Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 21/06/2004, n. 11505
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Non costituisce eccezione in senso stretto, bensì mera difesa, volta a contestare l'esistenza e la portata di un fatto costitutivo - che pertanto non incorre nelle preclusioni poste dall'art. 347 cod. proc. civ. - la deduzione del datore di lavoro della inapplicabilità, nei suoi confronti, della contrattazione collettiva invocata dal lavoratore, mentre è onere della parte che agisce ponendo a fondamento della domanda l'anzidetta contrattazione, fornire la dimostrazione della sua applicabilità al caso concreto secondo le regole generali in tema di onere probatorio (art. 2697 cod. civ).
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DELL'ANNO Paolino - Presidente -
Dott. M E - rel. Consigliere -
Dott. C A - Consigliere -
Dott. R F - Consigliere -
Dott. D'AGOSTINO Giancarlo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
SPADINI PATRIZIA, PALMA LUIGI, ORLANDI FRANCESCA ROMANA, FRALLEONI ANTONIO, LOTINI GABTANO CARMELO, CIRILLO MICHELE, DELL'AQUILA UMBERTO, PALAZZONE SARA, PIACENTINI MIRELLA, elettivamente domiciliati in ROMA VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell'avvocato FILIPPO AIELLO, che li difende, giusta delega in atti;
- ricorrenti -
contro
SERIT S.P.A.;
- intimato -
e sul 2^ ricorso n. 01/02/2701 proposto da:
SERIT S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA FILIPPO MARCHETTI 35, presso lo Studio dell'avvocato AUGUSTO CATI, che lo difende, giusta delega in atti;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
e contro
LOTINI GAETANO CARMELO, CIRILLO MICHELE, DELL'AQUILA UMBERTO, PALAZZONE SARA, PIACENTINI MIRELLA, SPADINI PATRIZIA, PALMA LUIGI, ORLANDI FRANCESCA ROMANA, FRALLEONI ANTONIO, elettivamente domiciliati in ROMA VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell'avvocato FILIPPO AIELLO, che li difende, giusta delega in atti;
- controricorrenti al ricorso incidentale -
avverso la sentenza n. 24748/01 del Tribunale di ROMA, depositata il 25/06/01 R.G.N. 2549/97;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 22/01/04 dal Consigliere Dott. Ettore MERCURIO;
Udito l'Avvocato AIELLO;
udito l'Avvocato CATI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRAZZINI Orazio che ha concluso per previa riunione, rigetto ricorso principale, accoglimento del ricorso incidentale. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Pretore di Roma depositato il 28 giugno 1995, la SERIT s.p.a. proponeva opposizione al decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti dal medesimo Pretore per il pagamento, in favore degli attuali ricorrenti già dipendenti della stessa, di somme varie oltre accessori a titolo di "una tantum" prevista dall'art. 1 dell'accordo sindacale 21 dicembre 1994, di acconto sui futuri miglioramenti economici derivanti dal rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro previsto dall'art. 2 dello stesso accordo sindacale, e di premio produttività da erogarsi nel 1994 per l'anno 1993 previsto dall'art. 54 del contratto collettivo nazionale di lavoro del 1991 e dell'accordo integrativo aziendale 14 aprile 1992. Il Pretore adito, con sentenza del 2 febbraio 1996, accogliendo parzialmente l'opposizione, revocava il decreto ingiuntivo e condannava la società SERIT a pagare ai ricorrenti le somme dovute ai sensi dell'art. 1 del citato accordo sindacale del dicembre 1994 nonché parte di quelle dovute ai sensi dell'art. 2 dello stesso, e respingeva la domanda avente ad oggetto il premio di produttività. Il Tribunale di Roma, accogliendo l'appello principale della società, con sentenza del 25 giugno 2001, in riforma dell'impugnata sentenza, ha rigettato l'originaria domanda ed ha altresì rigettato l'appello incidentale proposto dal lavoratori.
Ha accertato che questi ultimi avevano lavorato alle dipendenze della SERIT dal gennaio 1990 al 30 giugno 1994 e che detta società era stata affidataria del servizio di riscossione dei tributi, nell'ambito "B" della provincia di Napoli, dal gennaio 1990 sino al maggio 1993. Sulla base di tale accertamento ha ritenuto priva di fondamento la pretesa dei lavoratori di ottenere il trattamento economico della contrattazione collettiva negoziata dalla Ascotributi, associazione nazionale fra i concessionari del servizio riscossione tributi, in epoca successiva alla cessazione del servizio di riscossione espletato dalla SERIT. Ha inoltre affermato che la deduzione di questa società circa il difetto di rappresentatività nei suoi confronti da parte della suddetta Associazione stipulante, a seguito del venir meno della concessione, era stata svolta in sede di opposizione al decreto e non comportava violazione del divieto di "jus novorum" in appello. Ha pure escluso che la vincolatività per la SERIT degli accordi stipulati dalla Ascotributi, dopo il venir meno della rappresentanza di quest'ultima, potesse farsi discendere da una pretesa adesione agli accordi stessi evincibile dal mantenimento del trattamento economico e retributivo previsto per i dipendenti delle aziende concessionarie;ed ha osservato che soltanto il contratto collettivo indicato nelle lettere di assunzione costituiva la disciplina pattizia di riferimento non contenendo del resto le medesime lettere un rinvio generico alla contrattazione del settore.
