Cass. pen., sez. II, sentenza 12/07/2022, n. 26867
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: STASI GIUSEPPE nato il 19/07/1964 avverso la sentenza del 30/04/2021 della CORTE APPELLO di SALERNOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere SANDRA RECCHIONE;Il procedimento si celebra con contraddittorio scritto ai sensi dell'art. 23 comma 8 del D.L. n. 137 del 2020 il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore L C ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso L'avv. G V in difesa della parte civile depositava conclusioni e nota spese. RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO 1.La Corte di appello di Salerno confermava la condanna dello Stasi per il reato di truffa. Si contestava allo stesso di avere fraudolentemente ottenuto, in qualità il socio accomandante della "Real cafè Di Stasi Giuseppe & C", un finanziamento da Invitalia di oltre 126.000 euro, funzionale a facilitare l'impiego di persone disoccupate. Lo Stasi nel 2013 aveva effettuato il recesso dalla società subito dopo l'erogazione dell'ultima rata ed aveva omesso di fornire all'ente finanziatore le informazioni richieste dal contratto tra le quali figurava quella relativa alla modifica della compagine societaria. 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva tre motivi di ricorso;segnatamente: 2.1. Con il primo motivo di ricorso si deduceva violazione di legge (art. 640 cod. pen.) e vizio di motivazione sia in ordine al riconoscimento della sussistenza del profitto, che della condotta fraudolenta. Si deduceva (a) che lo Stasi era stato amministratore della società fino al 27 dicembre 2013 laddove la contestazione indicava come data di consumazione del reato il 2014;(b) che al momento del recesso la società sarebbe stata solida, in regola con i pagamenti e con un cospicuo credito iva, dunque era in possesso di tutti i beni finanziati da Invitalia;(c) si aggiungeva che lo Stasi aveva sottoscritto il contratto di finanziamento quale amministratore, sicché non avrebbe mai potuto esimersi dal rispondere civilmente in relazione ad eventuali inadempimenti;(d) si deduceva che il ricorrente fino al momento del recesso aveva svolto regolarmente la sua attività e che mancherebbe la prova degli gli artifici e raggiri a lui contestati, in quanto lo stesso non avrebbe potuto in seguito al recesso agire per conto della società, mentre sarebbe stata la socia superstite, D L Rosanna, ad avere la piena responsabilità della società (questa avrebbe potuto continuare l'attività della società oppure nominare un liquidatore). Si allegava che il 17 gennaio 2014 il ricorrente aveva inviato le dovute comunicazioni in ordine al recesso alla Camera di Commercio ed aveva diffidato l'altra socia affinché provvedesse al compimento degli adempimenti societari;chiedeva altresì alla Camera di Commercio l'iscrizione d'ufficio del suo recesso. Si allegava ancora che il ricorrente il 15 febbraio 2014 presentava un esposto ai carabinieri in ordine ad un furto avvenuto presso i locali della "Real cafè" e che, in seguito ad ulteriore esposto, veniva attivato un procedimento penale, poi archiviato.In sintesi: si deduceva che la condotta emersa attraverso le allegazioni difensive sarebbe incompatibile con il riconoscimento per la responsabilità per il reato di truffa in quanto il ricorrente aveva tenuto una condotta trasparente ed aveva continuamente chiesto aiuto alle autorità competenti;inoltre si ribadiva che lo stesso era impossibilitato ad ottenere alcun profitto in quanto firmatario del contratto di finanziamento ed esposto personalmente con Invitalia. Si deduceva, da ultimo, che vi era stato una errored' interpretazione dell'articolo 2323 cod. civ in quanto il recesso di un socio accomandante non determinerebbe - come ritenuto dalla Corte di appello - lo "stallo" della società, ma individuerebbe in capo ai soci residui l'obbligo di nominare un amministratore provvisorio per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione: era dunque la socia non recedente che avrebbe dovuto compiere le attività necessarie per continuare l'attività sociale o, eventualmente, per avviarne la liquidazione.
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