Cass. pen., sez. III, sentenza 30/12/2021, n. 47299

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. III, sentenza 30/12/2021, n. 47299
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 47299
Data del deposito : 30 dicembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da FALLIMENTO BELLELLI ENGINEERING S.R.L., in persona dei suoi curatori P L, nato a Castellanza il 7.6.1964 C D, nata a Rovigo i 13.5.1981 avverso la ordinanza in data 28.6.2021 del Tribunale di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere D G;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. C A, che ha concluso per la remissione alle Sezioni Unite, in subordine per l'annullamento con rinvio;
udito il difensore, avv. M P, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso, in subordine associandosi alla richiesta del Procuratore Generale di rinnessione della questione alle Sezioni Unite RITENUTO IN FATTO1.Con ordinanza in data 28.6.2021 il Tribunale di Napoli ha rigettato la richiesta di riesame proposta dai curatori del Fallimento della s.r.l. Bellelli Engineering in relazione al sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta, eseguito sulle somme della curatela fallimentare, in relazione ai reati di cui all'art. 10-quater d. Igs. 74/2000 provvisoriamente contestati al legale rappresentante della suddetta società per indebita compensazione di debiti tributari, assistenziali e previdenziali di importo pari ad C 357.260 con crediti IVA inesistenti ifiguranti nelle dichiarazioni di imposta sul valore aggiunto degli anni 2015 e 2016. A fondamento della decisione i giudici del riesame hanno ritenuto che, pur essendo la sentenza dichiarativa del fallimento della società antecedente, in quanto risalente al 9.2.2018, al sequestro disposto dal Gip in data 30.4.2021, quest'ultimo prevalga - secondo quanto già affermato dalle pronunce a Sezioni Unite Uniland e precedentemente Focarelli, nonché dagli arresti della Terza Sezione n. 23907 dell'1.3.2016 e n. 28077 de 9.2.2017 e, da ultimo, dalla sentenza n.15776 dell'8.1.2020 - sul vincolo discendente dalla procedura concorsuale, e dunque sui crediti vantati nei confronti dell'impresa che versi in stato di insolvenza, in ragione del differente ambito operativo della misura cautelare reale e quella concorsuale, escludendo che ricorresse il limite disposto dall'art. 12 bis d. Igs. 74/2000 relativo all'appartenenza dei beni a terzi estranei all'illecito iatteso che la curatela assolve solo a compiti gestionali del patrimonio del soggetto fallito, la cui titolarità resta in capo a quest'ultimo. Nel considerare ( altresì, che il sequestro aveva trovato esecuzione soltanto parziale per il fatto che i conti correnti attinti presentavano saldi attivi di gran lunga inferiori al profitto accertato e che comunque l'Erario non aveva ancora recuperato alcuna delle somme in contestazione, il Tribunale partenopeo ha escluso, in termini conclusivi, che il soddisfacimento delle preminenti ragioni di tutela penale in difformità dall'ordine dei privilegi avesse arrecato alcun nocumento alle concorrenti ragioni creditorie dei terzi. A completamento del ragionamento seguito, ha aggiunto che conferma delle conclusioni raggiunte si trae sia dal Codice delle leggi antimafia di cui d. Igs. 159/20111posto che gli artt. 63 e 64, così come modificati dalla L. 17.10.2017 n. 161, sanciscono definitivamente la prevalenza del sequestro di prevenzione sulle procedure concorsuali, sia dall'art. 317 del Codice di crisi di impresa,che estende a tutti i sequestri finalizzati alla confisca le disposizioni del codice antimafia.

