Cass. civ., sez. II, ordinanza 28/10/2019, n. 27513
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o la seguente ORDINANZA sul ricorso 17024-2015 proposto da: R S, elettivamente domiciliato in ROMA C/0 DI MAJO, VIA AVEZZANA 6, presso lo studio dell'avvocato G O, rappresentato e difeso dall'avvocato UGO SCIRE';- ricorrente- contro R A, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LAZIO 20-C, presso lo studio dell'avvocato M F DOTTO, che lo rappresenta e difende;D&- - controricorrente - nonchè contro G M;- intimato - avverso la sentenza n. 775/2014 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 09/05/2015;udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/05/2019 dal Consigliere A S. RG. 17024 del 2015 R S - A R Fatti di causa R A, nel luglio del 2001, chiedeva ed otteneva da Tribunale di Firenze, nei confronti della Interedil s.r.I., decreto ingiuntivo per il pagamento di L. 35.400.000, oltre interessi e spese del procedimento monitorio. Nel ricorso per D.I. il R aveva esposto che le Interedil, in subappalto, gli aveva affidato l'esecuzione di lavori per la installazione di alcuni infissi e di carpenteria metallica, e che, dopo l'ultimazione delle opere, aveva emesso la fattura n 2 in data 31/03/2001 per L. 35.400.000 (IVA compresa) non pagata, nonostante numerosi solleciti. La Interedil srl. proponeva opposizione, avverso tale decreto, sostenendo l'inadempimento del R per non avere, questi, ultimato i lavori nel termine stabilito, per non averli eseguiti a regola d'arte e chiedeva che fosse dichiarata la risoluzione del contratto per inadempimento del subappaltatore e che questi venisse condannato al risarcimento dei danni, nonché alla restituzione della somma indebitamente percepita e di cui alla fattura n. 201 del 29/12/2000. Il R si costituiva, contestando il fondamento dell'opposizione e rilevando che i problemi evidenziatisi erano dovuti ai lavori eseguiti dalla Interedil. Il Tribunale di Firenze, con sentenza n. 1339/06, previa C.T.U., accoglieva l'opposizione della Interedil s.r.l. e revocava il decreto i RG. 17024 del 2015 R S - A R ingiuntivo opposto;inoltre, dichiarava risolto il contratto sottoscritto dalle parti in data 12/02/2001 e condannava il R al pagamento in favore della società opponente dell'importo di L. 10.329.678 con rivalutazione monetaria ed interessi legali;le spese di lite venivano poste a carico del R. Il Tribunale argomentava come segue: - per l'ultimazione dei lavori (installazione di infissi, copertura del vano ascensore, realizzazione di una pensilina) era stata pattuita la data del 26/02/2001, giorno fissato per la inaugurazione dei locali presso l'Ospedale di Cisanello, doveva ritenersi che si trattasse di termine essenziale, ex art. 1457 c.c., in quanto la Interedil, a sua volta, aveva ricevuto in appalto i lavori dalla committente generale Alisea e doveva a questa rispondere in ordine alla data di ultimazione delle opere;era chiaro che l'utilità economica del subappalto concluso con la ditta R appariva legata al rispetto di tale scadenza, circostanza di cui R fu messo al corrente"-, - siccome la Interedil, dopo la scadenza del termine, aveva più volte sollecitato il completamento dei lavori, in tal modo, inequivocabilmente, aveva manifestato un persistente interesse all'adempimento "con ciò di fatto rinunciando all'effetto risolutivo prodottosi a seguito dello spirare del suddetto termine essenziale", la C.T.U. aveva permesso di accertare che gli infissi realizzati dal R per i locali della mensa dell'Ospedale di Cisanello presentavano gravi difetti (vi era "assoluta mancanza di RG. 17024 del 2015 R S - A R sigillatura" fra gli infissi e gli alloggiamenti murari, sicché rimaneva uno spazio di alcuni centimetri attraverso il quale filtrava l'acqua piovana;i "fuori squadra" rientravano nelle "normali tolleranze" ed ai problemi poteva ovviarsi con accorgimenti del tutto comuni "sigillature e coprifilo" ,- doveva, pertanto, essere risolto il contratto di subappalto concluso dalle parti per l'installazione degli infissi presso l'Ospedale di Cisanello;- doveva essere accolta la domanda risarcitoria avanzata dalla opponente Interedil alla quale doveva essere riconosciuto, come da C.T.U. , il complessivo importo di L. 10.329.678 oltre rivalutazione monetaria ed interessi. Avverso tale sentenza proponeva appello R A, per diversi motivi, censurando le conclusioni cui era pervenuto il Giudice di primo grado. Eccepiva tra l'altro che per l'eliminazione dei vizi era occorso un esborso di L. 10.329.678, per cui, considerando tale importo come il minor valore dell'opera, residuava, comunque, un credito per