Cass. civ., sez. I, sentenza 15/05/2019, n. 12994
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Testo completo
ne un passaggio motivazionale in favore dell'applicabilità alla società in bonis un'ordinanza, resa all'esito di regolamento di competenza sulla declaratoria di inefficacia ex art. 2467, comma 1, seconda parte, c.c., attribuita al tribunale fallimentare (Cass. 24 ottobre 2017, n. 25163). In tutti i casi, però, si tratta di obiter dicta, quali passaggi intermedi della motivazione;
occorre quindi individuare il principio di diritto, quale specifico oggetto dell'odierno thema decidendum. 3.3. - Sia la lettera, sia la ratio della disposizione, ai sensi dell'art. 12 delle preleggi, conducono alla prima delle ricordate opzioni interpretative. L'art. 2467, comma 1, c.c. parla di rimborso «postergato» rispetto agli «altri creditori», espressione utilizzata per indicare il meccanismo della posposizione del diritto a quelli altrui, non per alludere al momento dell'effettivo concorso procedimentalizzato delle pretese creditorie;
come conferma anche la sedes materiae, che è rimasta quella codicistica, pur dopo la rielaborazione del diritto della crisi d'impresa in forza del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza. Sotto il profilo del fondamento della disposizione, la Relazione alla riforma del diritto societario del 2003 parla di "capitale di credito" formale, contrapposto alla sostanza economica di "capitale proprio". Gli interpreti concordano nell'affermare che si sia così inteso reagire alla possibile traslazione del rischio d'impresa dalla società al mercato: il finanziamento è "anomalo" o "sostitutivo del capitale", in quanto un creditore sul mercato del credito non lo avrebbe concesso, o non a quelle condizioni, a causa della situazione finanziaria della società.I La ratio legis dell'art. 2467 c.c. consiste dunque nell'intento di contrastare la non infrequente sottocapitalizzazione delle società, quale tecnica di traslazione sui creditori e sui terzi del rischio da continuazione dell'attività in regime di crisi, con eventuale profitto dei soci ed aggravamento del dissesto a scapito dei creditori: fenomeno determinato dalla convenienza dei soci a ridurre l'esposizione al rischio d'impresa, apportando nuove risorse a disposizione dell'ente collettivo nella forma del finanziamento, anziché in quella appropriata del conferimento (cfr. Cass. 20 maggio 2016, n. 10509;
Cass. 7 luglio 2015, n. 14056). La disciplina è dettata per le società a responsabilità limitata dall'art. 2467 c.c. e per le società eterodirette dall'art. 2497- quinquies c.c., di rinvio al primo: laddove l'impresa è "tipologicamente" caratterizzata dalla presenza di soci titolari di poteri sulla gestione e di adeguate informazioni, evocandosi il legame tra potere e rischio. Non dissimile tale ratio da quella dell'abrogato art. 2490-bis c.c., il quale escludeva peraltro solo l'efficacia delle cause di prelazione per i crediti del socio unico verso la società, laddove il legislatore della riforma societaria ha inteso dettare una norma di maggior rigore e più vasto ambito applicativo. 3.4. - Il credito del socio, in presenza di un finanziamento concesso nelle condizioni di eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto o laddove sarebbe stato ragionevole un conferimento, subisce una postergazione legale, la quale non opera una riqualificazione del prestito da finanziamento a conferimento con esclusione del diritto al rimborso, ma incide sull'ordine di soddisfazione dei crediti.Il legislatore, tra le tecniche disponibili al riguardo, ha escluso invero la riqualificazione del prestito ed optato per la postergazione: non muta ex lege la causa della dazione, che resta quella del mutuo (art. 1813 c.c.) e non diventa causa di conferimento (art. 2343 c.c.). I finanziamenti de quo, pertanto, costituiscono prestiti e non apporti di capitale, alla cui disciplina - rimborsabilità solo all'esito della liquidazione e, quindi, dopo la restituzione anche dei prestiti anomali - non sono soggetti. Nondimeno, l'effetto della postergazione è automatico, non dipendendo da una conoscenza effettiva dello stato della società o dall'intenzione delle parti, ed impone al giudice, richiesto del rimborso, di accertare, sulla base delle risultanze processuali in atti, se la situazione sociale ricada in una delle fattispecie ex art. 2467, comma 2, c.c. Ne deriva che l'integrazione
