Cass. pen., sez. V, sentenza 10/02/2022, n. 04865
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da C I, nato a Poirino (TO), il 03/05/1958, avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano emessa in data 19/10/2020;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere dott.ssa R C;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale V S, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, riportandosi alla requisitoria scritta;
uditi difensori di fiducia del ricorrente, avv.to A D ed avv.to S T, che hanno concluso per l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Milano in data 15/05/2018 - con cui I, C era stato condannato a pena di giustizia per i delitti di bancarotta fraudolenta per distrazione, bancarotta documentale e per aver cagionato, per effetto di operazioni dolose, in qualità di amministratore di fatto, procuratore speciale dal 30/10/2003 al 11/10/2006, il fallimento della G.N. Immobiliare s.r.I., dichiarato con sentenza del Tribunale di Milano in data 23/03/2009, ai sensi degli artt. 110 cod. pen., 216, comma 1 e 2, 219 comma 2, n. 2, 223, comma 2, n. 2, r.d. n. 267/1942 - rideterminava in anni cinque la durata delle pene accessorie di cui all'art. 216, ultimo comma, legge fallimentare.
2. I C ricorre in data 26/02/2021, a mezzo dei difensori di fiducia avv.to S T ed avv.to A D, deducendo otto motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.: 2.1 inosservanza di norme sancite a pena di nullità, inammissibilità, inutilizzabilità, decadenza, in riferimento all'art. 522 cod. proc. pen., ai sensi dell'art. 606 lett. c), cod. proc. pen., in quanto già la sentenza di primo grado ha considerato come il capo di imputazione formulato in relazione alla bancarotta fraudolenta per distrazione si fondasse su una duplicazione delle somme: ciò in quanto i conti correnti personali di Roberto C e di D G dovevano essere ritenuti riferibili alla società e solo formalmente intestati ai predetti, sicché le somme indicate come distratte in favore dei coimputati erano, in realtà, somme transitate da un conto all'altro della società, operazioni equiparabili, nella sostanza, ad altrettanti giroconti, per cui i relativi importi non potevano considerarsi autonomamente distratti, dovendo, pertanto, essere scomputati dall'importo globale individuato per ciascun anno di riferimento della condotta distrattiva. Il Tribunale, quindi, sulla scorta di tale circolarità della movimentazione bancaria, ha considerato solo i flussi accreditati sui conti societari provenienti da aperture di credito o da finanziamenti bancari, effettivamente utilizzati dalla società per finalità che il curatore non ha potuto ricostruire o accertare e che, pertanto, sono stati ritenuti oggetto di distrazione, quanto meno nei limiti in cui le banche erano rimaste creditrici. In tal senso si palesa la diversità tra il fatto indicato nel capo di imputazione e quello descritto in sentenza, essendo diverso l'oggetto materiale del reato, non rientrando nel capo di imputazione le somme finanziate dagli istituto di credito o, almeno, non essendo stata provata la loro inclusione nello schema dei versamenti ricostruiti dalla Guardia di Finanza nelle schede allegate al p.v.c., queste ultime oggetto dell'istruttoria dibattimentale;
né il C avrebbe potuto esercitare le proprie prerogative difensive, poiché, a differenza di quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, egli non aveva la disponibilità di tutti i conti correnti societari, ed il debito si era accumulato proprio sui conti di cui egli non aveva la disponibilità e di cui non è stata disposta l'acquisizione in dibattimento;
non a caso, l'imputato ha solo potuto accedere al fascicolo fallimentare, allo scopo di dimostrare come le insinuazioni al passivo fallimentare si fossero verificate in relazione a conti su cui egli non poteva operare, in quanto aperti dal G, senza, tuttavia, aver mai potuto esaminarne gli estratti conto, con la conseguenza che egli avrebbe dovuto essere assolto dalla relativa imputazione, risultando la motivazione della Corte territoriale, sul punto, del tutto inconferente;
2.2 violazione di legge, in riferimento agli artt. 2651 e 2639 cod. civ., ai sensi dell'art. 606 lett. b), cod. proc. pen., in relazione alla possibilità di individuare in capo al ricorrente il ruolo di amministratore di fatto dopo il 02/08/2004, data alla quale risale la sostituzione del precedente amministratore con D G e, comunque, nel periodo in cui si sarebbero verificate le distrazioni, ossia dal maggio 2006, epoca in cui il G aveva acceso il primo conto corrente, sino alla data della dichiarazione di fallimento. Pur risultando pacificamente che il ricorrente avesse continuato a gestire in maniera poco ortodossa alcuni conti correnti societari - rispetto ai quali, tuttavia, non è stato individuato alcun debito a carico della società - sulla base di uno specifico accordo con il G, come riconosciuto dal primo giudice, la motivazione della Corte di merito sembra non condividere detta impostazione, ritenendo che, anche dopo il 2004, il ricorrente non si sarebbe limitato a movimentare detti conti correnti;
