Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 11/11/2002, n. 15836

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Massime1

Ai fini della tutela contro gli infortuni sul lavoro in agricoltura, è richiesto l'esercizio professionale, da parte dei soggetti indicati nell'art. 205 d.P.R. n. 1124 del 1965, come modificato con l'art. 10 legge 9 dicembre 1977 n. 903 (proprietari, mezzadri, affittuari, loro coniugi e figli, anche naturali o adottivi, che prestano opera manuale abituale nelle rispettive aziende), di un'attività economica diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all'allevamento del bestiame e attività connesse, secondo la previsione dell'art. 2135 cod. civ., espressamente richiamato dall'art. 206 dello stesso d.P.R. (nella nuova formulazione introdotta dall'art. 1 legge 20 novembre 1986 n. 778) per l'individuazione della nozione di azienda agricola o forestale; ne consegue che, ai fini della tutela suddetta, già prima che intervenisse il d.l. 22 maggio 1993 n. 155 il cui art 14 ha stabilito che l'individuazione dei lavoratori assicurati ex art. 205 avviene secondo i criteri e le modalità previste dalla legge 1047 del 1957, non era sufficiente l'attività di coltivazione del proprio fondo, ancorché svolta in modo abituale, al solo scopo di destinare i prodotti al proprio diretto consumo e non al mercato.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 11/11/2002, n. 15836
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 15836
Data del deposito : 11 novembre 2002

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. S SNESE - Presidente -
Dott. P CO - Consigliere -
Dott. A C - rel. Consigliere -
Dott. G SCHI - Consigliere -
Dott. G CINO - Consigliere -
ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
R G GPE, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA VALADIER

53, presso lo studio dell'avvocato CATALDO M.DE BENEDICTIS, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato D C, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
I.N.A.I.L. - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE

CONTRO

GLI INFORTUNI S L, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA IV NOVEMBRE

144, rappresentato e difeso dagli avvocati F Q, A P, giusta delega in atti;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 208/99 del Tribunale di CASSINO, depositata il 23/03/99 R.G.N. 547/98;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/06/02 dal Consigliere Dott. A C;

udito l'Avvocato C;

