Cass. pen., sez. VI, sentenza 07/10/2021, n. 36420

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. VI, sentenza 07/10/2021, n. 36420
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 36420
Data del deposito : 7 ottobre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: N M, nato a Benevento il 3/8/1956 avverso l'ordinanza del 5/10/2020 del Tribunale di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere E A G;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale L O che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata;
sentito il difensore del ricorrente, avvocato P W che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale del riesame di Milano, in accoglimento dell'appello del Pubblico Ministero, ha disposto con ordinanza del 5 ottobre 2020 la misura della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio ai sensi dell'art. 289 cod. proc. pen. nei confronti di N M. Questi, gerente dell'Agenzia delle Entrate—Ufficio Provinciale del Territorio di Milano e responsabile dell'Area Certificati, pertanto in qualità di pubblico ufficiale, è sottoposto ad indagini per il reato di cui all'art. 323 cod. pen. perché, in violazione degli artt. 97 Cost., 1 legge n. 241/1990;
3,4, 6 e 7, d.P.R. 62/2013, della procedura operativa disciplinata con nota nr. 45 del 20 giugno 2003 dell'Agenzia delle Entrate e del Codice di Comportamento del personale dell'Agenzia, intenzionalmente procurava ad utenti dell'ufficio un ingiusto vantaggio patrimoniale, consistente nella consegna di atti e certificati ipotecari senza che fossero versate le relative tasse e, in particolare, prestandosi alla consegna di documenti estratti dal collega, D D S.

2.Le illecite attività dell'indagato, secondo la prospettazione posta a base dell'ordinanza impugnata, sono emerse e sono provate per tabulas dal contenuto delle intercettazioni telefoniche eseguite nel corso delle attività investigative svolte nei confronti di dipendenti dell'Agenzia delle Entrate per reati di corruzione commessi nel rilascio delle visure.

3.11 giudice per le indagini preliminari aveva rigettato la richiesta di applicazione della misura perché aveva ritenuto non utilizzabili nei confronti di N M le risultanze delle intercettazioni poiché l'utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, sia pure disposte nell'ambito del "medesimo procedimento", presuppone che i "reati diversi" da quelli per i quali il mezzo di ricerca della prova è stato autorizzato rientrino nei limiti di ammissibilità stabiliti dall'art. 266 cod. proc. pen., che non ricorrono per il delitto di cui all'art. 323 cod. pen., punito con la pena fino a quattro anni di reclusione. Osservava, in particolare, che era opportuno applicare, ai fini della decisione sull'utilizzabilità, le prescrizioni recate dalla sentenza a Sezioni Unite Cavallo sulla nozione di medesimo procedimento sebbene tale sentenza fosse intervenuta sul tema con un'affermazione incidentale, essendo altro il conflitto di interpretazione demandato alle Sezioni Unite.

4.11 Tribunale non ha condiviso le coordinate interpretative tracciate dal giudice per le indagini preliminari e le conclusioni raggiunte. Secondo l'ordinanza impugnata, infatti, non opera — in relazione al caso in esame - il limite di cui all'art. 266 cod. proc. pen. poiché le operazioni di intercettazione sono state disposte in un unico procedimento penale e i fatti storici sottoposti al giudice in sede di autorizzazione delle operazioni di intercettazione erano in sostanza gli stessi poi confluiti nelle imputazioni provvisorie, alcune delle quali erano state, ex post, qualificate dal pubblico ministero — rispetto alla iniziale più grave ipotesi di corruzione — come fattispecie di abuso d'ufficio, contenuta in ognuna delle corruzioni contestate, ma assorbita nel loro maggior disvalore, come del resto la clausola di riserva dell'art. 323 cod. pen.. In particolare, l'autorizzazione alle operazioni di intercettazioni (cfr. richiesta del 26 gennaio 2018,

RIT

135/2018) era richiesta e ottenuta poiché all'esito delle prime indagini erano emersi gravi indizi di una diffusa illegalità ed asservimento di alcuni dipendenti agli interessi di una serie di utenti privati emergendo "una sorta di fidelizzazione di alcuni impiegati pubblici con professionisti esterni, in particolare esercenti l'attività di visuristi" e, fra questi, erano emersi i rapporti di N M con il collega D S e l'atteggiamento di smaccato favore nei confronti del figlio del M dei funzionari dell'Agenzia. In relazione al M, tuttavia, non è stata acquisita la prova della promessa o pagamento del corrispettivo o la consapevolezza del pubblico ufficiale che promessa o pagamento erano stati fatti a favore di altri dipendenti, con la conseguente contestazione del reato di abuso di ufficio. Le condotte ascritte al M ai capi 13) e 22) - prosegue l'ordinanza impugnata - sono, del resto, sostanzialmente coincidenti con il reato di corruzione ascritto al D S ai capi 12) e 21) mentre il reato contestato al M al capo 27) a favore del figlio, è connesso ai più gravi reati di corruzione come emerge dall'identità del contesto fattuale, temporale e soggettivo di riferimento;
dal carattere omologo dei beni giuridici lesi;
dal fatto che fosse emerso un chiaro disegno unitario in capo ai pubblici dipendenti nell'adozione di reiterate prassi illecite con modalità seriali. Si tratta, conclude il Tribunale, dei fatti prospettati nelle comunicazioni di notizie di reato diversamente qualificati o, comunque, di fatti reato senz'altro connessi ai più gravi reati corruzione prospettati in sede di richiesta e autorizzazione sicché non vi è dubbio che si vetta in ipotesi di utilizzazione di risultati di intercettazioni disposte nel medesimo procedimento in cui le stesse sono state autorizzate sussistendo uno stretto legame sostanziale - come richiesto dalla Sezioni unite - tra i reati oggetto di specifica autorizzazione e reati qualificati diversamente o emersi ex post rispetto alle operazioni di intercettazione.

