Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 01/10/2004, n. 19721

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 01/10/2004, n. 19721
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 19721
Data del deposito : 1 ottobre 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. M S - Presidente -
Dott. B B - Consigliere -
Dott. D R A - Consigliere -
Dott. F R - Consigliere -
Dott. D I C - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P S, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA VALNERINA

40, presso lo studio dell'avvocato G S, difeso dagli avvocati A G, E M, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
C SA, CORTE BUONA SPA;



- intimati -


e sul 2^ ricorso n. 16794/02 proposto da:
C SA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA LUCREZIO CARO

12, presso lo studio dell'avvocato E D, che lo difende unitamente all'avvocato L T, giusta delega in atti;

- controricorrente e ricorrente incidentale -
e contro
P S;



- intimato -


avverso la sentenza n. 19/02 della Corte d'Appello di CATANIA, depositata il 24/01/02 R.G.N. 885/2000;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/07/04 dal Consigliere Dott. C D I;

udito l'Avvocato DNTE ENRICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO

Riccardo che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Silvestro P già agente della Montorsi Blasi s.p.a., premesso che il rapporto era stato unilateralmente e ingiustificatamente risolto dalla società, adiva il pretore giudice del lavoro di Catania per sentir condannare la suddetta società al pagamento in suo favore di una somma di danaro a titolo di indennità di mancato preavviso, indennità suppletiva di clientela, premio annuale per il 1994, rimborso spese, fatture e provvigioni non pagate, nonché di risarcimento del danno per l'ingiustificata risoluzione del contratto. Nel costituirsi, la società chiedeva l'integrale rigetto del ricorso e proponeva domanda riconvenzionale chiedendo la condanna del P al pagamento in suo favore di un somma di danaro per effetti cambiari rimasti insoluti, restituzione di somme indebitamente percepite, rimborso per merce consegnata a soggetto diverso del destinatario, risarcimento dei danni derivati dall'attività promozionale del P e provvigioni indebitamente percette.
Il pretore, previa riunione di altro procedimento relativo ad opposizione A decreto ingiuntivo emesso su istanza del P, condannava quest'ultimo al pagamento, in favore della società, della somma di L. 73.790.570, ritenendo compensati i rispettivi crediti delle parti fino alla concorrenza di L. 25.790.570.
La Corte d'Appello di Catania, decidendo sull'impugnazione principale proposta dal P e sull'impugnazione incidentale proposte dalla Cremonini spa (incorporante della Montorsi Blasi spa), le rigettava entrambe, confermando la sentenza di primo grado. In particolare, i giudici d'appello innanzitutto rilevavano: che era da escludere l'inammissibilità dell'impugnazione principale per intempestività della notifica, posto che nelle controversie soggette al rito del lavoro la proposizione dell'appello si perfeziona col deposito del ricorso presso la cancelleria del giudice "ad quem", che impedisce ogni decadenza;
che il termine di dieci giorni fissato dall'art. 415 c.p.c. per la notifica al convenuto del ricorso e del decreto non è
perentorio;
che la prima notifica alla "Montorsi Blasi spa", società incorporata da altra, poteva essere rinnovata ex art. 291 c.p.c., dovendosi escludere, atteso il tempestivo deposito del ricorso, ogni decadenza;
che la seconda notifica, alla "Cremonini spa, già Montorsi Blasi spa" (errata perché la Cremonini, incorporante, non era mai stata Montorsi Blasi, ma ne era successore universale) doveva ritenersi valida, atteso che l'errore formale non lasciava dubbi sulla posizione sostanziale del destinatario della notificazione e sul titolo legittimante la sua partecipazione al processo. Nel merito, i giudici d'appello, interpretando sistematicamente i contratti di agenzia intervenuti tra le parti nel 1990 e nel 1994, nonché gli accordi integrativi del 1992 e del 1994, affermavano che gli obiettivi di fatturato previsti nei suddetti accordi integrativi erano da ritenersi obiettivi "missimi", con riserva dell'azienda di annullare quanto stabilito se, dai controlli mensili effettuati, l'agente non risultava in linea con gli obiettivi, facoltà evidentemente collegata alla clausola risolutiva espressa prevista in entrambi i contratti di agenzia, e che, pertanto, non spettava al P ne' l'indennità di mancato preavviso ne' l'indennità suppletiva di clientela, essendo la società receduta per giusta causa in relazione ai risultati dell'agente "nettamente al di sotto degli obiettivi". La Corte d'Appello rilevava altresì: che non spettava al P il pagamento della provvigione premiale relativa al 1993, in quanto, dai conteggi effettuati dal c.t.u., risultava che neppure per quell'anno l'obiettivo minimo di fatturato era stato raggiunto;
che la domanda riconvenzionale proposta dalla società era ammissibile, non essendo necessario che la facoltà di proporre domanda riconvenzionale sia espressamente attribuita nella procura;