udito l'Avvocato QUARANTA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Giuseppe NAPOLETANO che ha concluso per il rigetto del ricorso. Svolgimento del processo
Con ricorso al Pretore di Cassino, depositato il 24 agosto 1995, G G R esponeva che, cessato nel 1998 il proprio rapporto di lavoro alle dipendenze della Fiat, con diritto a pensione, si era dedicato, in via continuativa ed abituale, alla coltivazione del terreno posseduto, insieme alla moglie, intorno alla casa di abitazione ed in altri luoghi poco lontani;
che il 19 luglio 1992, mentre era intento ad irrigare gli ortaggi, era inciampato su di un tubo di gomma, riportando la frattura del femore destro;
che l'INAIL aveva indennizzato l'infortunio, corrispondendo sia l'indennità per la invalidità temporanea che la rendita per l'inabilità permanente;
che l'Istituto previdenziale, con nota del 18.6.1995, aveva revocato i benefici concessi, assumendo la non indennizzabilità dell'infortunio per la mancanza del requisito della "abitualità".
Assumendo che dall'epoca del pensionamento aveva sempre lavorato direttamente, in via continuativa ed abituale, alla coltivazione e all'allevamento del bestiame (da cortile), chiedeva la condanna dell'INAIL alla ricostituzione della rendita.
L'Istituto, costituitosi, si opponeva alla domanda e chiedeva, in via riconvenzionale, la restituzione delle somme corrisposte, nella misura di lire 13.218.730, oltre interessi legali. Con sentenza n. 555 del 1997 il Pretore rigettava la domanda principale ed accoglieva la riconvenzionale.
L'appello del signor Rotondo, cui resisteva l'INAIL, veniva accolto dal Tribunale di Cassino solo limitatamente alla irripetibilità delle prestazioni indebitamente percepite, in applicazione dell'art. 260 della legge finanziaria del 1997 (avendo l'appellante percepito, nell'anno 1995, un reddito inferiore a lire 16 milioni).
Il Tribunale riteneva, richiamando sia l'art. 2 della legge 9 gennaio 1963, n. 9, sia l'art. 205 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, che la destinazione dei prodotti del fondo al consumo familiare
escludesse la professionalità della attività espletata. Aggiungeva che il signor Rotondo non aveva neppure dedotto (nè si era offerto di provare) di essere iscritto negli appositi elenchi, requisito necessario, ai sensi del d.lg. lt. 9 aprile 1946, n. 212, e successive modifiche e integrazioni, per beneficiare dell'indennità di malattia.
Per la cassazione della decisione di secondo grado (sentenza del 5/23 marzo 1999) ricorre, formulando un unico, articolato motivo di censura, G G R.
L'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Con l'unico motivo la difesa del ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2, secondo e terzo comma, della legge 9 gennaio 1963, n. 9, dell'art. 4 del d.lg. lt. 9 aprile 1946, n. 212
(integrato dalla legge 11 marzo 1970, n. 83), dell'art. 205, primo comma, lett. b, del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124;
nonché vizio di
motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.).
Deduce che il Tribunale ha erroneamente richiamato ed applicato l'art. 2 della legge n. 9 del 1963 (che da rilievo alla circostanza che il coltivatore tragga dall'attività, in via prevalente, il reddito per sè e per la sua famiglia), non tenendo conto che tale legge riguarda l'assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti gestita dall'INPS, e non anche l'assicurazione per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestita dall'INAIL. Rileva che anche la legge 22 novembre 1954, n. 1136, richiamata dall'art. 2 della legge 1963, concerne l'assicurazione contro le malattie dei coltivatori diretti, mezzadri e coloni, e non il rischio di infortunio e di malattia professionale.
Sostiene la mancanza, nel nostro ordinamento, di una nozione generale di coltivatore diretto applicabile ad ogni fine di legge, donde la errata applicazione, ai fini infortunistici, di leggi sulle pensioni e l'assistenza malattie.
