Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 03/12/2004, n. 22740

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In tema di assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali, i due istituti della revisione per errore delle rendite e della revisione per miglioramento sono distinti e sono soggetti ad una differente disciplina e fondati su presupposti di fatto diversi,per cui ai fini dell'individuazione del procedimento introdotto occorre verificare quali ne siano i presupposti e non fermarsi al nomen iuris attribuito dal richiedente. Pertanto, nella ipotesi in cui venga accertato che il Cosiddetto "miglioramento" è invece "originario" deve applicarsi la disciplina relativa alla revisione per errore,attualmente regolata dall'art. 9 del D.Lgs. n.38 del 2000, applicabile anche ai processi in corso, e deve escludersi che possa intervenire revisione se (come nella specie) l'accertamento originariamente errato sia coperto da giudicato, posto che l'accertamento coperto da giudicato non può costituire oggetto di una diversa valutazione, qualora permangano immutati gli elementi di fatto e di diritto preesistenti.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 03/12/2004, n. 22740
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 22740
Data del deposito : 3 dicembre 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. S G - Presidente -
Dott. F D - Consigliere -
Dott. S P - Consigliere -
Dott. C G - Consigliere -
Dott. D R A - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
LOPRIENO VITO, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA ANASTASIO II

311, presso lo studio dell'avvocato F C, rappresentato e difeso dall'avvocato G C, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
INAIL - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE

CONTRO

GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA IV NOVEMBRE

144, rappresentato e difeso dagli avvocati A C, G D F, E F, giusta delega in atti;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 361/01 della Corte d'Appello di BARI, depositata il, 14/04/01 R.G.N. 193/2000;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 07/10/04 dal Consigliere Dott. A D M;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. A P che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il sig. V Lprieno è stato titolare, fino al luglio 1994, di rendita I.n.a.i.l. per postumi del 50%, derivante dall'unificazione di due distinte rendite: la prima, in misura pari al 18%, risalente al 25 novembre 1980, per gli esiti di un infortunio al braccio sinistro, la seconda, in misura pari al 35%, per ipoacusia professionale, riconosciuta con sentenza dell'11 febbraio 1985 n. 593 del Pretore di Bari, passata in giudicato. L'I.n.a.i.l. ha sottoposto a visita di revisione l'assicurato il 2 luglio 1994, riducendo la rendita dal 50% al 22%, per poi fissarla al 28% a seguito di opposizione in via amministrativa. In particolare, la riduzione della rendita derivava dall'accertamento di postumi pari al 7% (in luogo del 18%) per l'infortunio alla spalla sinistra, e pari al 18% (in luogo del 35%) per l'ipoacusia percettiva bilaterale. Il Loprieno proponeva ricorso al Pretore di Bari chiedendo l'erogazione della rendita nella misura del 59%, atteso l'aggravamento delle proprie condizioni, o, quantomeno, il ripristino nella misura del 50%, o, comunque, in altra misura superiore al 28% in godimento. Il c.t.u. nominato dal Pretore confermava la percentuale di invalidità così come ridotta dall'Inail. Ciononostante il Pretore accoglieva la domanda dell'assicurato, condannando l'Inail a ripristinare la rendita nella misura del 50%, sulla base delle note autorizzate e dei chiarimenti del ctu, secondo il quale il grado di ipoacusia rilevato in sede di revisione era tale fin dal momento della costituzione della rendita, sicché si era trattato di una revisione non per miglioramento ma per errore. L'appello dell'Inail era accolto dalla Corte d' Appello di Bari, con sentenza 10/14 aprile 2001 n. 361, sulla base della ctu rinnovata in grado di appello, confermativa di quella di primo grado. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il Loprieno, con unico motivo.
L'intimato Istituto si è costituito con controricorso, resistendo. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con unico motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 137 e 83 D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, nonché degli artt. 112 e 434 c.p.c. (art. 360, n. 3 c.p.c.), censura la sentenza impugnata per avere applicato la normativa in tema di revisione per miglioramento ad un caso di revisione per errore. L'istituto replica che la questione della rettifica non risulta affrontata nella sentenza impugnata, mentre il ricorrente non deduce di averla sottoposta al giudice del merito. Di qui l'inammissibilità della questione per la sua novità.
La Corte rileva che proprio nel non avere affrontato la questione della rettifica sta l'errore di diritto della sentenza impugnata. Quanto alla eccepita novità, il ricorrente deduce nel ricorso per Cassazione che, a fronte dell'appello dell'Inail, aveva evidenziato, preliminarmente, nella comparsa di costituzione, che l'art. 55 n. 5, della legge n. 88 del 9 marzo 1989, secondo cui le prestazioni a
qualunque titolo erogate dall'Inail possono essere in qualunque momento rettificate dallo stesso istituto in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione delle prestazioni, non ha efficacia retroattiva. La questione della rettifica, introdotta dall'assicurato in primo grado e posta a base della decisione pretorile, risulta ritualmente riproposta in grado di appello, a norma dell'art. 329 c.p.c.. Ciò posto, la questione è fondata.
I due istituti della revisione per miglioramento (o per aggravamento) e della revisione per errore sono distinti (Cass. 13 gennaio 2001, n. 435, Cass. 19 settembre 1992 n. 19771, Cass. 26 maggio 1989 n. 2524, Cass. 13 febbraio 1987 n. 1606), ed hanno presupposti di fatto diversi.
Il primo si fonda sulla variazione, in meglio o in peggio, delle condizioni sanitarie dell'assicurato, e risponde alla necessità che la rendita sia aderente, entro certi limiti temporali, alla condizione di bisogno dell'assicurato, variabile nel tempo;
il secondo su un errore iniziale di valutazione, e sulla esigenza che il beneficio corrisponda ai presupposti di legge.
Il primo è soggetto alla disciplina dell'art. 83 D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (per gli infortuni sul lavoro), dell'art. 137 (per le
malattie professionali), 146, 5 comma (per la silicosi e asbestosi), nonché dell'art. 13, comma 4, D. Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38 per le malattie neoplastiche, infettive e parassitarie;
il secondo a varie discipline succedutesi nel tempo;
attualmente all'art. 9 D. Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38.
Al tempo dei fatti di causa (il ricorso introduttivo del giudizio è del 1995) la disciplina della revisione per errore era dettata dall'art. 55, 5 comma, L. 9 marzo 1989, n. 88, il quale disponeva che "Le prestazioni a qualunque titolo erogate dall'INAIL possono essere in qualunque momento rettificate dallo stesso Istituto, in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione delle prestazioni...". La estrema latitudine di siffatta previsione normativa aveva giustificato il consolidarsi di una giurisprudenza di legittimità secondo la quale, nascendo il diritto alla prestazione previdenziale dalla legge, senza cioè la mediazione di un provvedimento amministrativo, gli atti dell'istituto assicuratore hanno natura meramente ricognitiva e di adempimento di un'obbligazione ex lege, sicché il diritto a rendita va accertato facendo esclusivo riferimento alle norme in punto di valutazione della inabilità, a prescindere dalle illegittimità concernenti i procedimenti amministrativi posti in essere, gli atti che lo compongono e la loro motivazione (Cass. 5 luglio 2000 n. 10842). Tale giurisprudenza, la quale consentiva di superare, sub specie di rettifica, anche i limiti temporali posti dalla disciplina sulla revisione per miglioramento, ed il conseguente impiego ampio di tale strumento correttivo delle rendite già costituite da parte dell'istituto assicuratore, legittimo sulla base della stessa giurisprudenza, hanno indotto il legislatore ad intervenire con l'art. 9 D. Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, ponendo due limiti precisi, uno temporale, mutuato dall'art. 83, unitario per infortuni sul lavoro e malattie professionali, l'altro relativo alle metodiche diagnostiche.
