Cass. pen., sez. I, sentenza 28/10/2021, n. 38994

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 28/10/2021, n. 38994
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 38994
Data del deposito : 28 ottobre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: TRIPODI GIROLAMO GIUSEPPE FABIANO nato a GIOIA TAURO il 27/06/1981 avverso l'ordinanza del 22/04/2021 del TRIB. LIBERTA' di REGGIO CALABRIA udita la relazione svolta dal Consigliere P T;
kogn/sentite le conclusioni del PG MARILIA DI NARDO i CAut._ tl-P-.-67-eeffehIcie chiedendo il rigetto del ricorsoi • • • udite 4 difensore —eavvocato MARTINO GIUSEPPE del foro di PALMIin difesa di: TRIPODI GIROLAMO • GIUSEPPE FABIANO conclude insistendo sui motivi di ricorso. Alavvocato B DO D. del foro di PALMI in difesa di TRIPODI GIROLAMO GIUSEPPE FABIANO conclude riportandosi ai motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 22 aprile 2021, il Tribunale di Reggio Calabria, investito ex art.309 cod. proc. pen., rigettava la richiesta di riesame proposta nell'interesse di T G G F avverso il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale in sede del 12.3.2021, con il quale era stata applicata nei confronti del predetto la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al reato di di cui all'art. 416 -bis cod. pen. (capo A della provvisoria imputazione, per avere preso parte, nell'ambito dell'associazione mafiosa denominata 'ndrangheta, alla cosca P, operante sul territorio del comune di Gioia Tauro e zone limitrofe, che, avvalendosi della forza di intimidazione scaturente dal vicolo associativo e delle conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà, attuava un capillare controllo di ogni aspetto della vita economica del territorio e, in particolare, quale occulto regista delle politiche di gestione dell'A.S.P. di Reggio Calabria, garantiva forme di attenzione verso l'impresa M.C.T. Distribution & Service s.r.I., operante nel settore della vendita di prodotti medicali), a quello di cui agli artt. 416 , 416 -bis 1 cod. pen (capo B della provvisoria imputazione, perché, con la finalità di agevolare la cosca P, si associava con altri soggetti, costituendo l'azienda M.C.T., per commettere una serie di delitti di corruzione per acquisire commesse da A.S.P. e da presidi ospedalieri e, quindi, ottenere i relativi pagamenti), al reato di cui agli artt. 110, 318, 319, 320, 321 cod. pen., aggravato ai sensi dell'art. 416 -bis 1 cod. pen. (capo I della provvisoria imputazione, in concorso con Laface Francesca Grazia e Madafferi Antonino), nonché al reato di cui agli artt. 512 -bis e 416 -bis 1 cod. pen. (capo M della provvisoria imputazione, perché, per agevolare la cosca P, in concorso con M F, M A, R M V, Cernuto Antonino, Cernuto Giuseppe, R F e A G, aveva attribuito fittiziamente la titolarità dell'azienda M.C.T. a M A, Cernuto Giuseppe e R F, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale). Condivideva, il Tribunale, con riguardo a tutti i reati contestati all'indagato, il giudizio di gravità indiziaria effettuato dal giudice della cautela sulla base degli esiti (costituiti, essenzialmente, dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia e dal contenuto di numerose conversazioni captate) della complessa attività d'indagine relativa al procedimento c.d. "Chirone", che aveva permesso di ricostruire le infiltrazioni della cosca P (la cui presenza sul territorio, era stata accertata in numerosi processi penali) nell'ambito della sanità pubblica in Calabria, per il tramite della famiglia T, alla predetta legata da consolidati vincoli di natura criminale e parentale, grazie alla creazione di una struttura societaria ad hoc, la M.C.T. Distribution & Service s.r.I., operante nel settore della distribuzione di prodotti sanitari, che riusciva ad accaparrarsi le forniture mediante un meccanismo illecito, ideato unitamente alla Lewis Medical s.r.l. di A G, corrompendo personale medico e paramedico, deputato a eseguire le relative richieste.