occorre quindi individuare il principio di diritto, quale specifico oggetto dell'odierno thema decidendum. 3.3. - Sia la lettera, sia la ratio della disposizione, ai sensi dell'art. 12 delle preleggi, conducono alla prima delle ricordate opzioni interpretative. L'art. 2467, comma 1, c.c. parla di rimborso «postergato» rispetto agli «altri creditori», espressione utilizzata per indicare il meccanismo della posposizione del diritto a quelli altrui, non per alludere al momento dell'effettivo concorso procedimentalizzato delle pretese creditorie;
come conferma anche la sedes materiae, che è rimasta quella codicistica, pur dopo la rielaborazione del diritto della crisi d'impresa in forza del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza. Sotto il profilo del fondamento della disposizione, la Relazione alla riforma del diritto societario del 2003 parla di "capitale di credito" formale, contrapposto alla sostanza economica di "capitale proprio". Gli interpreti concordano nell'affermare che si sia così inteso reagire alla possibile traslazione del rischio d'impresa dalla società al mercato: il finanziamento è "anomalo" o "sostitutivo del capitale", in quanto un creditore sul mercato del credito non lo avrebbe concesso, o non a quelle condizioni, a causa della situazione finanziaria della società.I La ratio legis dell'art. 2467 c.c. consiste dunque nell'intento di contrastare la non infrequente sottocapitalizzazione delle società, quale tecnica di traslazione sui creditori e sui terzi del rischio da continuazione dell'attività in regime di crisi, con eventuale profitto dei soci ed aggravamento del dissesto a scapito dei creditori: fenomeno determinato dalla convenienza dei soci a ridurre l'esposizione al rischio d'impresa, apportando nuove risorse a disposizione dell'ente collettivo nella forma del finanziamento, anziché in quella appropriata del conferimento (cfr. Cass. 20 maggio 2016, n. 10509;
Cass. 7 luglio 2015, n. 14056). La disciplina è dettata per le società a responsabilità limitata dall'art. 2467 c.c. e per le società eterodirette dall'art. 2497- quinquies c.c., di rinvio al primo: laddove l'impresa è "tipologicamente" caratterizzata dalla presenza di soci titolari di poteri sulla gestione e di adeguate informazioni, evocandosi il legame tra potere e rischio. Non dissimile tale ratio da quella dell'abrogato art. 2490-bis c.c., il quale escludeva peraltro solo l'efficacia delle cause di prelazione per i crediti del socio unico verso la società, laddove il legislatore della riforma societaria ha inteso dettare una norma di maggior rigore e più vasto ambito applicativo. 3.4. - Il credito del socio, in presenza di un finanziamento concesso nelle condizioni di eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto o laddove sarebbe stato ragionevole un conferimento, subisce una postergazione legale, la quale non opera una riqualificazione del prestito da finanziamento a conferimento con esclusione del diritto al rimborso, ma incide sull'ordine di soddisfazione dei crediti.Il legislatore, tra le tecniche disponibili al riguardo, ha escluso invero la riqualificazione del prestito ed optato per la postergazione: non muta ex lege la causa della dazione, che resta quella del mutuo (art. 1813 c.c.) e non diventa causa di conferimento (art. 2343 c.c.). I finanziamenti de quo, pertanto, costituiscono prestiti e non apporti di capitale, alla cui disciplina - rimborsabilità solo all'esito della liquidazione e, quindi, dopo la restituzione anche dei prestiti anomali - non sono soggetti. Nondimeno, l'effetto della postergazione è automatico, non dipendendo da una conoscenza effettiva dello stato della società o dall'intenzione delle parti, ed impone al giudice, richiesto del rimborso, di accertare, sulla base delle risultanze processuali in atti, se la situazione sociale ricada in una delle fattispecie ex art. 2467, comma 2, c.c. Ne deriva che l'integrazione
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