Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 23/08/2004, n. 16632

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 23/08/2004, n. 16632
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 16632
Data del deposito : 23 agosto 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. M S - Presidente -
Dott. F C - Consigliere -
Dott. D M A - Consigliere -
Dott. L T M - rel. Consigliere -
Dott. C F - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
METRO METROPOLITANA DI ROMA S.P.A. (già COTRAL METROFERRO S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA TIBURTINA

770, presso lo studio dell'avvocato L B, che lo difende, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
C RERTO, elettivamente domiciliato in

ROMA VLE G MAZZINI

140, presso lo studio dell'avvocato V F, che lo difende, giusta delega in atti;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 929/02 della Corte d'Appello di ROMA, depositata il 07/05/02 - R.G.N. 2404/2001;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 04/05/04 dal Consigliere Dott. M L T;

udito l'Avvocato DI LUCCIO per delega BAGOLAN;

udito l'Avvocato FORTUNATO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. F R che ha concluso per l'accoglimento del ricorso in subordine rimessione alle Sezioni Unite.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso alla Corte d'appello di Roma la Metroferro s.p.a. (già Cotral) appellava la sentenza resa il 29 maggio 2000 dal locale Giudice del lavoro con cui, in accoglimento della domanda proposta da Casagrande Roberto, era stata condannata a pagare delle differenze retributive maturate per compenso lavoro straordinario. La Corte di Roma, con sentenza del 7 maggio 2002, rigettava il gravame, riducendo però le somme spettanti nei limiti della dedotta prescrizione. I Giudici di merito - premesso che a seguito di accordi aziendali del 1983 e del 1988, l'orario di ordinario di lavoro, che prima;
secondo il CCNL era di 39 ore, era stato ridotto a 37 ore settimanali, fermo restando l'orario contrattuale di lavoro ai fini retributivi - affermava che l'orario ordinario doveva ormai considerarsi pari alle 37 ore, di talché le ore svolte in esubero dovevano essere considerate come ore straordinarie ed andavano quindi remunerate con la maggiorazione del 10%, prevista dall'art. 5 del RDL n. 692 del 1923. Rilevava altresì la Corte territoriale, che la società aveva
erroneamente calcolato il relativo compenso applicando detta maggiorazione alla quota oraria ottenuta dividendo la retribuzione mensile per 39, e non già per 37, avvalendosi della clausola in virtù della quale la riduzione di orario doveva avvenire "fermo restando l'orario contrattuale di lavoro ai fini retributivi". In tal modo però, secondo il Tribunale, la società, pur applicando una clausola contrattuale, ossia la clausola degli accordi aziendali del 1983 e del 1988, aveva violato il citato art. 5, perché - pur remunerando lo straordinario con la maggiorazione del 10%, - la aveva però applicata ad una base di calcolo illegittimamente inferiore rispetto a quella di legge.
Avverso detta sentenza la Metro s.p.a. (già Cotral, Metroferro) propone ricorso affidato a quattro motivi. Resiste il lavoratore con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la Metro s.p.a. denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e seguenti, 1322-1326, nonché 1419 e 1339 cod. civ. e difetto di motivazione, perché la Corte
territoriale non avrebbe interpretato in senso complessivo la disciplina pattizia, non avendo considerato che la materia dell'orario di lavoro sarebbe esclusa dalla contrattazione aziendale e riservata unicamente a quella nazionale. Con il secondo motivo si denunzia ancora violazione e falsa applicazione delle medesime disposizioni e si reitera la censura di difetto di motivazione, perché le quote orarie, su cui applicare la maggiorazione per lavoro straordinario, si dovrebbero calcolare dividendo la retribuzione per l'orario settimanale stabilito dal contratto collettivo nazionale di lavoro, mentre le clausole degli invocati accordi aziendali del 1983 e del 1988 dovrebbero ritenersi nulli ove interpretati come modificativi dell'orario di lavoro, che è materia indisponibile a livello di contrattazione aziendale.