2. Avverso detta pronuncia, l'indagato ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite dei suoi difensori di fiducia, avvocati G M e D B, formulando cinque distinti motivi di impugnazione.

2.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto "violazione dell'art. 606 lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 512 -bis cod. pen. e 273 cod. proc. pen.". Ha, in proposito, sostenuto che: il Tribunale avrebbe affermato, in maniera del tutto apodittica, che il T, temendo l'applicazione di un'imminente misura di prevenzione, avesse ceduto le proprie quote societarie ad altri, continuando a gestire la società come socio occulto sia perché la presunta appartenenza alla cosca P costituirebbe il fatto da provare e "non il presupposto di partenza", sia perché non vi sarebbero elementi per ritenere che il T nel periodo di cessione delle quote (aprile - ottobre 2016) fosse a conoscenza o temesse, anche in astratto, l'emissione di provvedimenti ablatori a suo carico;
sarebbe illogico ritenere che il T, temendo l'applicazione di una misura di prevenzione, avesse ceduto le quote della M.C.T. s.r.I., trattenendo, invece, quelle della società "Minerva" e, soprattutto, quelle dell'azienda agricola di cui era l'unico titolare;
la spiegazione fornita dal Tribunale, sul punto, sarebbe, poi, altrettanto illogica (oltre che parziale, mancando qualsiasi riferimento all'azienda agricola);
non sarebbe stato spiegato il motivo per cui il T si sarebbe disfatto delle quote in due momenti distinti (prima cessione, nell'aprile del 2016, nei confronti di tale Napoli Massimo;
seconda cessione, nell'ottobre del 2016, nei confronti degli indagati Madaffari e Riefolo) e non, invece, immediatamente;
tutti" gli elementi investigativi che, in qualche modo, collocherebbero il T alla M.C.T. s.r.I., sarebbero precedenti all'ottobre 2016;
le enfatizzate conversazioni, infatti, risalirebbero all'aprile 2016 e, quindi, sarebbe legittimo e non indiziante il fatto che l'indagato se ne occupasse;
tutti i contatti intervenuti dopo l'ottobre 2016 tra il T e i due ex soci sarebbero stati finalizzati esclusivamente al recupero da parte dello stesso T delle somme anticipate negli anni precedenti;
infondato sarebbe il tentativo di agganciare i rapporti tra il T e la Laface con quelli che quest'ultima intratteneva, per altra via, con i soci della M.C.T. s.r.I.. 2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto "violazione dell'art. 606 lett. b), c) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 416 -bis cod. pen. e 273 cod. proc. pen.". Secondo la difesa, una volta "depurato" il quadro indiziario dalla vicenda relativa alla presunta intestazione fittizia della società M.C.T. s.r.I., si "sgretolerebbe" l'impianto accusatorio riguardante le fattispecie associative;
l'azienda del T sarebbe stata costretta a subire i mancati pagamenti da parte dell'A.S.P. e la società "Minerva" sarebbe stata sull'orlo del fallimento proprio a causa di ciò, nonché costretta a cedere i crediti vantati nei confronti della stessa A.S.P.;
la pronuncia impugnata, inoltre, non avrebbe preso in considerazione la decisione di annullamento (allegata al ricorso), resa dal medesimo Tribunale, dell'ordinanza applicativa della misura cautelare nei confronti di B S;
la motivazione di detta decisione avrebbe avuto un valore tranciante rispetto all'ipotesi di accusa, avendo escluso che potessero esserci stati rapporti privilegiati tra la "Minerva" e l'A.S.P. e avendo, altresì, ritenuto le dichiarazioni del collaboratore di giustizia F assolutamente mendaci;
non sarebbero state neppure considerate l'intervenuta archiviazione, datata 2017, nei confronti di tutti i T, per mancanza di riscontri obiettivi e la disposta revoca del programma di protezione nei confronti del F;
l'ordinanza impugnata, inoltre, avrebbe fatto confusione sia tra soggetti (vi sarebbe commistione tra l'eventuale responsabilità del ricorrente e quella dei defunti congiunti) sia tra società (non sarebbe stata effettuata una accurata distinzione tra le vicende della "Minerva" e quelle della M.C.T. s.r.I.).

