. 17, primo comma, numero 3), del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578 prevede - con una norma tuttora in vigore - il requisito della "condotta specchiatissima ed illibata". La sussistenza del detto requisito è da ritenersi esclusa in presenza di condotte dell'interessato, anche diverse da quelle aventi rilievo penale od accertate in sede penale, le quali - ponendosi in contrasto con la disciplina positiva o con le regole deontologiche della professione forense - siano idonee (anche per la loro natura, la non occasionalità e la prossimità alla data in cui il requisito viene in gioco) ad incidere negativamente sull'affidabilità del professionista in ordine al corretto esercizio dell'attività forense. (cfr. Corte cost., sentenza n. 311 del 1996).
La disciplina normativa sulla composizione variabile del Consiglio nazionale forense (artt. 16, 18 e 22 del D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382), applicabile anche quando il detto Consiglio esercita funzioni giurisdizionali, non contrasta con il principio di precostituzionale del giudice naturale (art. 25 Cost.), ne' incide in alcun modo sulla indipendenza ed imparzialità dell'organo (art. 111 Cost. e art. 6 Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali) cfr. Corte cost., sentenza n. 284 del 1986.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C R - Primo Presidente f.f. -
Dott. O G - Presidente di sezione -
Dott. P E - Consigliere -
Dott. E A - Consigliere -
Dott. L E - rel. Consigliere -
Dott. V M - Consigliere -
Dott. M C F - Consigliere -
Dott. V U - Consigliere -
Dott. L M G - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
M M, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CONFALONIERI 5, presso lo studio dell'avvocato L M, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato I C, giusta delega in calce al ricorso;
- ricorrente -
contro
CONSIGLIO DELL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI VENEZIA, CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
- intimati -
avverso la decisione n. 213/03 del Consiglio nazionale forense, depositata il 14/07/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica Udienza del 12/02/04 dal Consigliere Dott. E L;
udito l'Avvocato C A, per delega dell'avvocato L MZI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PIVETTI Marco che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Dottoressa Marzia M, dopo aver superato l'esame di concorso per la professione di procuratore legale, chiese al Consiglio dell'ordine degli Avvocati e Procuratori di Venezia di essere iscritta al relativo Albo.
Con delibera 3 dicembre 2001 il Consiglio adito denegò l'iscrizione stante la carenza del requisito della "condotta specchiatissima ed illibata" previsto dall'art. 17.1 n. 3 R.D.L. 27 novembre 1933 n. 1578. Il Consiglio territoriale considerò, in fatto, due circostanze: la radiazione della dottoressa M dall'albo dei praticanti procuratori a cagione del reiterato abusivo esercizio di attività riservate agli avvocati e procuratori, inflitta dallo stesso Consiglio con decisione divenuta intangibile;
l'utilizzazione, nella corrispondenza epistolare, di fogli nella cui intestazione si qualificava come "avvocato" anche successivamente alla radiazione dall'albo.
Ritenne, poi, che dette circostanze (in particolare, i fatti, in se e per considerati, che avevano imposto e legittimato la radiazione) dimostrassero la sussistenza di un comportamento idoneo sia a violare "i generali e fondamentali principi deontologici" che impongono all'esercente la professione legale di "tutelare la buona fede e fiducia del cliente e di evitare a costui il pericolo di vedersi dichiarare inammissibili a causa della mancanza di jus postulandi, citazioni e ricorsi";
e sia a ledere il dovere di fiducia, probità e decoro propri della classe forense.
Ne trasse, appunto, l'insussistenza del requisito. Con ricorso 3 gennaio 2002 la dottoressa M impugnò la decisione davanti al Consiglio Nazionale Forense.
Il gravame censurò il provvedimento, innanzitutto, per aver presupposto la persistente vigenza del precetto racchiuso nell'art. 17.1 n. 3 R.D.L. n. 1578/1933 che, invece, era rimasto abrogato, quanto meno implicitamente, con l'entrata in vigore della Costituzione Repubblicana;
in subordine, per avere attribuito rilevanza alla radiazione dall'albo di praticanti procuratori legali, mentre non se ne poteva tener conto per diverse ragioni. Nella stessa impugnazione, in previsione dell'eventualità che il Consiglio nazionale Forense non decidesse nel suo plenum: in via principale, propose la questione della legittimità costituzionale degli artt. 16 e 22 D. L.vo Lgt. 23 novembre 1944 n. 382 (dettante Norme sui Consigli degli Ordini e Collegi e sulle Commissioni Centrali professionali) nella parte in cui non prescrivono (ed anzi escludono) che per la validità delle delibere Consiglio Nazionale Forense aventi natura giurisdizionale occorra la partecipazione alla discussione ed alla decisione di un numero fisso di componenti;
in via subordinata, eccepì l'inefficacia di siffatta disciplina per il suo contrasto con l'art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo.