Assume che la disciplina specifica applicabile alla fattispecie è solo quella di cui al d.P.R. n. 1224 del 1965, il cui art. 205, primo comma, lett. b, estende la tutela relativa ai "proprietari, mezzadri, affittuari, loro coniugi e figli anche naturali ed adottivi che prestano opera manuale abituale nelle rispettive aziende". Richiama, poi, la definizione di azienda agricola di cui al successivo art. 206, con il riferimento all'art. 2135 c.c., e la estensione alla coltivazione di orti e giardini, operata dall'art. 207.
Sostiene che la nozione di "abitualità", di cui alle norme del d.P.R. n. 1124/65, non è conforme a quella di cui all'art. 2 della legge n. 9 del 1963. Nel settore della assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali è coltivatore, per la difesa del ricorrente, chi impegna in tale attività le sue energie lavorative nella misura in cui il fondo stesso, per estensione, ampiezza e tipo di coltivazione, ne abbia bisogno.
L'abitualità non andrebbe, quindi, intesa in senso assoluto;

non verrebbe meno in concorrenza di altra occupazione, anche se prevalente.
Sarebbe sufficiente la regolarità e la continuità, con esclusione delle sole attività espletate occasionalmente, a scopo diversivo.
Assume che la correttezza di tale interpretazione trova conferma nel d.l. 22 maggio 1993, n. 155, convertito nella legge 19 luglio 1993, n. 243, il cui art. 14 ha stabilito che i lavoratori di cui al
primo comma, lett. b, dell'art. 205 del d.P.R. n. 1124/65 vengono individuati, a partire dal 1^ giugno 1993, secondo i criteri e le modalità previsti dalla legge n. 1047 del 1957. Il concetto più restrittivo di abitualità, relativo alla assicurazione per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, è stato, quindi, esteso all'assicurazione per gli infortuni e le malattie professionali solo dal giugno 1993, e non può riguardare un infortunio accaduto in precedenza.
Deduce che la Corte Costituzionale, nel respingere, con la sentenza n. 26 del 2000, la eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 14 citato, ha dato atto, sostanzialmente, che la nozione di abitualità, prevista dall'art. 205 del d.P.R. n. 1124/65, nella precedente formulazione, era intesa semplicemente come dedizione normale e continuativa alla coltivazione dei campi e all'allevamento del bestiame, senza alcun riferimento alla prevalenza ed al reddito ricavato.
Erroneamente, quindi, il Tribunale ha rigettato la domanda per il fatto che i prodotti erano destinati al consumo familiare. Deduce, ancora, che nessuna norma richiede, per l'operatività della assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali, l'iscrizione negli elenchi di cui al d.lg. 9 aprile 1946, n. 212, integrato dalla legge 11 marzo 1970, n. 83, valida ai soli fini INPS e della pregressa assicurazione malattia.
Per l'assicurazione INAIL opera il principio della
automaticità.
Critica, infine, la valutazione che i giudici di appello hanno effettuato delle risultanze della prova testimoniale espletata in primo grado, avendo gli stessi affermato, contro tali risultanze, che la continuità e frequenza nell'attività agricola e la costante dedizione alle incombenze colturalì non erano rinvenibili nella fattispecie.
Assume che risultava, invece, dalla prova testimoniale, che il ricorrente era impegnato quotidianamente sui fondi per la coltivazione e l'allevamento;
che tale attività non costituiva un passatempo e che il frutto del lavoro era destinato a soddisfare effettivi bisogni propri e della famiglia.
Il ricorso non è fondato.
Il dispositivo della decisione qui impugnata risulta conforme a diritto, anche se la motivazione va in parte corretta, avendo il Tribunale di Cassino utilizzato, per escludere la qualità di soggetto assicurato all'INAIL, una nozione di coltivatore diretto dettata dalla legge 26 ottobre 1957, n. 1047, e successive modificazioni ed integrazioni, ai diversi fini dell'assicurazione di invalidità, vecchiaia e superstiti (e non ancora utile, prima della entrata in vigore del d.l. 22 maggio 1993, n. 1555, conv. nella legge n. 243 del 1993, per i fini di tutela infortunistica presso l'INAIL);