L. 25.070.322 verso la Interedil, la quale aveva trattenuto gli infissi e le altre opere di carpenteria metallica percependo il corrispettivo dalla Committente Alisea S.p.A. Il R chiedeva che, previa sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza, venissero accolte le sue domande. Si costituivano in giudizio la Interedil s.r.l. in liquidazione e R S nelle qualità attribuitagli nella citazione in appello, RG. 17024 del 2015 R S - A R chiedendo il rigetto del gravame. Gli appellati contestavano, infatti, il fondamento di tutti i motivi di gravame, e rilevavano che R S era privo di legittimazione passiva in quanto il richiamo ali' art. 2495 c.c. era del tutto "improprio". La Corte di Appello di Firenze, con sentenza non definitiva n. 240/13 in data 30/01 - 12/02/2013, dichiarava inammissibile la domanda proposta da R A nei confronti di R S nella qualità di liquidatore della Interedil s.r.I.;2) dichiarava che con la cancellazione dal Registro delle imprese la Interedil aveva perso personalità giuridica;compensava le spese fra l'appellante e R S, quale ex liquidatore della Interedil. Con separata ordinanza veniva disposta la integrazione del contraddittorio nei confronti di G M, altro socio della Interedil. Ciò in quanto dal bilancio finale di liquidazione di tale società era emerso che il Giuliattini era titolare del 66% delle quote ed il R del 34%, ed in quanto si discuteva in causa anche delle somme al pagamento delle quali il R era stato condannato al pagamento in favore della società poi estinta. Alla integrazione del contraddittorio nei confronti del Giuliattini provvedeva R A, con atto notificato in data 05/04/2013. Il Giuliattini rimaneva contumace. Successivamente, la Corte di Appello di Firenze, con sentenza n. 775 del 2014 accoglieva l'appello e in riforma della sentenza impugnata escludeva la risoluzione del contratto di appalto e RG. 17024 del 2015 R S - A R ogni condanna del R al pagamento di somme, revocava il decreto ingiuntivo e condannava R Salvatore e G M al pagamento a favore di R della somma di C. 6.045,21 oltre interessi. Compensava in ragione di un terzo le spese del giudizio di secondo grado e poneva a carico degli appellati la restante parte. Secondo la Corte distrettuale ingiustificata era la pronunciata risoluzione del contratto di appalto considerato che il Tribunale aveva da un verso riconosciuto che i vizi avrebbero potuto essere eliminati e per altro ha ritenuto grave l'inadempimento del R. Piuttosto, la sussistenza dei vizi avrebbe dovuto comportare una riduzione del prezzo concordato quale corrispettivo dell'appalto riducendolo di quella somma necessaria alla eliminazione dei vizi. La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da R S con ricorso affidato a cinque motivi, anche se il motivo secondo e terzo è stato inserito in una stessa rubrica. A R ha resistito con controricorso. G M in questa fase è rimasto intimato. Ragioni della decisione 1.= Con il primo motivo R S lamenta violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) in relazione agli artt. 1453 e 1668 secondo comma, nonché 1218 e 1176 secondo comma, cod. civ. Avrebbe errato la Corte distrettuale secondo il ricorrente nella parte in cui ha escluso la RG. 17024 del 2015 R S - A R gravità dell'inadempimento che, invece, il Tribunale aveva posto a fondamento della risoluzione del contratto, perché non avrebbe considerato che l'inadempimento imputabile a R era non solo grave, in punto di valutazione tecnica, ma di tale difformità che sarebbe traducibile più ad un mancato o ineseguito adempimento che quella di inesatto adempimento. 1.1.= Il motivo è infondato. Giova richiamare il costante orientamento di questa Corte per il quale la valutazione che il giudice è chiamato a compiere in merito alla gravità dell'inadempimento é incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivata, ove abbia effettuato una comparazione in merito al comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi ed all'oggettiva entità degli inadempimenti (tenuto conto non solo dell'elemento cronologico, ma anche e soprattutto degli apporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della incidenza di queste sulla funzione economico-sociale del contratto), si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale (cfr. Cass. n. 13840/2010). In tal senso anche di recente si è ribadita la insindacabilità del giudizio espresso al riguardo dal giudice di merito, laddove supportato da adeguata e congrua motivazione (cfr. Cass. n. 18320/2015), specificandosi RG. 17024 del 2015 R S - A R che il giudice, per valutare la gravità, deve tener conto di un criterio