Il Consiglio Nazionale Forense, pronunciando con decisione depositata il 14 luglio 2003, ha respinto l'impugnazione osservando che:
- la questione di legittimità costituzionale degli artt. 16 e 22 D. L.vo Lgt. N. 382/1944 è inammissibile: per motivi formali, non essendo stata formulata secondo le prescrizioni dettate dall'art. 23 L 11 marzo 1953 n. 87;
nel merito, per la sua manifesta infondatezza,
atteso che il principio dell'indipendenza del giudice speciale non è inciso dalla c.d. composizione variabile dei taluni collegi giurisdizionali speciali (tra essi, il Consiglio Nazionale Forense), ed alla cui stregua le loro decisioni sono valide anche se alla relativa discussione e delibera non abbia partecipato un numero ed un'identità di componenti predeterminati e fissi;
- non si individua alcun contrasto della disciplina sulla composizione del Consiglio Nazionale Forense con l'art. 6 della C.E.D.U.;
- il precetto di cui all'art. 17.1 n. 3 R.D.L. n. 1578/1933 è tuttora in vigore;
- non può essere condiviso l'assunto subordinato della Dott.ssa M secondo cui la norma in questione deve essere letta alla luce del 3^ comma della medesima fonte legislativa, rivestendo, invece, totale autonomia;
- il Consiglio territoriale ha posto a fondamento della sua decisione, non già la sanzione della radiazione in se e per se considerata, sibbene il comportamento della Dottoressa M durante l'esercizio del praticantato legale, che aveva giustificato quel provvedimento disciplinare;
- le circostanze valorizzate dal Consiglio territoriale non possono che escludere il requisito della condotta specchiata ed illibata. Con atto notificato il 7/13 ottobre 2003, la Dottoressa Marzia M ha proposto ricorso per Cassazione affidato a tre articolati motivi di annullamento.
Gli intimati Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Venezia e Consiglio Nazionale Forense non hanno svolto attività difensiva. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'art. 373 Cod. proc. civ.. MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Il primo motivo d'annullamento denuncia, nell'epigrafe, violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione ai principi fondamentali in tema di giurisdizione (art. 25 sul giudice naturale e 111 sul giusto processo) ed all'art. 6 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo, ratificata con legge.
Dalla sua illustrazione si evince che, col mezzo, la ricorrente imputa al Consiglio Nazionale Forense d'essere incorso nel vizio di cui all'art. 360 n. 3 Cod. proc. civ. allorquando ha ritenuto: a) la persistente vigenza degli artt. 16 e 22 del D. Ivo Lgt. 23 novembre 1944 n. 382;
b) l'applicabilità del precetto dettato in queste norme anche alle proprie decisioni in sede giurisdizionale;
c) la compatibilità della disciplina de qua sia con l'ordinamento costituzionale, che, in subordine, con la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali C.E.D.U. formata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata con L. 4 agosto 1955 n. 848;
d) la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale della previsione del Consiglio Nazionale Forense quale giudice speciale, nonostante il divieto posto dall'art 102 Cost. e il decorso del termine quinquennale della 6^ Disposizione
transitoria;
e) la validità della decisione impugnata, nonostante sia stata pronunciata dal Consiglio Nazionale Forense in una seduta alla quale non aveva partecipato ingiustificatamente alcuni suoi componenti (addirittura la maggioranza) i quali erano così incorsi nella "violazione del dovere di giudicare" che, trovando la sua fonte positiva nell'art. 54.4 Cost., non può non reagire sull'atto posto in essere, invalidandolo.
1.2.1.- Il primo profilo di censura si dipana dall'assunto che nel D. L.vo Lgt. n. 382 del 1944 la previsione della legittimità della composizione variabile dei Collegi centrali degli ordini professionali era inscindibilmente connessa al particolare momento storico attraversato dall'Italia alla data della sua emanazione. Infatti, spiega la ricorrente, in quel periodo, la persistenza dello stato di guerra nonché le difficoltà dei collegamenti e degli spostamenti tra