che la risoluzione del contratto determinata dal mancato raggiungimento del volume d'affari annuale minimo concordato comportava la caducazione della clausola prevedente l'impegno della società a corrispondere un anticipo provvisionale mensile in relazione agli obiettivi minimi di fatturato e pertanto le somme percepite a tale titolo andavano restituite dal P, essendo stata espressamente formulata dalla società domanda di condanna dell'agente al pagamento d L. 400.000.000 anche a titolo di "provvigioni indebitamente percette".
Con specifico riguardo al merito dell'impugnazione incidentale, infine, la Corte d'Appello rilevava che: l'indennità maneggio danaro era dovuta al P, essendo emerso che il predetto aveva curato gli incassi in maniera continuativa e per un consistente periodo di tempo, dovendo ritenersi tale indennità attribuibile senza poter fare distinzione tra contante e assegni;
che la somma di L. 15.000.000 di cui alla fattura n. 7 del 25.6.1993 non andava restituita dal P perché, secondo la dicitura "saldo provvigioni", era da imputarsi all'anno precedente e non al 1993;

che, infine, sulla base dell'esperita istruttoria, non poteva ritenersi provata la responsabilità del P ne' in relazione ai danni lamentati dalla società, ne' in relazione all'episodio di recapito di merci a soggetto diverso dal destinatario. Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione il P, la spa Cremonini resiste con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale condizionato;
entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell'art. 378 c.p.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE
Va innanzitutto disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, siccome proposti avverso la medesima sentenza. Col primo motivo del ricorso principale, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1369, 1371, 1453, 1456, 1458, 1175, 1375 e 1750 c.c., nonché vizi di motivazione, il P censura la sentenza impugnata per avere erroneamente ritenuto che l'accordo integrativo del 1994 prevedesse un obiettivo minimo di fatturato, al disotto del quale far scattare il licenziamento, mentre l'obiettivo indicato in tale accordo era invece collegato all'attribuzione eccezionale di un premio di fine anno, e per avere ritenuto altresì che il mancato raggiungimento dell'obiettivo comportasse la risoluzione del contratto, laddove era invece stabilito solo l'annullamento di quanto previsto nell'accordo stesso.
Secondo il ricorrente, inoltre, i giudici di merito avrebbero omesso di considerare che, nel comunicare con un telegramma il proprio recesso dal contratto di agenzia, la società non faceva alcun riferimento ai motivi del recesso o alla volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa, e che inoltre dichiarava di esonerare il P dal periodo di preavviso, precisazione che avrebbe dovuto indurre ad escludere che si trattava di un recesso per giusta causa. Col secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1369, 1371, 1218, 1223, 1453, 1458, e 1750 c.c. oltre che vizi di motivazione, il P censura la sentenza
impugnata per aver erroneamente escluso il suo diritto all'anticipo provvigionale fisso mensile, la cui erogazione era stata sospesa dalla società nei tre mesi antecedenti il recesso, atteso che la società non aveva mai proceduto all'annullamento dell'accordo integrativo del 1994 e che, sulla base di tale accordo, l'anticipo provvigionale era dovuto per tutto il 1994 o almeno fino alla data di cessazione del rapporto, non potendosi avere una sospensione unilaterale del suddetto anticipo ed essendo questo conguagliabile solo "in positivo".
Col terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 83, 84, 414, e 416 c.p.c., nonché vizi di motivazione il P censura la sentenza impugnata per avere ritenuto ammissibile la domanda riconvenzionale proposta dalla società senza considerare che la facoltà di proporre domande riconvenzionali e di chiamare terzi in garanzia deve essere espressamente riconosciuto al procuratore a pena di nullità, qualora la procura sia rilasciata, come nella specie, in calce alla copia notificata dell'atto introduttivo del giudizio.
Col quarto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt 99, 112 e 416 c.p.c., nonché degli artt. 1241, 1242 e 1243 c.c., oltre che vizi di motivazione, il P censura la sentenza