tuttavia, la Corte territoriale non ha offerto, sul punto, alcuna motivazione rafforzata e, anzi, si è contraddetta in relazione alla ricostruzione della condotta dis. trattiva, limitandosi a dare rilevanza al dato - del tutto neutro e diversamente giustificabile e, quindi, privo di qualunque precisione indiziaria - della presenza del ricorrente durante il controllo della Guardia di Finanza. La stessa procura ad negotia di cui il ricorrente era munito dal 30/10/2003, di ampio contenuto, non solo non appare sufficiente ai fini dell'individuazione del ruolo di amministratore di fatto, ma non consente di individuare quali sarebbero stati i concreti atti di gestione posti in essere dall'imputato, elemento a cui si àncora il ruolo di amministratore di fatto, anche alla luce della giurisprudenza di legittimità. In sostanza, quindi, il C aveva mantenuto un dominio non sull'intera attività della società, ma solo su di una parte di essa, ossia un godimento corrispondente ad un usufrutto di ramo di azienda, ai sensi dell'art.2561 cod. civ.;
tale istituto, in particolare, individua in capo all'usufruttuario specifici obblighi di gestione, l'inadempimento dei quali avrebbe determinato il concorso del C, quale extraneus, nella condotta distrattiva dell'amministratore di diritto;
in ogni caso, il ricorrente ha gestito il ramo d'azienda in maniera del tutto ininfluente ai fini dell'aggravamento del dissesto, tanto è vero che questo è stato causato unicamente dalla condotta del G;
2.3 vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, lett. e), cod. proc. pen., in riferimento alla attribuzione al ricorrente della condotta distrattiva, contrastante con la cronologia delle vicende societarie descritte nella premessa del ricorso, da cui si evidenzia come i debiti fossero tutti sorti in un'epoca in cui amministratore della società era il G, avendo già la difesa evidenziato nei motivi di appello come le movimentazioni bancarie rilevanti erano quelle riconducibili all'apertura del rapporto di conto corrente con la Cassa di Risparmio di Milano e Lombardia nel maggio 2006, garantito da una fideiussione bancaria personale del G fino a concorrenza di 300.000,00 euro. Al contrario, la Corte territoriale, sulla base di un sillogismo eristico, ha fondato l'affermazione di responsabilità dell'imputato su una vera e propria responsabilità oggettiva, ritenendo il C concorrente del G, senza peraltro offrire alcuna ricostruzione del contributo psicologico;
ciò, infatti, avrebbe implicato la prova della consapevolezza, da parte del C, della condotta illecita del G, oltre che del contributo da lui prestato in concreto, posto che l'amministrazione della società era stata assunta dal G stesso;
2.4 violazione di legge, in riferimento all'art. 192 cod. proc. pen., ai sensi dell'art. 606, lett. b), cod. proc. pen., in quanto la sentenza di primo grado aveva fondato la propria ricostruzione sulla circostanza che la società fosse inattiva, come riferito dal C al C, e che la mancata restituzione dell'affidamento bancario, dimostrata dall'insinuazione al passivo dell'istituto di credito, in assenza di spiegazione circa la destinazione degli importi e della carenza di documentazione, integrasse la condotta distrattiva. In realtà, il C era uscito di scena nel 2004, con la consegna al G della documentazione contabile societaria, per cui non si può ritenere che la società fosse inattiva, posto che il G, due anni dopo, aveva aperto il primo dei conti correnti affidati ed aveva sottoscritto quattro rogiti immobiliari, come dimostrato dalla produzione documentale in sede di gravame. Tali circostanze sono state del tutto pretermesse dalla Corte territoriale, il che mina il ragionamento ricostruttivo, basato, per l'appunto, su di una presunta inattività della società, circostanza dimostrata non vera. Né si comprende come la sentenza impugnata possa identificare come distrazioni patrimoniali i debiti bancari, senza aver mai esaminato i relativi estratti conto bancari;
senza contare come tali somme non fossero contemplate quale oggetto della distrazione descritta dal capo di imputazione, come descritto in precedenza con il primo motivo di ricorso;
2.5 inosservanza di norme sancite a pena di nullità, inammissibilità, inutilizzabilità, decadenza, in riferimento all'art. 649 cod. proc. pen., e vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 lett. c) ed e), cod. proc. pen., in quanto la fattispecie di bancarotta impropria è stata collegata al debito verso l'erario pari a circa 60 milioni di euro, pari al 95% del passivo accertato, benché il C fosse stato assolto dalle relative imputazioni di cui agli artt. 5 e 10 d. Igs.74/2000, basate sulle medesime fonti di prova, ossia, essenzialmente, gli
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere dott.ssa R C;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale V S, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, riportandosi alla requisitoria scritta;
uditi difensori di fiducia del ricorrente, avv.to A D ed avv.to S T, che hanno concluso per l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Milano in data 15/05/2018 - con cui I, C era stato condannato a pena di giustizia per i delitti di bancarotta fraudolenta per distrazione, bancarotta documentale e per aver cagionato, per effetto di operazioni dolose, in qualità di amministratore di fatto, procuratore speciale dal 30/10/2003 al 11/10/2006, il fallimento della G.N. Immobiliare s.r.I., dichiarato con sentenza del Tribunale di Milano in data 23/03/2009, ai sensi degli artt. 110 cod. pen., 216, comma 1 e 2, 219 comma 2, n. 2, 223, comma 2, n. 2, r.d. n. 267/1942 - rideterminava in anni cinque la durata delle pene accessorie di cui all'art. 216, ultimo comma, legge fallimentare.