Inoltre il Tribunale non avrebbe tenuto conto del fatto la salvezza "dell'orario di lavoro ai fini retributivi", comminata dagli accordi aziendali del 1983 e del 1988, comportava secondo l'espressa previsione della volontà delle parti, la permanente vigenza dell'utilizzabilità dell'orario previsto dal CCNL che era di 39 ore. Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli 3 e 5 del RDL n. 2328 del 1923, dell'art. 5 RDL 692/1923, in relazione agli artt. 4,15 e 17 del CCNL del 1976 nonché degli artt. 1419 e 1339 cod. civ. e difetto di motivazione, perché,
contrariamente a quanto affermato dai Giudici di merito, l'unico limite inderogabile posto dal citato RDL del 1923 sarebbe la maggiorazione del 10% e non già il divisore da assumere (39 in luogo di 37) ed inoltre la disposizione del 1923 faceva riferimento ad un orario di ben 48 ore settimanali.
Con il quarto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 5 ter del DL 702/78, convertito con legge n. 3 del 1979, in rapporto con gli artt. 1322 - 1326 - 1339 - 1362 - 1419 cod. civ. e difetto di motivazione. I Giudici di merito non avrebbero considerato che il citato art. 5 ter faceva divieto agli enti locali territoriali, e alle loro aziende municipalizzate, consortili o società per azioni, a partecipazione maggioritaria degli enti locali, di approvare o stipulare accordi integrativi aziendali, relativi al trattamento del personale dipendente che prevedono erogazioni economiche aggiuntive ai contratti nazionali di categoria, nonché accordi che trattino materie o istituti non espressamente demandati a tale sede dai contratti collettivi nazionali di lavoro della categoria.
Il terzo motivo di ricorso merita accoglimento, con conseguente assorbimento degli altri, mentre appaiono inammissibili i motivi attinenti alla violazione dei canoni interpretativi degli accordi aziendali.
Il Tribunale infatti ha ritenuto che la società abbia proceduto all'adozione del divisore 39, in luogo del divisore richiesto dai lavoratori (37), in forza della clausola dell'accordo aziendale per cui doveva restare fermo l'orario di lavoro contrattuale che era appunto di 39 ore settimanali, ma che così facendo, ossia pur avendo applicato una clausola pattiziamente definita, aveva violato l'art. 5 del RDL 2428 del 1923. Il Tribunale segue quindi la medesima
interpretazione dell'accordo aziendale propugnata dalla società ricorrente, e pur tuttavia ritiene che ciò confligga con una disposizione inderogabile di legge.
La questione posta alla Corte attiene alla interpretazione dell'art. 5 del RDL n. 692, per decidere se il lavoro straordinario che deve essere necessariamente compensato con l'aliquota non inferiore al 10%, sia quello che supera le otto ore giornaliere o le 48 settimanali, ovvero anche quello che comunque supera la durata del lavoro considerata "normale", ossia quella eccedente rispetto all'orario stabilito dalla contrattazione collettiva (nella specie dagli accordi aziendali citati).
Com'è noto, l'art. 2108 cod. civ. dispone che in caso di prolungamento dell'orario normale, il prestatore di lavoro deve essere compensato per le ore straordinarie con un aumento di retribuzione rispetto a quella dovuta per il lavoro ordinario. Fino all'entrata in vigore dell'art. 13 della legge 24 giugno 1997 n. 196, che l'ha fissato in quaranta ore settimanali (cfr. successivamente l'art. 3 del decreto legislativo 8 aprile 2003 n. 66) nessuna norma di legge determinava la durata dell'orario normale, il quale era quindi rimesso all'autonomia collettiva.
Lo stesso art. 2108 dispone poi che "i limiti entro i quali sono consentiti il lavoro straordinario...., la durata di essi e la misura della maggiorazione sono stabiliti dalla legge".
Tra le norme di legge si annovera il RDL 15 marzo 1923 n. 692 il quale, come risulta dall'epigrafe, è "relativo alla limitazione dell'orario di lavoro per gli operai ed impiegati delle aziende industriali o commerci di qualsiasi natura". Si tratta quindi, di normativa non attinente propriamente all'orario di lavoro, ma alle sue "limitazioni".