impugnata per avere erroneamente ritenuto che egli dovesse restituire le somme percepite a titolo di anticipo provvigionale per i mesi da gennaio ad agosto 1994, senza considerare che tali somme erano dovute perché non era stato annullato l'accordo integrativo, che prevedeva il conguaglio delle medesime solo "in positivo", e che, in ogni caso, non era stata proposta domanda in tal senso dalla società che, chiedendo il risarcimento del danno per gli "sconti" concessi dal P e le provvigioni indebitamente percette, intendeva evidentemente riferirsi alle provvigioni relative alla concessione dei suddetti sconti.
Secondo il ricorrente, inoltre, la società non aveva sollevato tempestiva eccezione di compensazione (da qualificarsi come eccezione in senso stretto), ne' poteva il giudice provvedere alla compensazione (anche impropria) dei crediti vantati dalle parti senza una rituale ed espressa richiesta della parte interessata alla compensazione, nella specie mancante.
Col primo motivo del ricorso incidentale, deducendo violazioni a falsa applicazioni degli artt. 421 e 291 c.p.c., la società censura la sentenza impugnata rilevando che il ricorso era stato proposto e notificato ad un soggetto estraneo al rapporto sostanziale e processuale (la società incorporata), onde l'impugnazione doveva ritenersi inesistente e insuscettibile di sanatoria;
che, nella specie, la notifica era stata rinnovata dopo il decorso del termine annuale, senza che i giudici di appello considerassero che la "sanatoria" non poteva, comunque, intervenire "ex tunc";
che, infine, anche la seconda notifica doveva ritenersi viziata in quanto diretta alla "Cremonini spa, già Montorsi Blasi spa", senza considerare che la Cremonini non era mai stata Montorsi Blasi spa, era intervenuta in giudizio quale successori universali della predetta, a seguito di incorporazione.
Col secondo motivo, deducendo violazione a falsa applicazione degli artt. 1744 e 1749 c.c., oltre che vizi di motivazione, la società ricorrente incidentale censura la sentenza impugnata per aver affermato che al P spettava l'indennità maneggio danaro senza considerare: che per i clienti della grande distribuzione i pagamenti avvenivano con bonifico diretto e solo raramente con assegni;
che nell'arco di tre anni vi era stato l'invio solo di 35 assegni;
che, infine, l'attività svolta in proposito dal P non era riconducibile al concetto di maneggio di danaro, presupponente una regolare attività di incasso del fatturato. Col terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1746, 1748 e 1749 c.c., oltre che vizi di motivazione, la Cremonini s.p.a. censura l'impugnata sentenza per avere i giudici d'appello ritenuto che la somma di L. 15.000.000 corrisposta al P nel giugno 1993 fosse relativa all'anno precedente, mentre invece tale somma fu richiesta dal P a titolo di premio anticipato con riferimento all'anno 1993, come desumibile anche dal fatto che la dicitura a stampa "saldo provvigioni" venne sostituita con la scritta a mano "premio concordato". A tale proposito, i giudici d'appello avrebbero errato nel non considerare, per un verso, che, in caso di contrasto la scritta a mano deve prevalere su quella a stampa e, per altro verso, che le competenza relativa al 1992 erano già state corrisposte interamente.
Con l'ultimo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2746 e 1747 c.c., oltre che vizi di motivazione, la società censura la sentenza impugnata per avere i giudici d'appello ritenuto non raggiunta la prova in ordine alle responsabilità del P relativamente sia alla consegna di merce a persona diversa dal destinatario, sia al danno patrimoniale arrecato alla società, benché tali responsabilità emergessero delle prove testimoniali e documentali acquisite, ed, inoltre, per non avere ammesso, sul punto, i capitoli di prova reiteratamente richiesti dalla medesima società. Entrambi i ricorsi sono in parte infondati e in parte inammissibili e vanno pertanto rigettati.