2. I C ricorre in data 26/02/2021, a mezzo dei difensori di fiducia avv.to S T ed avv.to A D, deducendo otto motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.: 2.1 inosservanza di norme sancite a pena di nullità, inammissibilità, inutilizzabilità, decadenza, in riferimento all'art. 522 cod. proc. pen., ai sensi dell'art. 606 lett. c), cod. proc. pen., in quanto già la sentenza di primo grado ha considerato come il capo di imputazione formulato in relazione alla bancarotta fraudolenta per distrazione si fondasse su una duplicazione delle somme: ciò in quanto i conti correnti personali di Roberto C e di D G dovevano essere ritenuti riferibili alla società e solo formalmente intestati ai predetti, sicché le somme indicate come distratte in favore dei coimputati erano, in realtà, somme transitate da un conto all'altro della società, operazioni equiparabili, nella sostanza, ad altrettanti giroconti, per cui i relativi importi non potevano considerarsi autonomamente distratti, dovendo, pertanto, essere scomputati dall'importo globale individuato per ciascun anno di riferimento della condotta distrattiva. Il Tribunale, quindi, sulla scorta di tale circolarità della movimentazione bancaria, ha considerato solo i flussi accreditati sui conti societari provenienti da aperture di credito o da finanziamenti bancari, effettivamente utilizzati dalla società per finalità che il curatore non ha potuto ricostruire o accertare e che, pertanto, sono stati ritenuti oggetto di distrazione, quanto meno nei limiti in cui le banche erano rimaste creditrici. In tal senso si palesa la diversità tra il fatto indicato nel capo di imputazione e quello descritto in sentenza, essendo diverso l'oggetto materiale del reato, non rientrando nel capo di imputazione le somme finanziate dagli istituto di credito o, almeno, non essendo stata provata la loro inclusione nello schema dei versamenti ricostruiti dalla Guardia di Finanza nelle schede allegate al p.v.c., queste ultime oggetto dell'istruttoria dibattimentale;
né il C avrebbe potuto esercitare le proprie prerogative difensive, poiché, a differenza di quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, egli non aveva la disponibilità di tutti i conti correnti societari, ed il debito si era accumulato proprio sui conti di cui egli non aveva la disponibilità e di cui non è stata disposta l'acquisizione in dibattimento;
non a caso, l'imputato ha solo potuto accedere al fascicolo fallimentare, allo scopo di dimostrare come le insinuazioni al passivo fallimentare si fossero verificate in relazione a conti su cui egli non poteva operare, in quanto aperti dal G, senza, tuttavia, aver mai potuto esaminarne gli estratti conto, con la conseguenza che egli avrebbe dovuto essere assolto dalla relativa imputazione, risultando la motivazione della Corte territoriale, sul punto, del tutto inconferente;
2.2 violazione di legge, in riferimento agli artt. 2651 e 2639 cod. civ., ai sensi dell'art. 606 lett. b), cod. proc. pen., in relazione alla possibilità di individuare in capo al ricorrente il ruolo di amministratore di fatto dopo il 02/08/2004, data alla quale risale la sostituzione del precedente amministratore con D G e, comunque, nel periodo in cui si sarebbero verificate le distrazioni, ossia dal maggio 2006, epoca in cui il G aveva acceso il primo conto corrente, sino alla data della dichiarazione di fallimento. Pur risultando pacificamente che il ricorrente avesse continuato a gestire in maniera poco ortodossa alcuni conti correnti societari - rispetto ai quali, tuttavia, non è stato individuato alcun debito a carico della società - sulla base di uno specifico accordo con il G, come riconosciuto dal primo giudice, la motivazione della Corte di merito sembra non condividere detta impostazione, ritenendo che, anche dopo il 2004, il ricorrente non si sarebbe limitato a movimentare detti conti correnti;