2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente ha dedotto "violazione dell'art. 606 lett. b), c) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 416 -bis cod. pen. e 273 cod. proc. pen.". Sempre in relazione alla parte motiva dedicata alla fattispecie sub capo A), il Tribunale sarebbe incorso - secondo la difesa - in un evidente "travisamento della prova";
in più passi dell'ordinanza, invero, sarebbe stata attribuita al T la circostanza di avere "redarguito" due imprenditori, tali G e M, colpevoli di avere speso il nome della famiglia P per ottenere vantaggi economici senza dare nulla in cambio;
tuttavia, dalla lettura della trascrizione della conversazione intercettata (progr. n. 1562 del 7.12.2017), si evincerebbe chiaramente che non sarebbe stato T Fabiano a redarguire i due, ma altro T, lo zio Antonio (il nome di Fabiano sarebbe stato pronunciato, infatti, esclusivamente per indicare il luogo ove avvenne il presunto incontro, mentre dalla conversazione emergerebbe che l'atteggiamento di T Fabiano sarebbe stato quello di una persona del tutto distaccata dalla descritta situazione).

2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente ha dedotto "violazione dell'art. 606 lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 416 e 416 -bis cod. pen. e 649 cod. proc. pen.". La motivazione dell'ordinanza impugnata, con la quale è stata esclusa la sussistenza della dedotta perfetta sovrapponibilità delle contestazioni elevate ai capi A) e B) della rubrica, sarebbe - secondo il ricorrente - del tutto "apparente";
gli anni 2016 e 2017 a cui si riferirebbero le condotte del reato di associazione per delinquere sarebbero ricompresi anche nel periodo di presunta operatività dell'associazione mafiosa e il fatto che il reato di cui al capo B) sarebbe stato contestato ad altri soggetti, peraltro in posizione assai marginale, non sarebbe circostanza dirimente.

2.5. Con il quinto motivo, il ricorrente ha dedotto "violazione dell'art. 606 lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 318, 319, 320, 321 e 416 -bis 1 cod. pen. e 273 cod. proc. pen.". Secondo il ricorrente, non sarebbe stato mai individuato un preciso atto corruttivo, come si evincerebbe già dal tenore della contestazione che fa riferimento a "una corsia preferenziale ai mandati di pagamento dell'A.S.P. in favore del laboratorio "Minerva" e della M.C.T. s.r.l. (riconducibile a Fabiano T e in generale alla famiglia mafiosa T)". In ordine alla presunta riconducibilità della M.C.T. s.r.l. a T Fabiano, la difesa ha richiamato le osservazioni già svolte in precedenza;
ha aggiunto che, quanto alla mafiosità della famiglia T, non risulterebbe alcuna pronuncia di tale tenore;
che il regalo di un cestino natalizio alla Laface (la quale, peraltro, aveva spiegato come non avrebbe potuto realizzare l'atto corruttivo ipotizzato, nonché dimostrato che tutti i pagamenti venivano effettuati nello stesso momento) costituirebbe l'unico elemento indiziario da cui non sarebbe possibile dedurre l'esistenza di accordi corruttivi o corsie preferenziali;
che occorreva considerare che i mancati pagamenti da parte dell'A.S.P. avessero causato il tracollo finanziario del laboratorio "Minerva". CONSIDERATO IN DIRITTO l. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito illustrate. Giova, innanzitutto, premettere che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, "il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell'apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell'indagato e, dall'altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l'attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell'ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti prima facie dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto" (Cass. Sez. 1 sent. n. 1700 del 20.03.1998 dep. 04.05.1998 rv 210566;
Cass. Sez. 2 sent. n. 56 del 7.12.2011 dep. 4.1.2012, rv 251761;
Cass. Sez. 4 sent. n. 26992 del 29.5.2013 dep. 20.6.2013, rv 255460, secondo cui, "in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell'indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie";
Cass. Sez. Fer. n. 47748 dell'11.8.2014, rv 261400).
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