La nuova disciplina lascia quindi immutato, rispetto a quella precedente dell'art. 55, 5 comma, Legge 9 marzo 1989, n. 88, l'oggetto della rettifica ("errore di qualsiasi natura, commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione delle prestazioni"), ed il limite del dolo e della colpa grave dell'assicurato, che rendono l'errore rettificabile in ogni caso e senza limiti temporali.
Introduce però, al di fuori del dolo e della colpa grave, un limite temporale di dieci anni al potere di rettifica, soggetto a decadenza, che decorre dalla data di comunicazione dell'originario provvedimento errato (art. 9, comma 1, ultima parte D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38). Fondamento di questo limite è un'esigenza immanente
all'ordinamento, analoga a quella che è a fondamento dell'art. 83, di cui ripete l'arco temporale: la tutela del titolare di rendita protratta nel tempo. E, con il decorso di un decennio, questa necessità diventa prevalente anche sull'esigenza di rimuovere un diritto erroneamente riconosciuto.
Il secondo limite è interno alla struttura dell'accertamento dell'errore. "In caso di mutamento della diagnosi medica e della valutazione da parte dell'istituto assicuratore successivamente al riconoscimento del diritto", l'errore è rettificabile "solo se accertato con i criteri, metodi e strumenti di indagine disponibili all'atto del provvedimento originario" (art. 9, secondo comma). Il quinto comma stabilisce che i soggetti nei cui confronti si è proceduto a rettifica delle prestazioni sulla base della normativa precedente possono chiedere all'istituto il riesame del provvedimento, riesame, evidentemente, da operare in base alla nuova normativa.
Tale domanda, come stabilisce il settimo comma, ove sia accolta, conduce alla riattribuzione della prestazione ex tunc, cioè dalla data del suo annullamento (rectius soppressione) o riduzione, purché non sia decorso il termine prescrizionale (o non si sia verificata una decadenza);
nel caso, poi, che per il compimento del termine prescrizionale (o di decadenza) manchino, alla data di entrata in vigore del decreto legislativo, meno di centottanta giorni, opererà in ogni caso il detto termine di centottanta giorni.
In tale previsione rientra il procedimento giurisdizionale in corso, considerato che la domanda giudiziale deve ritenersi sostitutiva ad ogni effetto di quella amministrativa (Cass. 10842/2000 cit., per riferimenti Cass. 1 aprile 1993, n. 392, in tema di giudizio in corso al tempo dell'entrata in vigore della nuova disciplina dell'invalidità pensionabile di cui alla legge n. 222 del 1984). Il sesto comma si occupa dei rapporti esauriti, per il decorso del termine di prescrizione (ma anche di decadenza) previsto per rivendicare i diritti non soddisfatti dall'istituto assicuratore oppure per la preclusione derivante dal giudicato, ammettendo l'interessato a domandare il riesame della determinazione dell'istituto entro il termine di decadenza di centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, solo che in questo caso la riattribuzione della prestazione avrà effetto dal primo giorno del mese successivo alla domanda e non darà diritto ad arretrati.
Da tali norme la giurisprudenza ha dedotto che il descritto ius superveniens ha portata ricognitiva ed efficacia retroattiva, e deve essere applicato nei procedimenti in corso (Cass. 19 giugno 2000 n. 8308, Cass. 14959/2000 cit., Cass. 26 agosto 2002 n. 12525, Cass. 29 settembre 2000 n. 12915;
Cass. 10 gennaio 2003 n. 254, Cass. 20 gennaio 2003 n. 776, Cass. 4 marzo 2003 n. 3209, Cass. 19 aprile 2003 n. 6386 cit., Cass. 12 dicembre 2003 n. 19012), ed anche ai rapporti esauriti per prescrizione o giudicato (Cass. 8308/2000 cit.). La individuazione del procedimento va fatta sulla base dei suoi presupposti e non del nomen attribuito dal soggetto che prende l'iniziativa, rispettivamente l'Istituto nel disporla o l'assicurato nel richiederla (sul diritto dell'assicurato di richiedere la rettifica Cass. 6386/2003 cit.);
la sua corretta valutazione spetta al giudice, il quale non è vincolato dalla qualificazione delle parti e dal tipo di procedimento aperto (Cass. 10842/2000 cit.;
Cass. 6386/2003 cit.). L'istituto assicuratore non può, sub specie di revisione per miglioramento, correggere un provvedimento affetto da errore di valutazione iniziale, al di fuori delle regole stabilite dall'art. 9 D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38. Sul piano processuale, essendo i due
istituti fondati su presupposti fattuali diversi, non è ammissibile una conversione della revisione per miglioramento in revisione per errore ove i diversi relativi presupposti di fatto non risultino ritualmente acquisiti al processo. Nel caso di specie la revisione è stata effettuata nel termine decennale prescritto dall'art. 9 D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, ma ad essa osta la circostanza che la
revisione attiene ad un accertamento coperto dal giudicato. Siffatto accertamento può essere modificato solo per variazioni dello stato inabilitante, nella specie esclusi dall'accertamento peritale non contestato (Cass. Sez. un. 7 luglio 1999 n. 383, secondo cui l'accertamento contenuto nella sentenza, passata in giudicato, con la quale sia accolta la domanda di prestazione previdenziale collegata ad uno stato invalidante (nella specie pensione di invalidità, ma la ratio è identica per la rendita Inail) non può formare oggetto di una valutazione diversa ove permangano immutati gli elementi di fatto e di diritto preesistenti e quindi, quando viene in questione la legittimità della revoca della prestazione disposta dall'istituto assicuratore, va eseguito il necessario raffronto tra la situazione esistente all'epoca del precedente accertamento giudiziale e quella ricorrente al momento dell'emanazione dell'atto di soppressione per verificare se effettivamente vi è stata un'evoluzione in senso migliorativo dello stato di salute del pensionato o comunque un recupero della capacità di guadagno del medesimo, derivante da un proficuo e non usurante riadattamento lavorativo in attività confacenti con le sue personali attitudini (conformi 149/ 1982, 6440/1990, 3 febbraio 1996 n. 928, pure in tema di revocabilità di pensione d'invalidità). Il ricorso va pertanto accolto. Sussistono i presupposti di legge previsti dall'art. 384 c.p.c., come modificato dall'art. 66 Legge 26 novembre 1990, n. 353 (accoglimento del ricorso per violazione di legge e non necessità di ulteriori accertamenti di fatto), perché questa Corte decida la controversia nel merito, rigettando l'appello dell'Inail avverso la sentenza pretorile, in quanto non è ammissibile revisione per errore di una inabilità accertata dal giudicato.

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