In particolare, con riguardo ai primi due motivi del ricorso principale, è da rilevare che con essi il P si limita a criticare genericamente l'interpretazione operata dal giudice di merito in relazione ad alcuni atti di autonomia privata (i contratti di agenzia, gli accordi integrativi e, persino, il telegramma di comunicazione del recesso da parte della società), inammissibilmente limitandosi a contrapporre una propria "lettura" di tali atti in contrasto con quella fatta propria dal giudice di merito, e ciò senza neppure riportare integralmente in ricorso il contenuto dei suddetti atti di autonomia, così in ogni caso impedendo a questo giudice (che la natura dei vizi dedotti non autorizza alla lettura integrale degli atti processuali) di valutare la portata delle prospettate censure (v. sul punto, tra moltissime altre, Cass. n. 10041 del 2001 e n. 5359 del 2004). Con riguardo al terzo motivo di ricorso, è da rilevare che, secondo la costante giurisprudenza di questo giudice di legittimità, il mandato alle liti "attribuisce al difensore il potere di proporre tutte le domande che siano ricollegabili con l'originario oggetto e quindi anche le domande riconvenzionali, prescindendo dall'atto su cui risulta apposta la procura (e perciò) anche se in calce o a margine della copia notificata della citazione" (così testualmente cass. n. 4744 del 1998 e, nello stesso senso, cass. n. 4356 del 2000;
Cass. n. 1793 del 1995;
n. 52 del 1977;
n. 3284 del 1975
). Premesso inoltre che, nella specie, le domande proposte in via riconvenzionale dalla società sono ricollegabili con l'oggetto originariamente introdotto dalla domanda principale, in quanto anch'esse traggono origine dal rapporto di agenzia intercorso tra le parti, è da rilevare che non risultano conferenti le sentenze citate a sostegno della propria tesi dal ricorrente principale, atteso che la prima di esse (cass. n. 263 del 1986) si riferisce ad ipotesi in cui il difensore di uno dei convenuti aveva introdotto nei confronti di altro convenuto (e non dell'attore, perciò con esclusione di "riconvenzionale" in senso tecnico) una domanda basata su di un rapporto e distinto rispetto a quello dedotto in giudizio dall'attore, e la seconda (Cass. n. 12233 del 1998) si riferisce a chiamata di terzo in garanzia e non a domanda riconvenzionale. Con riguardo al quarto motivo di ricorso, è da rilevare che l'affermazione del diritto all'anticipo provvigionale anche in assenza di raggiungimento degli obiettivi (per non esser stato annullato l'accordo integrativo e per essere stato previsto un conguaglio solo in positivo dei suddetti anticipi) ripropone le medesime problematiche di interpretazione dell'accordo integrativo e della volontà manifestata dalla società) già affrontate nel secondo motivo di ricorso, alla cui trattazione si rimanda. Quanto al dedotto vizio di ultrapetizione, è da rilevare che, pur implicando l'interpretazione della domanda giudiziale un giudizio di fatto demandato al giudice di merito e censurabile in cassazione solo sotto il profilo del vizio di motivazione, la Corte di Cassazione deve procedere alla interpretazione diretta degli atti qualora si prospetti che il giudice di merito abbia pronunciato su domande non proposte o "ultra petita", e manchi un, sia pur sintetico, contributo del giudice di merito sul piano ermeneutico, ovvero risulti, attraverso il controllo della correttezza e congruità della motivazione, la censurabilità in concreto dell'operato del giudice di merito nella interpretazione della domanda (v. Cass. n. 704 9 del 2001). Nella specie, tuttavia, non si ravvisa la sussistenza delle condizioni da ultimo evidenziate, posto che il giudice di merito ha espressamente motivato sul punto (rilevando che la società aveva chiesto in via riconvenzionale una somma di danaro anche a titolo di provvigioni indebitamente precette) e che tale motivazione appare congrua e indenne da vizi, anche tenendo presente, per un verso, che nell'interpretazione della domanda il giudice non deve avere riguardo solo al contenuto dell'atto introduttivo, ma anche al comportamento delle parti nel corso del processo e ai mezzi istruttori offerti (v. Cass. n. 822 del 2004) e, per altro verso, che il ricorrente si è limitato a criticare l'interpretazione accolta nella sentenza impugnata, proponendo una propria, più restrittiva, lettura della richiesta di restituzione delle provvigioni indebitamente precette, imputata solo alle provvigioni relative alla campagna di "sconti" voluta dall'agente e non anche a quelle anticipate con riguardo a periodi per i quali non erano poi stati raggiunti gli obiettivi prefissati.