5.Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell'art. 163 disp. att. cod. proc. pen., il difensore denuncia:

5.1. violazione di legge processuale, in relazione all'art. 266 cod. proc. pen., poiché i reati ascritti all'indagato non rientrano nel limite di ammissibilità fissato dalla legge;

5.2. violazione di legge e vizio di motivazione sulla ricorrenza delle esigenze cautelari di cui all'art. 274, lett. c) cod. proc. pen. che il Tribunale ha modellato sul pericolo di recidiva sviluppato trattando la posizione degli altri indagati ma senza svolgere considerazioni pertinenti alla posizione del ricorrente, considerazioni che si rivelano, inoltre, del tutto astratte, con riferimento all'attualità, tenuto conto dell'epoca di accertamento dei fatti;
della richiesta dell'indagato di trasferimento ad altre mansioni sintomatica del distacco dall'ambiente di lavoro e dai rapporti di colleganza del precedente ufficio comportamento apprezzabile in chiave favorevole all'indagato e da valutare insieme alla incensuratezza del ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.L'ordinanza impugnata, in accoglimento del primo motivo di ricorso, deve essere annullata con rinvio.

2. Il Tribunale di Milano ha ritenuto utilizzabili le risultanze delle intercettazioni nei confronti di N M sulla base di un'articolata ratio decidendi e, cioè:-- che il procedimento in cui le autorizzazioni sono state autorizzate e quello in cui i risultati devono essere utilizzati coincidono, versandosi nell'ipotesi che esula dall'applicazione dell'ad.270 cod. proc. pen. sulla quale si sono pronunciate le Sezioni Unite, che hanno inteso accogliere una nozione sostanziale di "diverso procedimento" ai sensi dell'ad. 270 cod. proc. pen. e che hanno ritenuto non decisivo che le notizie di reato siano iscritte nell'ambito di procedimenti solo formalmente diversi o, specularmente, che.il procedimento sia formalmente unitario ma relativo ad ipotesi di reato, pur iscritte nello stesso "fascicolo", ma del tutto diverse rispetto a quelle prospettate in sede di richiesta e autorizzazione delle intercettazioni -- che si è in presenza degli stessi fatti storici sottoposti al giudice per le indagini preliminari in sede di autorizzazione delle intercettazioni poi confluiti nelle incolpazioni provvisorie alcune delle quali erano state, ex post, qualificate dal pubblico ministero, rispetto alla iniziale contestazione di corruzione, in fattispecie di abuso d'ufficio che, con il delitto di corruzione condividono, il nucleo essenziale della condotta esaminata dal giudice per le indagini preliminari ai fini dell'autorizzazione, ovvero, in particolare con riferimento al reato di abuso di cui al capo 27), che si tratta di reato connesso ai più gravi reati di corruzione, come emerge dall'identità del contesto fattuale, temporale e soggettivo di riferimento, dal carattere omologo dei beni giuridici lesi, dal fatto che fosse emerso un chiaro unitario disegno unitario in capo al pubblico ufficiale nell'adozione di reiterate prassi illecite con modalità seriali. Non opera, dunque, vedendosi in ipotesi di medesimo procedimento, il limite di cui all'ad.266 cod. proc. pen.. Chiara è la ratio della interpretazione proposta dal Tribunale del riesame: il diverso regime di utilizzazione delle conversazioni intercettate, secondo la lettura proposta dalle Sezioni Unite, non può essere seguito perché determina distorsioni incompatibili con il principio di non dispersione degli elementi di prova, che possiede rilevanza costituzionale, e potrebbe comportare una disparità di trattamento tra indagati nello stesso procedimento, come in parte avvenuto, in mancanza di disposizioni normative che differenzino il regime di utilizzabilità del materiale di prova che, comunque, rimarrebbe acquisito al procedimento, con conseguente trascrizione delle registrazioni, in quanto pertinente ai fini di prova del reato per il quale l'autorizzazione è stata concessa. Si tratta, invece, di un aspetto, questo, che sembra risolto nel nuovo art. 270, comma 1, cod. proc. pen. - come modificato per effetto del d.l. 30 dicembre 2019, n. 161 e I. 28 febbraio 2020 n.
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