Il giudice d'appello, poi, nel confermare il rigetto della domanda concernente il premio di produttività, ha ritenuto, con riguardo all'art. 54 del contratto collettivo nazionale del 12 luglio 1991 ed all'accordo integrativo aziendale del 14 aprile 1992, che tali norme collettive nulla prevedevano in ordine all'anno 1993, riferendosi solo agli anni precedenti;ed ha anche osservato che la relativa domanda dei lavoratori neppure poteva fondarsi sulla lettera del 12 maggio 1994 inviata dalla associazione Ascotributi alle
organizzazioni sindacali dei lavoratori sia perché tale lettera non avrebbe potuto sortire alcun effetto impegnativo nei confronti della società SERIT in quanto emessa dopo la cessazione del servizio di riscossione da parte della stessa, e quindi dopo la cessazione del rapporto associativo, sia perché in essa non era palesato alcun intento negoziale.
I lavoratori soccombenti chiedono la cassazione di tale sentenza con ricorso a questa Corte affidato a tre motivi di censura. La società SERIT resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, cui le controparti resistono con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi (principale e incidentale) siccome proposti avverso la medesima sentenza. 2.- Con il primo motivo del ricorso principale, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 434, 437 c.p.c. e 2697 c.c., nonché vizio di motivazione, i ricorrenti censurano
l'impugnata sentenza per non avere qualificato come eccezione nuova, inammissibile in appello, la deduzione della SERIT circa la inapplicabilità nei suoi confronti della contrattazione collettiva invocata per la cessazione della sua qualità di socio della Ascotributi, e per avere ritenuto che tale circostanza era allegata nel ricorso in opposizione a decreto. Assume che l'unica circostanza affermata in primo grado era invece quella della cessazione della titolarità della concessione da parte della SERIT, da cui quest'ultima società aveva inferito illogicamente la carenza di rappresentatività da parte della associazione di categoria in quanto i due eventi non erano identici ed implicavano differenti conseguenze;e rileva che comunque la mera allegazione della qualifica di socio non esauriva l'onere probatorio posto che la decadenza da tale qualità avrebbe dovuto essere provata dalla resistente, non essendo sufficiente il richiamo, contenuto in sentenza, all'art. 3 dello statuto della Ascotributi. Il motivo non ha fondamento.
Anzitutto va rilevato che esattamente e non incorrendo in alcun vizio di motivazione, il Tribunale ha affermato che nello stesso atto di opposizione al decreto ingiuntivo la società SERIT aveva dedotto il difetto di rappresentatività nei suoi confronti da parte della Ascotributi, giacché in effetti - come è dato riscontrare dall'esame degli atti consentito al giudice di legittimità per la dedotta violazione di norme procedurali - nel detto atto introduttivo del giudizio d'opposizione e già quindi in primo grado, era chiaramente svolta (pag. 7) la deduzione dell'essere venuta meno la capacità rappresentativa della Associazione dei Concessionari del Servizio di Riscossione Tributi con la conseguenza che essa società non era più vincolata da accordi stipulati da questa e riguardanti soltanto i concessionari.
È comunque decisiva ed assorbente d'ogni altra la considerazione che la deduzione del datore di lavoro della inapplicabilità nei suoi confronti della contrattazione collettiva invocata dal lavoratore ricorrente involge una mera difesa, volta a contestare l'esistenza e la portata di un fatto costitutivo del diritto azionato in giudizio, che non è dunque soggetta alle preclusioni poste dall'art. 437 c.p.c. per le eccezioni in senso stretto (tra le molte Cass. 1
settembre 1995 n. 9231): mentre è onere della parte che agisce ponendo a fondamento della sua domanda l'anzidetta contrattazione, fornire la dimostrazione della sua applicabilità al caso concreto secondo le regole generali in tema di onere probatorio (ex art. 2697 c.c.). 3.- Con il secondo motivo del ricorso principale, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 2069 e 2070 cod. civ. e dell'art. 112 cod. proc. civ. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo, i ricorrenti deducono l'erroneità della decisione impugnata per avere escluso l'applicabilità della invocata contrattazione collettiva sostenendo la mancanza di una sua ricezione da parte della società SERIT, e ciò facendo erroneo riferimento al contenuto di alcune delle lettere di assunzione, e non considerando inoltre le contrapposte allegazioni delle parti e la documentazione da esse prodotta ne' la circostanza che esse avevano fatto riferimento al contratto collettivo del 12 luglio 1991, successivo a quello del 30 giugno 1987 pacificamente applicato ai rapporti di lavoro in esame. Dalle quali risultanze, ad avviso dei ricorrenti, doveva evincersi che era stata data applicazione nella specie al detto contratto del 1991 pure prodotto in giudizio, con ricezione almeno per implicito, della contrattazione collettiva del settore.
Anche questo motivo è infondato.
Va anzitutto evidenziato che la domanda dei ricorrenti, cui è riferito il motivo, era diretta ad ottenere emolumenti previsti esclusivamente dall'accordo sindacale del 21 dicembre 1994, stipulato dalla Ascotributi, in rappresentanza degli aderenti a tale Associazione costituita fra i concessionari dei servizi di riscossione tributi, ed intervenuto - come già cennato - quando la società SERIT aveva già dismesso, nel maggio 1993, la qualità di concessionaria, con ciò perdendo anche, per decadenza a norma dell'art. 3 dello Statuto della suddetta Associazione, la qualità di socio della stessa.
Ciò posto deve ritenersi che i rilievi e le deduzioni svolte nel motivo di ricorso non sono idonei ne' conferenti ad inficiare la correttezza della decisione impugnata che ha escluso essere stata offerta la dimostrazione, attraverso le lettere di assunzione e gli altri elementi acquisiti, di una volontaria ricezione, da parte della società datrice di lavoro, anche per il periodo successivo al venir meno della sua qualità di concessionaria e di socio della Ascotributi, di accordo stipulato da quest'ultima, quale appunto l'accordo posto a base della domanda.
Trattasi di accertamento di fatto che appare sufficientemente e logicamente motivato, là dove il Tribunale ha fatto riferimento valutativo al contenuto delle lettere di assunzione - che, stando anche alle deduzioni dei ricorrenti, nella loro prevalenza (se non tutte) richiamavano esclusivamente il contratto collettivo del 1987, e attribuito significativa rilevanza alla previsione statutaria del citato art. 3, comminatrice della immediata decadenza della capacità rappresentativa della Ascotributi nei confronti delle aziende non più concessionarie, avendo poi il medesimo Tribunale, nell'esercizio del potere discrezionale di valutazione delle prove riservato al giudice del merito (art. 116 c.p.c.), alla stregua delle risultanze acquisite, ritenuto non provata, come era onere dei ricorrenti dimostrare, la vincolatività, nei confronti della SERIT, del ricordato accordo 21 dicembre 1994 (intervenuto, per di più, anche dopo la cessazione dei singoli rapporti di lavoro).
Neppure può ritenersi rilevante ne' idonea ad evidenziare decisive carenze motivazionali nell'impugnata sentenza la considerazione dell'avvenuta applicazione del contratto collettivo nazionale del 1991, trattandosi pur sempre di circostanza antecedente la perdita della qualità di concessionaria da parte della SERIT ed anteriore alla stipula dell'accordo del dicembre 1994, accordo, costituente - si ripete - la fonte esclusiva della pretesa di che trattasi:
circostanza, dunque, che coerentemente non è stata presa in esame dal giudice d'appello e la cui deduzione è inadeguata a costituire denunzia di vizio riconducibile alle previsioni dell'art. 360 c.p.c.. Ciò tenuto conto che il giudice civile - come è costante insegnamento di questa Corte - in attuazione del principio di libera valutazione delle prove di cui all'art. 116 c.p.c., ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altre risultanze, mentre resta insindacabile il relativo apprezzamento in sede di legittimità purché - come è il caso di specie - risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati (cfr. Cass. Sez. Un. 14 dicembre 1999 n. 898). 4.- Con il terzo motivo, denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1367 cod. civ. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo, i ricorrenti principali censurano l'impugnata sentenza per avere ritenuto che l'accordo sindacale di cui alla lettera 12 maggio 1994 riguardante la determinazione del premio di produttività non conteneva alcun intento negoziale ed assumono che tale lettera della Ascotributi, diretta alle organizzazioni sindacabili dei lavoratori, aveva invece creato un vincolo obbligatorio perfetto ed esigibile. Deducono altresì che il diritto al premio di produttività si fondava comunque sull'art. 54 del contratto collettivo nazionale di lavoro, dal quale appunto discendeva l'obbligo di erogazione, indipendentemente dalle lettere del maggio 1994, e che in ordine a tale argomento sussisteva un'omessa motivazione.
Il motivo è pur esso da disattendere perché infondato e contenente anche censure inammissibili.
Per quanto concerne il riferimento, cui da ultimo s'è fatto cenno, al contratto collettivo nazionale, va rilevata la erroneità dell'assunto secondo cui vi sarebbe un omessa motivazione sul punto, dal momento che la sentenza impugnata ha invece adeguatamente motivato al riguardo affermando - come pure sinteticamente riportato nella parte narrativa della presente sentenza - che il contratto nazionale di lavoro del 1991 nulla disponeva per l'anno 1993, al quale anno soltanto era riferita la domanda avente ad oggetto il premio di produttività.
Per quanto concerne l'accordo di cui alla lettera del 12 maggio 1994 deve notarsi, anzitutto, che il ricorso per Cassazione è carente al riguardo del requisito della autosufficienza in quanto non riporta, nel suo contesto, in maniera idonea e adeguata il contenuto della lettera stessa impedendo così al giudice di legittimità - al quale non è consentito, in ordine a questione del genere, il diretto esame degli atti e documenti del pregresso giudizio di merito - di valutare la rilevanza e la decisività della censura relativa
all'interpretazione di tale documento (cfr. tra le molte Cass. 8 luglio 1994 n. 6456;22 febbraio 2001 n. 2613;14 marzo 2001 n. 3692). Oltre a ciò va pure rilevato che neppure risulta specificamente impugnata la ragione della decisione espressa in proposito dal Tribunale con l'affermare che detta lettera (del 12 maggio 1994) non avrebbe comunque potuto sortire alcun effetto impegnativo per la società consistendo in un atto compiuto dopo la cessazione del rapporto associativo con la Ascotributi e difettando quindi tale Associazione, anche relativamente a tale lettera, del potere di rappresentanza nei confronti della SERIT.
L'omessa specifica impugnativa di tale autonoma e sufficiente ragione della pronuncia attinente al premio di produttività rende inammissibile ogni ulteriore censura al riguardo, (cfr. tra le molte, Cass. 24 giugno 1994 n. 6080, 24 maggio 2001 n. 7077). Ulteriori deduzioni e rilievi svolti nel motivo risultano, poi, avere ad oggetto essenzialmente la diversa Interpretazione sostenuta da parte ricorrente in ordine al contenuto e alla portata dell'art. 54 del contratto nazionale e della ricordata lettera 12 maggio 1994, e non valgono pertanto, così formulate, ad integrare valido ed ammissibile motivo di ricorso per Cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c. in quanto sostanzialmente propongono l'apprezzamento, ritenuto
corretto dalla parte, di circostanze attinenti al merito della causa. Per tutte le considerazioni sin qui svolte il ricorso principale deve essere dunque rigettato.
5.- Merita invece accoglimento il ricorso incidentale proposto dalla società SERIT che, denunziando violazione dell'art. 112 c.p.c. ed omessa motivazione su punto decisivo della controversia, lamenta che il Tribunale ha omesso di pronunciarsi sulla domanda da essa proposta in appello (e riportata anche nel testo del controricorso), per ottenere la condanna delle controparti alla restituzione delle somme loro pagate in esecuzione della sentenza di primo grado (e pure specificate in controricorso).
Va invero ritenuto, ribadendo quanto già ripetutamente affermato da questa Corte, che la domanda concernente la restituzione delle somme versate in esecuzione di una sentenza immediatamente esecutiva, come nella specie quella di primo grado contenente la pronuncia di condanna del datore di lavoro, essendo conseguente alla richiesta di modifica della decisione e non alterando i termini della controversia, non può essere considerata come domanda nuova e può pertanto essere formulata per la prima volta con lo stesso atto d'appello: con la conseguenza che incorre nel vizio di omessa pronunzia la sentenza d'appello che, riformando quella di primo grado, trascuri di provvedere sulla richiesta di restituzione delle somme versate in esecuzione di quei capi della sentenza di primo grado che sono stati riformati (tra le altre Cass. 9 aprile 1998 n. 3695). Poiché in effetti la sentenza del Tribunale di Roma non ha provveduto sulla richiesta di restituzione avanzata nell'atto di appello dalla società SERIT, la sentenza stessa, in accoglimento del ricorso incidentale, deve essere cassata sul punto, e la causa essere rinviata ad altro giudice equiparato, designato nella Corte d'appello di Perugia, che provvederà al riguardo procedendo agli occorrenti accertamenti di fatto, e pronunciando anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.