Venendo infine alla deduzione della mancata proposizione della eccezione di compensazione e, in ogni caso, della mancata richiesta al giudice, da parte dell'interessato, di compensazione, anche impropria, è da rilevare che, quando, come nella specie, non sussiste l'autonomia dei rapporti cui si riferiscono i contrapposti crediti delle parti, ma i reciproci crediti e debiti hanno origine da un unico rapporto, è configurabile una compensazione c.d. "impropria", nella quale la valutazione delle reciproche pretese comporta soltanto un semplice accertamento contabile di dare e avere al quale il giudice può procedere senza che sia necessaria l'eccezione di parte o la proposizione di domanda riconvenzionale (v., da ultimo, Cass. n. 6214 del 2004;
n. 5363 del 2004;
n. 16561 del 2002
). Venendo ora all'esame del ricorso incidentale, con riguardo al primo motivo è innanzitutto da rilevare che dagli atti processuali (esaminati direttamente da questo giudice in relazione alla deduzione di errores in procedendo) risulta che il ricorso in appello fu diretto e notificato alla "Montorsi Blasi spa, oggi Corte Buona spa" presso gli avvocati che avevano assistito la Montorsi in primo grado e che la Corte Buona spa si costituì in giudizio e, pur affermando la propria estraneità al rapporto processuale, affermò che la s.r.l. Casina della Rose aveva incorporato la Montorsi e in ogni caso, dedusse il passaggio in giudicato della sentenza essendo trascorso oltre un anno dalla sua pubblicazione.
Il ricorso in appello risulta dunque diretto alla Montorsi Blasi spa indicata con la sua sede sociale, e l'atto medesimo è stato notificato ai difensori (e domiciliatari) della Montorsi in primo grado, pertanto, nonostante l'atto contenga anche l'indicazione della società Corte Buona, deve ritenersi che, pure dopo l'avvenuta incorporazione sia stata ancora citata in giudizio la società incorporata (non più esistente) in luogo della incorporante, ipotesi nella quale la costante giurisprudenza di questo giudice ravvisa la nullità e non l'inesistenza dell'atto (v. tra molte altre, Cass. n. 5715 del 2003 n. 554 del 2004 e n. 10157 del 2004);
tale nullità può essere sanata con la costituzione in giudizio della società incorporante e, come rilevato dalla ricorrente incidentale, nella specie tale sanatoria avviene ex nunc, senza che, tuttavia, possa configurarsi alcuna decadenza dall'impugnazione. Invero, secondo la pacifica giurisprudenza di questo giudice di legittimità, nelle controversie soggette al rito del lavoro la proposizione dell'appello si perfeziona, ai sensi dell'art. 435 c.p.c., con il deposito tempestivo del ricorso presso la cancelleria del giudice "ad quem" deposito che impedisce ogni decadenza dall'impugnazione (v. tra numerosissime altre, Cass. n. 11211 del 2003; SU n. 7901 del 2003;
Cass. n. 7032 del 2003;
Cass. n. 9645 del 2000). Pertanto, restando logicamente distinti la tempestività dalla intrinseca validità dell'atto, è da ritenere che quando, come sulla specie, sia intervenuto tempestivamente il deposito di un ricorso "esistente" (ancorché, in ipotesi viziato) sia da escludere ogni decadenza dall'impugnazione, non rilevando, perciò, ne' che la sanatoria dell'atto intervenga successivamente (ed, eventualmente, con effetto ex nunc) ne' che la notifica del suddetto atto, successiva a quella nulla o inesistente rinnovata per ordine del giudice ex art. 421 c.p.c., si perfezioni anche oltre l'anno dalla pubblicazione della sentenza impugnata.
Per quanto concerne poi la seconda notificazione del ricorso in appello, a parere della ricorrente incidentale viziata perché riferita alla "Cremonini spa già Montorsi Blasi spa" mentre la Cremonini non era mai stata Montorsi Blasi spa, ma di tale ultima società era incorporante, è da rilevare che, come già evidenziato dal giudice d'appello, nella specie si tratta di un errore formale che non lascia dubbi sull'individuazione del destinatario della notificazione e che, in ogni caso, qualunque eventuale vizio resterebbe sanato dal fatto che l'atto ha pienamente raggiunto il proprio scopo, essendosi la società Cremonini spa costituita per tempo in giudizio, difendendosi anche nel merito della proposta impugnazione.