oggettivo, avuto riguardo all'interesse del creditore all'adempimento della prestazione attraverso la verifica che l'inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell'economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità, e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all'altro contraente), sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale, nonché di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti (come un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione, ad opera dell'una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell'altra), che possano, in relazione alla particolarità del caso, attenuarne l'intensità (così Cass. n. 22346/2014). O, attenendosi a tali principi, deve escludersi che la valutazione compiuta dalla Corte di merito si connoti come illogica ovvero priva di razionalità. Piuttosto, la sentenza impugnata, ha ritenuto, sulla scorta di quanto accertato dallo stesso CTU, di dover attribuire efficacia esimente, pur in presenza di vizi dell'opera, alla circostanza che la spesa necessaria ad eliminare i vizi riscontrati e a rendere l'opera a regola d'arte, rispetto al prezzo pattuito, era tale da non giustificare un giudizio di gravità dell'inadempimento.RG. 17024 del 2015 R S - A R Trattasi, evidentemente, di accertamento in fatto, esclusivamente, riservato al giudice di merito, ed insindacabile in questa sede, e che in quanto adeguatamente supportato da una motivazione esente da mende logiche, denotano l'infondatezza del motivo proposto. 2.= Con il secondo motivo il ricorrente lamenta: a) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. (in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.) b) con seguente nullità della sentenza o del procedimento in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. Secondo il ricorrente la Corte distrettuale nel ritenere inesistenti i presupposti per la pronuncia di risoluzione del contratto di appalto non avrebbe correttamente valutato le risultanze della CTU. 2.1.= Il motivo è infondato sotto entrambi i problemi, pur tenendo conto che il secondo profilo e indicato quale conseguenza del primo. Giova ricordare che il compito di valutare le prove e di controllarne l'attendibilità e la concludenza - nonché di individuare le fonti del proprio convincimento scegliendo tra le complessive risultanze del processo quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti - spetta in via esclusiva al giudice del merito;di conseguenza la deduzione con il ricorso per Cassazione di un vizio di motivazione RG. 17024 del 2015 R S - A R della sentenza impugnata, per omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, restando escluso che le censure concernenti il difetto di motivazione possano risolversi nella richiesta alla Corte di legittimità di una interpretazione delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito. Senza dire che, nel caso concreto, la Corte distrettuale, secondo il ricorrente, non avrebbe valutato correttamente la relazione del CTU non considerando che la CTU non è una prova ma un supporto contributivo per la valutazione di quanto è stato già assunto in corso di causa o per accertare fatti rilevabili solo attraverso specifiche cognizioni o strumentazioni tecniche. Come ritenuto dalla costante giurisprudenza di legittimità, è nel potere discrezionale del giudice disattendere le conclusioni della consulenza tecnica d'ufficio, senza dover disporre un'ulteriore perizia, purché disponga di elementi istruttori e di cognizioni proprie, integrati da presunzioni e da nozioni di comune esperienza sufficienti a dar conto della decisione adottata e addirittura "detta decisione può essere censurata in sede di RG. 17024 del 2015 R S - A R legittimità solo ove la soluzione scelta non risulti sufficientemente motivata". Nel caso specifico, la Corte ha ampiamente chiarito le ragioni per le quali ha ritenuto che la sussistenza dei vizi dell'opera non era tale da giustificare un giudizio di gravità dell'inadempimento del R. Come ha avito modo di chiarire la Corte distrettuale "(....) In effetti la sentenza oltre che immotivata in punto di risoluzione (manca qualsiasi argomentazione circa la gravità dell'inadempimento), è illogica in quanto il primo giudice, risolvendo ii contratto ex art. 1668 comma 2 c.c. ha, da un lato, mostrato di ritenere l'opera "del tutto inadatta alla sua destinazione", per poi, dall' altro lato, riconoscere alla committente Interedil, a titolo di risarcimento del danno, la somma di L. 6.129.750 - IVA pari al costo occorrente per eliminare i vizi e completare le parti mancanti . Tuttavia, il fatto che con una simile spesa sia stato possibile rendere le opere a regola d'arte, considerato quello che era il prezzo pattuito (L. 35.400.000), mostra chiaramente che l'opera non era del tutto inadatta alla sua destinazione. È contraddittorio affermare i presupposti per la risoluzione ed al contempo affermare che sono sufficienti interventi contenuti, per eliminare i vizi. Inoltre è sbagliato qualificare tale costo come voce di danno anziché come minor valore dell'opera che determina il diritto del committente RG. 17024 del 2015 R S - A R ad una riduzione del prezzo (come reso evidente dalli art. 1668 comma 1 c.c.) (...)". 