2. Avverso il suddetto provvedimento i curatori del fallimento hanno proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione formulando un unico pluriarticolato motivo con il quale lamentano, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli artt. 12-bis d. Igs. 74/2000, 42, 45, 52 e 111 R.D. 267/1942 e 321 cod. proc. pen. e al vizio di omessa motivazione, l'eseguibilità del sequestro diretto sulle somme nella disponibilità della curatela iessendo venuta meno per effetto della dichiarazione di fallimento, intervenuta ben tre anni prima del disposto sequestro, la disponibilità da parte della società del proprio patrimonio, i cui poteri di gestione erano stati automaticamente conferiti alla curatela medesima. Contestano che nel caso di specie potessero trovare applicazione, così come sostenuto dal Tribunale partenopeo, i principi affermati dalla sentenza a Sezioni Unite Uniland, che non solo riguardava un caso di sequestro disposto ai sensi della L. 231/2001, ma che comunque era stata pronunciata in una fattispecie in cui la procedura concorsuale era intervenuta successivamente alla misura cautelare penale, così come quelli della sentenza della"rerza Sezione Penale n. 15776 dell'8.1.2020, ivi citata. Precisano/al riguardali ricorrenti che tale arresto, oltre a porsi in contrasto con altre pronunce della stessa Terza Sezione, afferma in ogni caso la necessità di non arrecare pregiudizio alle concorrenti pretese creditorie soprattutto quando l'attivo fallimentare sia costituito da somme di / danaro e di appurare se l'Erario abbia già proceduto al recupero delle somme inevase anche tramite insinuazione al passivo, evenienza questa che nella specie si era ampiamente verificata, senza che il Tribunale ne avesse tenuto alcun conto, per essere stato l'Erario ammesso tra i creditori privilegiati in 18° e 19° grado, sebbene la soddisfazione del credito non possa che trovare attuazione al momento del riparto dell'attivo e, dunque, all'esito della procedura concorsuale nel rispetto dei creditori privilegiati di grado anteriore. Aggiungono, altresì / che un ulteriore deficit motivazionale sia ravvisabile in ordine alla circostanza, anch'essa fatta valere con la richiesta di riesame, che il legale rappresentante della società in bonis, nei confronti del quale si ravvisava il fumus del reato ex art 10 quater d. Igs. 74/2000 per l'anno di imposta 2016, era stato assolto con sentenza pronunciata dal Tribunale di Rovigo in data 25.6.2021 dai reati ex artt. 10 ter e 10 bis del medesimo decreto legislativo riferiti allo stesso anno di imposta in ragione del fatto che la presentazione della domanda di concordato preventivo, presentata in data 15.9.2017 e, dunque, prima dell'intervenuto fallimento, gli aveva comunque precluso di effettuare pagamenti se non previa autorizzazione del Giudice Delegato, onde costui non avrebbe, del pari, potuto procedere al pagamento intimatogli dall'Agenzia delle Entrate con avviso del 28.11.2017 della somma portata in compensazione non ammessa dall'ufficio. A coronamento delle suddette doglianze evidenzianolin ogni casoicome le somme attinte dal sequestro, ovverosia quelle in giacenza sul conto corrente intestato alla Curatela e su un libretto di deposito presso la Banca Adria Colli Euganei, non potessero in alcun modo riconducibili alla società fallita trattandosi nel caso del conto corrente, ad eccezione del modestissimo importo di C 352 proveniente dalla cassa di quest'ultima, degli incassi conseguiti all'esito della vendita dei beni strumentali e dell'attività di recupero crediti svolta dai curatori e, quanto alla somma depositata sul libretto di risparmio, di un importo originariamente oggetto di un pegno irregolare alla Banca a fronte di fidejussione, rimasto, una volta scaduta la garanzia, nella titolarità del fallimento. Sotto altro profilo contestano la sussistenza dei presupposti per l'applicabilità della confisca in relazione sia al profitto, individuato dal Tribunale nel risparmio di spesa collimante con l'omesso versamento delle imposte aggirato per il tramite della fraudolenta compensazione, escludendo che vi fosse stato nella fattispecie alcun arricchimento della società, posto che, preesistendo la situazione debitoria alle indebite compensazioni ex art. 10 quater d. Igs. 74/2000, le imposte non sarebbero state comunque versate, fatto questo comprovato dall'insinuazione al passivo dell'Agenzia delle Entrate per un credito di oltre un milione e mezzo di euro, sia alla condizione di terzietà rispetto al patrimonio dell'indagato della Curatela, trattandosi di soggetto che non solo non aveva partecipato al reato, ma neppure aveva da esso tratto alcuna utilità.
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