In relazione al secondo motivo del ricorso incidentale, è da rilevare che, poiché l'indennità di maneggio danaro costituisce istituto di derivazione esclusivamente contrattuale, le condizioni per l'insorgenza del relativo diritto in capo al lavoratore vanno individuate sulla base dell'interpretazione della specifica disciplina del contratto collettivo applicabile al rapporto (v. Cass. n. 7953 del 2004), pertanto, ove la società avesse voluto
ammissibilmente censurare la sentenza impugnata per aver ritenuto rientranti al concetto di "maneggio di danaro" le attività svolte del P avrebbe dovuto riportare in ricorso per esteso la relativa disposizione contrattuale e, sulla base di essa, evidenziare i canoni legali di ermeneutica contrattuale violati dal giudice nella interpretazione della suddetta clausola, nonché i vizi logici della connessa motivazione, senza limitarsi ad una critica generica che si sostanzia nella esposizione apodittica di un'opinione diversa da quella espressa nella sentenza impugnata. Peraltro, ove dovesse ritenersi che nel motivo in esame la società ricorrente abbia inteso censurare l'accertamento in fatto operato in proposito dal giudice di merito, rilevando che i pagamenti avvenivano con bonifico diretto e solo raramente con assegni, la medesima avrebbe dovuto indicare le prove (testimoniali e/o documentali) dalle quali tanto risulterebbe, e, soprattutto avrebbe dovuto riportare integralmente in ricorso il testo o il verbale relativo alle suddette prove, per consentire a questo giudice una valutazione delle medesime. Nel terzo motivo del ricorso incidentale, in relazione alla somma di L. 15.000.000 corrisposta al P nel giugno 1993, la società ricorrente critica il convincimento del giudice (secondo il quale tale somma concernerebbe provvigioni relative all'anno 1992) in quanto il suddetto giudice non avrebbe considerato che per l'anno precedente le provvigioni erano già state pagate e che la dicitura a stampa "saldo provvigioni" era stata sostituita con la scritta "premio concordato", scritta che essendo a mano, doveva prevalere su quella a stampa. A parere di questo giudice la decisione d'appello sul punto è fondata su di una motivazione sufficiente e logica, laddove le argomentazioni della ricorrente sono prive del carattere della decisività, atteso, in particolare, che non vengono in ricorso indicati e integralmente riportati gli elementi probatori (testimoniali e documentali) dai quali risulterebbe che tutte le provvigioni dal 1992 erano già state pagate e che non viene riportato per esteso il contenuto della ricevuta relativa alla somma di danaro in esame, impedendo così a questo giudice (che la natura della censura non abilita alla lettura diretta degli atti processuali) di valutare il rapporto esistente tra le diverse scritte su di essa riportate, e quindi il valore attribuibile a ciascuna, atteso che, a differenza di quanto sembra ritenere parte ricorrente, il principio della prevalenza delle clausole manoscritte (o dattiloscritte) su quelle stampate opera soltanto con riferimento ai contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari. Infine, con riguardo al quarto ed ultimo motivo di ricorso, è sufficiente osservare che la società ricorrente censura la sentenza impugnata per aver il giudice ritenuto non provata la responsabilità del P per i danni arrecati alla medesima ricorrente e per la consegna di merce a soggetto diverso dal destinatario, ma non indica sulla base di quali elementi probatori acquisiti al processo tale responsabilità doveva invece ritenersi provata, ne' riporta il testo integrale di tali prove (meglio, dei relativi verbali) nel ricorso, nè infine, riporta in ricorso le circostanze sulle quali avrebbero dovuto deporre i testimoni dei quali lamenta la mancata ammissione, impedendo così a questo giudice di valutare la decisività dei fatti da provare (v. sul punto, tra numerose altre. Cass. SU n. 1988 del 1998 e Cass. n. 5945 del 1999). Per tutto quanto sopra esposto, entrambi i ricorsi vanno rigettati. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese della presente fase di giudizio.

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