3.= Il ricorrente lamenta ancora: a) con il terzo motivo (contrassegnato come quarto) la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2495 e 2697 cod. civ. (in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.). Avrebbe errato la Corte distrettuale nel condannare R S in solido con Giuliattini Mauro la somma di €. 6.045, 21 senza che il R (creditore) avesse dimostrato che R S avesse percepito alcuna somma dalla società estinta in ragione del bilancio finale della stessa società b) Con il quarto motivo (contrassegnato come quinto), la violazione degli artt. 112, 115 e 116 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. Secondo il ricorrente, la Corte di Appello non solo avrebbe pronunciato la sentenza in assenza di prove dell'avvenuta riscossione ma altresì in dispregio delle risultanze probatorie relative alle percentuali di possesso delle quote societarie da parte degli ex soci della società Interdil srl. 3.1. = I motivi che per la loro innegabile connessione vanno esaminati congiuntamente sono infondati. Giova premettere che la sorte dei debiti sociali della società estinta per cancellazione è prevista normativamente dall'art.2495 c.c., il quale prevede che i creditori possono agire nei RG. 17024 del 2015 R S - A R confronti dei soci della dissolta società di capitali e/o di persone sino alla concorrenza di quanto questi ultimi abbiano riscosso in base al bilancio finale di liquidazione. È prevista, inoltre, anche la possibilità di agire (da intendersi, però, per risarcimento dei danni) nei confronti del liquidatore, se il mancato pagamento del debito sociale è dipeso da colpa di costui. E, come è stato già detto da questa Corte (sent. 22 giugno 2017, n. 15474), è a carico dei creditori la prova che i soci abbiano percepito delle somme secondo il bilancio finale di liquidazione perché, "E' evidente che la percezione della quota dell'attivo sociale assurga ad elemento della fattispecie costitutiva del diritto azionato dal creditore nei confronti del socio: sicché, in base alla regola generale posta dall'art. 2697 c.c., tale circostanza deve essere dimostrata da chi faccia valere il diritto in giudizio". Ora, nel caso specifico, la Corte distrettuale ha osservato correttamente questi principi e ha chiarito che i due soci (R e G) erano condannati in solido a pagare la somma di C. 6.045,21 pari a quella dai soci, riscossa sulla base del bilancio finale di liquidazione, come da copia di tale bilancio prodotta da R stesso nel primo grado del giudizio. Pertanto, la sentenza impugnata non ha commesso alcun errore ed ha correttamente osservato la normativa di cui all'art. 2493 secondo comma cod. civ.. avendo dato atto che secondo il bilancio finale di liquidazione della società Interdil i soci avrebbe percepito la RG. 17024 del 2015 R S - A R somma pari a quella cui sono stati condannati a corrispondere al sig. R. 3.2. = Corretta è, altresì, la condanna in solido dei due soci senza la specificazione del quantum attribuito a ciascun socio perché tanto riguarda il profilo interno della solidarietà. Come è stato già detto da questa Corte (Cass. n. 18406/2009) in materia di obbligazione solidale, ciascun debitore può agire in regresso nei confronti dell'altro a condizione che l'importo azionato non ecceda la parte di pertinenza del condebitore nei confronti del quale l'azione viene esercitata;ne consegue che, ove tale limite venga rispettato, l'azione di regresso può essere esercitata anche congiuntamente da più debitori che abbiano pagato l'intero debito, senza che il convenuto possa opporre che uno di costoro ha pagato meno di quanto dovuto, poiché la ripartizione della somma cumulativamente azionata attiene ai rapporti interni tra condebitori. In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente in ragione del principio di soccombenza va condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo Si dà atto che sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato a carico dei ricorrenti.
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