tuttavia, la Corte territoriale non ha offerto, sul punto, alcuna motivazione rafforzata e, anzi, si è contraddetta in relazione alla ricostruzione della condotta dis. trattiva, limitandosi a dare rilevanza al dato - del tutto neutro e diversamente giustificabile e, quindi, privo di qualunque precisione indiziaria - della presenza del ricorrente durante il controllo della Guardia di Finanza. La stessa procura ad negotia di cui il ricorrente era munito dal 30/10/2003, di ampio contenuto, non solo non appare sufficiente ai fini dell'individuazione del ruolo di amministratore di fatto, ma non consente di individuare quali sarebbero stati i concreti atti di gestione posti in essere dall'imputato, elemento a cui si àncora il ruolo di amministratore di fatto, anche alla luce della giurisprudenza di legittimità. In sostanza, quindi, il C aveva mantenuto un dominio non sull'intera attività della società, ma solo su di una parte di essa, ossia un godimento corrispondente ad un usufrutto di ramo di azienda, ai sensi dell'art.2561 cod. civ.;
tale istituto, in particolare, individua in capo all'usufruttuario specifici obblighi di gestione, l'inadempimento dei quali avrebbe determinato il concorso del C, quale extraneus, nella condotta distrattiva dell'amministratore di diritto;
in ogni caso, il ricorrente ha gestito il ramo d'azienda in maniera del tutto ininfluente ai fini dell'aggravamento del dissesto, tanto è vero che questo è stato causato unicamente dalla condotta del G;
2.3 vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, lett. e), cod. proc. pen., in riferimento alla attribuzione al ricorrente della condotta distrattiva, contrastante con la cronologia delle vicende societarie descritte nella premessa del ricorso, da cui si evidenzia come i debiti fossero tutti sorti in un'epoca in cui amministratore della società era il G, avendo già la difesa evidenziato nei motivi di appello come le movimentazioni bancarie rilevanti erano quelle riconducibili all'apertura del rapporto di conto corrente con la Cassa di Risparmio di Milano e Lombardia nel maggio 2006, garantito da una fideiussione bancaria personale del G fino a concorrenza di 300.000,00 euro. Al contrario, la Corte territoriale, sulla base di un sillogismo eristico, ha fondato l'affermazione di responsabilità dell'imputato su una vera e propria responsabilità oggettiva, ritenendo il C concorrente del G, senza peraltro offrire alcuna ricostruzione del contributo psicologico;
ciò, infatti, avrebbe implicato la prova della consapevolezza, da parte del C, della condotta illecita del G, oltre che del contributo da lui prestato in concreto, posto che l'amministrazione della società era stata assunta dal G stesso;
2.4 violazione di legge, in riferimento all'art. 192 cod. proc. pen., ai sensi dell'art. 606, lett. b), cod. proc. pen., in quanto la sentenza di primo grado aveva fondato la propria ricostruzione sulla circostanza che la società fosse inattiva, come riferito dal C al C, e che la mancata restituzione dell'affidamento bancario, dimostrata dall'insinuazione al passivo dell'istituto di credito, in assenza di spiegazione circa la destinazione degli importi e della carenza di documentazione, integrasse la condotta distrattiva. In realtà, il C era uscito di scena nel 2004, con la consegna al G della documentazione contabile societaria, per cui non si può ritenere che la società fosse inattiva, posto che il G, due anni dopo, aveva aperto il primo dei conti correnti affidati ed aveva sottoscritto quattro rogiti immobiliari, come dimostrato dalla produzione documentale in sede di gravame. Tali circostanze sono state del tutto pretermesse dalla Corte territoriale, il che mina il ragionamento ricostruttivo, basato, per l'appunto, su di una presunta inattività della società, circostanza dimostrata non vera. Né si comprende come la sentenza impugnata possa identificare come distrazioni patrimoniali i debiti bancari, senza aver mai esaminato i relativi estratti conto bancari;
senza contare come tali somme non fossero contemplate quale oggetto della distrazione descritta dal capo di imputazione, come descritto in precedenza con il primo motivo di ricorso;
2.5 inosservanza di norme sancite a pena di nullità, inammissibilità, inutilizzabilità, decadenza, in riferimento all'art. 649 cod. proc. pen., e vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606 lett. c) ed e), cod. proc. pen., in quanto la fattispecie di bancarotta impropria è stata collegata al debito verso l'erario pari a circa 60 milioni di euro, pari al 95% del passivo accertato, benché il C fosse stato assolto dalle relative imputazioni di cui agli artt. 5 e 10 d. Igs.74/2000, basate sulle medesime fonti di prova, ossia, essenzialmente, gli
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