ed avendo ritenuto necessaria la iscrizione del lavoratore nell'elenco nominativo dei lavoratori agricoli, nel mentre, nella materia della assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, ricorre il caso tipico e più risalente di applicazione del cd. principio di automaticità delle prestazioni (artt. 67 e 212 del d.P.R.). All'epoca dell'infortunio per cui è causa (19.7.1992), la individuazione dei soggetti assicurati contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali in agricoltura andava operata esclusivamente sulla scorta degli artt. 205 e segg. del d.P.R. n. 1124 del 1965, nonché dell'art. 2135 c.c., richiamato dagli artt.
206 e 207 del citato d.P.R.
L'art. 205 del d.P.R. n. 1124/65 dispone alla lettera b), come modificata con l'art. 10 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, che si intendono assicurati contro gli infortuni sul lavoro in agricoltura "i proprietari, mezzadri, affittuari, loro coniuge e figli, anche naturali o adottivi, che prestano opera manuale abituale nelle rispettive aziende".
L'art. 206, come sostituito dall'art. 1 della legge 20 novembre 1986, n. 778, considera "aziende agricole o forestali, ai fini del
presente titolo, quelle esercenti una attività diretta alla coltivazione dei fondi, alla silvicoltura, all'allevamento degli animali ed attività connesse, ai sensi dell'art. 2135 del codice civile". Il successivo art. 207, poi, considera "lavori agricoli, ai fini del presente titolo, tutti i lavori inerenti alla coltivazione dei fondi, alla silvicoltura, all'allevamento del bestiame ed attività connesse, ossia quelli che rientrano nell'attività dell'imprenditore agricolo, a norma dell'art. 2135 del c.c., anche se i lavori siano eseguiti con l'impiego di macchine mosse da agente inanimato, ovvero non direttamente dalla persona che ne usa ed anche se essi non siano eseguiti per conto e nell'interesse dell'azienda conduttrice del fondo".
Da tali norme, ratione temporis applicabili all'infortunio per cui è causa, si ricava che, per l'assoggettamento alla tutela infortunistica dei proprietari, mezzadri, ecc., è richiesto, con la titolarità dell'impresa, l'esercizio professionale di una certa attività economica, atteso che tale "esercizio professionale" rientra sicuramente nella previsione di cui all'art. 2135 cod. civ., per il quale è imprenditore agricolo chi esercita un'attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all'allevamento del bestiame e attività connesse.
Mentre nell'art. 207 del d.P.R. n. 1124 del 1965 il richiamo all'art. 2135 c.c. vale solo come criterio discretivo rispetto ad attività che non possono considerarsi agricole, o che sono tali solo a certe condizioni, nella nuova formulazione dell'art. 206 il riferimento - all'art. 2135 c.c. serve ad individuare, in senso tecnico giuridico, il requisito della "imprenditorialità", che deve sussistere, per l'operatività della tutela assicurativa, in capo ai proprietari, mezzadri ecc. che esercitano attività diretta alla coltivazione dei fondi, alla silvicoltura ecc.
Ne deriva che, anche prima del d.l. 22 maggio 1993, n. 155, convertito, con modificazioni, nella legge 19 luglio 1993, n. 243 - il cui art. 14 ha stabilito, per quanto qui interessa, che, con decorrenza dal 1^ giugno 1993, ai fini dell'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali, di cui al testo unico approvato con d.P.R. n. 1124 del 1965, "lavoratori di cui al primo comma, lettera b), dell'art. 205 del citato testo unico sono individuati secondo i criteri e le modalità previste dalla legge 26 ottobre 1957, n. 1047, e successive modificazioni ed integrazioni" -
non poteva essere considerato imprenditore ed assicurato all'INAIL colui che esercitava l'attività "per conto proprio" che produceva determinati beni per consumarli direttamente e non per destinarli, dietro corrispettivo, ad altri.
La novità introdotta dall'art. 14 del d.l. n. 155 del 1993 riguarda la estensione della nozione di coltivatore diretto, individuata dalle leggi riguardanti l'assicurazione di invalidità, vecchiaia e superstiti (l. 26 ottobre 1957, n. 1047;
l. 22 novembre 1954, n. 1136;
l. 9 gennaio 1963, n. 9, e succ. modifiche), anche
alla assicurazione per gli infortuni sul lavoro.
Sarà, pertanto, necessario che i soggetti indicati nelle citate leggi si dedichino in modo esclusivo o almeno prevalente a tali attività;
per attività prevalente si intenderà quella che impegni il coltivatore diretto ed il mezzadro o colono per il maggior periodo di tempo nell'anno e che costituisca per essi la maggior fonte di reddito;
la prestazione lavorativa del nucleo familiare non dovrà essere inferiore ad un terzo di quella occorrente per le normali necessità delle coltivazioni del fondo e per l'allevamento del bestiame;
il fabbisogno di manodopera per lo svolgimento delle suddette attività non dovrà essere inferiore a centoquattro giornate lavorative annue (artt. 2 e 3 della legge n. 9 del 1963). Ma anche prima di tale espressa parificazione dei requisiti, per le ragioni sopra esposte, colui che coltivava il proprio fondo, ancorché abitualmente, al solo scopo di destinare i prodotti al suo diretto consumo, e non al mercato, non era soggetto alla tutela assicurativa contro gli infortuni e le malattie professionali, mancando il cd. rischio professionale.
Nello stesso senso si è già pronunciata la Corte con la sentenza n. 703 del 28 gennaio 1984, nella quale si è ribadito: "ai fini della tutela contro gli infortuni sul lavoro in agricoltura, non è sufficiente la natura agricola dell'attività lavorativa nello svolgimento della quale si è verificato l'infortunio, ma occorre anche un requisito soggettivo, costituito dall'appartenenza dell'infortunato ad una delle categorie indicate dalla legge. La sussistenza di tale secondo requisito, allorché sia in discussione la qualità di imprenditore del soggetto infortunatosi durante la coltivazione di un proprio fondo, ben può essere negata dal giudice del merito in base alla considerazione di elementi (nella specie, esigua ampiezza del fondo), tali da far escludere la configurabilità della coltivazione come esercizio professionale di un'attività economica organizzata ai fini della produzione di beni". Tale orientamento è stato riconfermato con la sentenza n. 9040 del 4 luglio 2001, che ha valorizzato il richiamo all'art. 2135 c.c., operato dall'art. 206 del d.P.R. n. 1124/65, consapevolmente dissentendo dall'unico recedente contrario (Cass., 28 maggio 1997 n. 4724), che aveva ritenuto tutelabile contro gli infortuni sul lavoro anche la coltivazione abituale di un piccolo appezzamento di terreno, da parte di un impiegato d'ordine presso un ente pubblico, allo scopo di destinare i prodotti al consumo familiare.
Ritiene il Collegio che l'orientamento espresso con le sentenze n. 703 del 1984 e n. 9040 del 2001 meriti, per le ragioni sopra esposte, di essere condiviso.
Il ricorso va pertanto rigettato, risultando il dispositivo della sentenza conforme a diritto (art. 384, secondo comma, c.p.c.). Il ricorrente non è tenuto al rimborso delle spese nei confronti dell'istituto resistente, non ricorrendo l'ipotesi della pretesa manifestamente infondata e temeraria (art. 152 disp. att. c.p.c.).

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi