Cass. civ., sez. V trib., sentenza 06/09/2022, n. 26264
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resentante pro tempore , SINATTI GIULIANO, SCIFONI STEFANIA, SINATTI SIMONE, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DELLA VALLE PIETRO 2, presso lo studio dell’avvocato C P (PPLCRI56H30B715I) che li rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso;-ricorrenti- contro AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO SO che la rappresenta e difende ex lege;-resistente- Oggetto IVA Operazioni inesistenti avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 7666/2017 depositata il 18/12/2017. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/05/2022 dal Consigliere G L R a seguito di udienza pubblica tenuta nelle forme previste dall'art. 23, comma 8 bis, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. con modif. nella I. 18 dicembre 2020, n. 176;Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale G F, che ha chiesto l’accoglimento del quarto motivo di ricorso. FATTI DI CAUSA La società Trionfale Settepiù sas di S S e C. e i suoi soci S S, G S e S S hanno impugnato per cassazione la sentenza della CTR del Lazio n. 7666/17/2017 che ha rigettato gli appelli proposti da società e soci avverso la sentenza della CTP diRoma che aveva respinto i ricorsi proposti dagli stessi avverso l’avviso di accertamento per IVA 2011 emesso dall’Agenzia delle Entrate, sulla base di pvc 4.9.2013, per inesistenza soggettiva delle operazioni intercorse con la MR Trade srl e MGK 2010srl. La CTR ha ritenuto infondato il motivo riguardante la carenza di potere di firma del dirigente sottoscrittore e inammissibili, in quanto generiche, e comunque infondate le doglianze relative a carenza di motivazione della sentenza. Il ricorso è affidatoa quattro motivi. L’Agenzia delle Entrate non ha depositato controricorso. I ricorrenti hanno depositato memoria. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo i ricorrenti censurano, «ai sensi dell’articolo 360 cpc punto 4», la sentenza impugnata laddove è stata respinta l’eccezione di nullità dell’atto impugnato per «carenza di poteri di firma del “Dirigente”» che l’aveva sottoscritto. Il Procuratore Generale ha eccepito l’inammissibilità del motivo per difetto di specificità. In effetti la doglianza è formulata in termini generici, senza alcun riferimento al caso concreto ma con meri riferimenti giurisprudenziali, tra l’altro assai eterogenei: si cita Corte cost. n. 37/2015 (che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 comma 24 del d.l. n.16/2012 e dalla quale era conseguita l’invalidità delle nomine dirigenziali effettuate senza concorso) e, nel contempo, si richiama altra giurisprudenza in tema di onere della prova della delega del capo dell’ufficio al funzionario sottoscrittore. In ogni caso, la sentenza impugnata non merita censure sul punto. 1.1. La CTR ha rigettato la questione della «carenza del potere in capo al dirigente sottoscrittore sollevata in base alla sentenza della Corte costituzionale n. 37/2015» richiamando il principio espresso da quella stessa pronuncia secondo cui «la validità degli incarichi dirigenziali non si riflette sulla idoneità degli atti emessi dall’Ufficio». La decisione è in linea con la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la provenienza di un atto dall'Agenzia delle Entrate e la sua idoneità a rappresentarne la volontà si presumono finché non venga provata la non appartenenza del sottoscrittore all'Ufficio o, comunque, l'usurpazione dei relativi poteri (Cass. n. 220 del 014;Cass. n.15470 del 2016). Giova osservare, poi, che la questione sollevata a seguito della citata pronuncia della Corte costituzionale è stata superata dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d'ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell'ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva e, cioè, da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d'incostituzionalità dell'art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, convertito nella l. n. 44 del 2012» (Cass. n. 22810 del 2015). 2. Con il secondo motivo i ricorrenti assumono, sotto il paradigma dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., che la pronuncia non è conforme alle norme che regolano la redazione delle sentenze. Il Procuratore Generale ha eccepito l’inammissibilità anche di questo motivo, per indicazione generica dei principi processuali che sarebbero stati violati, ma l’espositiva indica la violazione dell’art.111 cost., gli artt. 132 e 360 c.p.c. nonché dell’art. 36 d.lgs. n. 546 del 1992 e deduce la mancanza di una ordinata esposizione delle ragioni e degli argomenti su cui si fonda la decisione della CTR. Il motivo, quindi, può considerarsi ammissibile, peraltro è anch’esso infondato. 2.1. Secondo costante giurisprudenza di questa Corte, dalle norme di cui agli artt. 132, comma secondo, n. 4 cod. proc. civ. e 118 disp. att. c.p.c. è desumibile il principio secondo il quale la mancata esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa, ovvero la mancanza o l'estrema concisione della motivazione in diritto determinano la nullità della sentenza allorquando rendano impossibile l'individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass. n. 1944 n. 2001). In forza del generale rinvio materiale alle norme del codice di rito compatibili (comprese le disposizioni di attuazione) contenuto nell'art. 1, comma secondo, del d.lgs. 546/1992, questa principio è applicabile al nuovo rito tributario (Cass. n. 13990 del 2003;Cass.n. 9745 del 2017). Va osservato, inoltre, che a seguitodella riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del "minimo costituzionale" richiesto dall'art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi - che si convertono in violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza - di "mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale", di "motivazione apparente", di "manifesta ed irriducibile contraddittorietà" e di "motivazione perplessa od incomprensibile", purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018;Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, Cass. n. 7090 del 2022). La sentenza impugnata, non solo presenta le indicazioni richieste, contenendo lo svolgimento del processo, i fatti essenziali di causa e una articolata esposizione delle ragioni della decisione, ma ha comunque una ratio decidendi chiaramente intellegibile, sicché si tratta di una motivazione ben sopra la soglia del minimo costituzionale ex art. 111 cost. comma 6. 3. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 1, del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, nonché della normativa comunitaria in materia di IVA. Ancora una volta viene eccepita l’inammissibilità del motivo segnalandosi l’omessa indicazione delle norme violate e il difetto di specificità della doglianza. Secondo giurisprudenza di questa Corte, non è inammissibile l'impugnazione per omessa indicazione delle norme di legge che si assumono violate, la cui presenza non costituisce requisito autonomo ed imprescindibile del ricorso, ma è solo funzionale a chiarirne il contenuto e a identificare i limiti della censura formulata, sicché la relativa omissione può comportare l'inammissibilità della singola doglianza solo se gli argomenti addotti dal ricorrente non consentano di individuare le norme e i principi di diritto asseritamente trasgrediti, precludendo la delimitazione delle questioni sollevate (Cass. n. 21819 del 2017). Nel caso di specie, nonostante l’esposizione di argomenti eterogenei, si può cogliere l’essenza della doglianza nella asserita violazione delle regole in materia di operazioni soggettivamente inesistenti, nel senso che, mentre spetta all’Amministrazione dimostrare che il soggetto passivo era o avrebbe dovuto essere a conoscenza dell’esistenza di una evasione di imposta, la sentenza impugnata, ritenuta la natura fittizia delle società fornitrici, non avrebbe indicato le prove che dimostrano la consapevolezza da parte della contribuente di tali circostanze ovvero l’assenza di buona fede. Questa doglianza, però, è infondata.
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