Il personale Cotral è disciplinato dal RDL 19 ottobre 1923 n. 2328, recante "Disposizioni per la formazione degli orari e dei turni di servizio del personale addetto ai pubblici servizi di trasporto in concessione", che ricalca, agli artt. 1 e 5, quanto rispettivamente previsto nel citato RDL n. 692 dagli artt. 1 e 5, onde la interpretazione verrà fondata anche su queste ultime disposizioni, in quanto aventi all'inarca lo stesso tenore e sicuramente la medesima rado.
Dispone l'art. 1 del RDL n. 692 che "La durata massima normale della giornata di lavoro degli operai e impiegati delle aziende industriali o commerciali di qualunque natura, anche se abbiano carattere di Istituti di insegnamento professionale o di beneficenza, come pure negli uffici, nei lavori pubblici, negli ospedali, ovunque è prestato un lavoro salariato o stipendiato alle dipendenze o sotto il controllo diretto altrui, non potrà eccedere le otto ore al giorno o le 48 ore settimanali di lavoro effettivo".
Si rileva in primo luogo che la disposizione non determina l'orario "normale", ma l'orario normale "massimo" e cioè quello che di regola non si può superare. L'orario "insuperabile" (otto ore giornaliere e 48 settimanale) si considera "normale" poiché vale in via generale, salvo le deroghe consentite dal Ministro del Lavoro e della Previdenza sociale;
così prevede l'art. 11 del RDL n. 692, sulla cui base sono stati emanati nel corso del tempo vari decreti ministeriali contenenti le tabelle che indicano "le industrie e le lavorazioni per le quali, è consentita la facoltà di superare le 8 ore giornaliere o le 48 ore settimanali di lavoro", tale è il titolo del primo provvedimento in materia, ossia l'RD 10 settembre 1923 n. 1957, a cui ne sono seguiti altri nel corso del tempo.
L'art. 5 del RD n. 692 dispone come segue: "È autorizzata, quando vi sia accordo tra le parti, l'aggiunta alla giornata normale di lavoro, di cui nell'art. 1, di un periodo straordinario che non superi le due ore al giorno e le dodici ore settimanali, o una durata media equivalente entro un periodo determinato, a condizione, in ogni caso, che il lavoro straordinario venga computato a parte e remunerato con un aumento di paga, su quella del lavoro ordinario, non inferiore al 10% o con un aumento corrispondente sui cottimi".
Detta disposizione prevede dunque che il lavoro straordinario sia "in ogni caso" compensato con l'aumento del 10% rispetto alla retribuzione ordinaria.
Non si dubita (cfr. Cass. 2 dicembre 1991 n. 12913 e 17 dicembre 2000 n. 1773) che lavoro straordinario non sia solo quello che comincia a decorrere dopo l'orario legale (otto ore giornaliere o quarantotto settimanali), ma che sia rilevante l'orario convenzionale - necessariamente inferiore - oltre il quale il contratto collettivo ovvero quello individuale prevede la maggiorazione per le ore prestate in eccedenza.
Ma ciò non risolve la questione da decidere che è quella, come già detto, di verificare se le disposizioni del 1923 impongano l'applicazione della maggiorazione non inferiore al 10%, a "qualunque" tipo di straordinario prestato, ossì a anche quando derivi non già dal superamento dell'orario "massimo normale di lavoro" determinato dall'art. 1 sopra riportato, ma dal superamento dell'orario inferiore, che viene considerato come "normale" dall'autonomia privata.
Invero, nonostante l'identica denominazione di "lavoro straordinario", le connotazioni date dalla legge a questo istituto sono ben diverse da quelle conferite dalla contrattazione collettiva o individuale, per cui la maggiorazione nella misura cogente non inferiore al 10% va limitata allo straordinario legale. Lo si desume dai seguenti rilievi.
a) In primo luogo, secondo la legge, il lavoro espletato nel limite delle 8 ore giornaliere o delle 48 settimanali non si configura come straordinario, e quindi non da diritto ad alcuna maggiorazione. Il citato art. 5, infatti, non impone la maggiorazione sullo "straordinario", sì da configurare un rinvio ricettizio a quanto l'autonomia privata può considerare come "straordinario", perché l'aggiunta della maggiorazione non inferiore al 10% si riferisce "alla giornata normale di lavoro di cui nell'art. 1". Ed allora il richiamo all'art.

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