Cass. pen., sez. I, sentenza 19/03/2019, n. 12131

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. I, sentenza 19/03/2019, n. 12131
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 12131
Data del deposito : 19 marzo 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELO DI TRIESTEnel procedimento a carico di: MEYE SOLOMON nato il 19/02/1977 avverso la sentenza del 20/03/2018 del GIUDICE DI PACE di TOLMEZZOvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere M V;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale EISABETTA CESQUI che conclude per l'inammissibilita' del ricorso RITENUTO IN FATTO I. Con sentenza emessa il 20 marzo 2018 il Giudice di pace di Tolmezzo assolse, per mancanza di colpa, S M (di nazionalità sudanese) dall'accusa di avere commesso fino al 2 aprile 2017, il reato, accertato in Tarvisio, di cui all'art. 14, comma 5-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998 (inadempimento a ordine di lasciare il territorio dello Stato nei suoi confronti emesso dal Questore di Udine il 3 ottobre 2016 in applicazione del comma 5-ter, terzo periodo, dello stesso art. 14).

1.1 A fondamento di tale decisione, dopo avere qualificato Il reato contestato come "contravvenzione", si afferma che: al momento dell'accertamento del fatto (avvenuto il 2 aprile 2017) l'imputato viaggiava a bordo di un treno diretto in Austria;
ciò evIdenziava la sua volontà di lasciare il territorio dello Stato, non anche quella di trattenersi illegalmente in Italia.

2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Udine che: eccepisce questione di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3, 25, 27 e 111 Cost., dell'art. 606, comma 2-bis, cod. proc. peni, introdotto dall'art. 5 del d.lgs. n. 11 del 2018, sul rilievo che la eliminazione della possibilità per il pubblico ministero di far valere vizi di motivazione delle sentenze di proscioglimento emesse dal giudice di pace "priva la pubblica accusa di ogni potere di verifica della corretta lettura dei dati di fatto e della coerente valutazione delle prove, determinando un "vulnus" al corretto esercizio del potere giurisdizionale";
deduce che la motivazione della sentenza relativa all'affermata mancanza dell'elemento psicologico del reato all'imputato contestato è, ad un tempo, manifestamente illogica ed in violazione della legge penale, dal momento che la presenza in Italia dell'imputato era volontaria, essendo stato a lui notificato il 3 ottobre 2016 ordine del Questore di allontanamento dal territorio dello Stato entro sette giorni dalla notificazione, con conseguente non refluenza sull'elemento soggettivo del reato del luogo verso cui, il 2 aprile 2017, egli era diretto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Dal contenuto del capo di imputazione trascritto nella sentenza impugnata risulta che a Meye venne contestato il reato previsto dall'art. 14, comma 5-quater, del d.igs. n. 286 del 1998 (di seguito indicato come "t.U. immigrazione") per essersi trattenuto, senza giustificato motivo, nel territorio dello Stato, non avendo egli adempiuto, fino al 2 aprile 2017 (giorno di accertamento del fatto), all'ordine di lasciare il territorio dello Stato nei suoi confronti emesso dal Questore di Udine il 3 ottobre 2016, a lui notificato lo stesso giorno. La citata disposizione del t.u. immigrazione, nel testo risultante dalla sostituzione del contenuto di tale articolo operata dall'art. 3, comma 1, lett. d), ›),( del decreto- legge n. 89 del 2011, convertito, con modificazioni, nella legge n. 129 del 2011, punisce con la multa da 15.000 a 30.000 curo (contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, il comportamento sanzionato dalla norma costituisce delitto: art. 17, primo comma, n. 4), cod. pen.) la violazione da parte dello straniero (non cittadino di uno degli Stati membri dell'Unione europea) dell'ordine dai questore disposto in applicazione del comma 5-ter, terzo periodo, dello stesso art. 14. Per quanto qui interessa: l'art. 4, comma 2, lett. s-ter), del d.lgs. n. 274 del 2000 (introdotto dall'ad. 4 del citato decreto-legge n. 89 del 2011, convertito, con modificazioni, nella legge n. 129 del 2011) attribuisce al giudice di pace la competenza a conoscere del delitto in discussione;
alla luce del contenuto precettivo dei commi 1 e 2 del successivo art. 36 dello stesso decreto n. 274, il pubblico ministero è legittimato a proporre solo ricorso per cessazione contro le sentenze di proscioglimento emesse dal giudice di pace (in questo senso, cfr., per tutte: Cass. Sez. 5, n. 19331 del 30 aprile 2012, D F, Rv. 252902);
parallelamente, il successivo art. 37, comma 2, legittima l'imputato a proporre solo ricorso per cessazione contro le sentenze di condanna del giudice di pace che applicano la sola pena pecuniaria. La limitazione del potere di impugnazione del pubblico ministero è stata ritenuta conforme ai precetti costituzionali (Corte cost., sent. n. 298 del 2008, ord. n. 42 del 2009) Rispetto alle decisioni del giudice di pace teste citate (proscioglimento dell'imputato;
condanna dell'imputato a pena pecuniaria) il codice di rito e la legge processuale speciale relativa al procedimento penale avanti il giudice di pace non contengono limitazioni di sorta quanto ai motivi, indicati dall'art. 606, comma 1, cod. proc. pen., che pubblico ministero ed imputato possono dedurre a fondamento del ricorso per cessazione contro tali sentenze. In particolare, nel ricorso per cessazione contro sentenza di proscioglimento emessa dal giudice di pace il pubblico ministero ben può dedurre che la relativa motivazione sia caratterizzata dal vizio indicato dall'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. Tale disciplina è oggi vigente anche a seguito delle modificazioni recate dal d.igs. n. 11 del 2018 alla disciplina delle impugnazioni nel processo penale. Invero: l'art. 5 del citato decreto del 2018 ha disposto l'inserimento net testo dell'ad. 606 cod. proc. pen. dei comma 2-bis, secondo cui contro le sentenze di appello pronunciate per reati di competenza del giudice di pace, il ricorso per cessazione "può essere proposto soltanto per i motivi di cui al comma 1, lettere a), b) e c)", dello stesso art. 606;. parallelamente, il successivo art. 9 dello stesso decreto ha disposto l'inserimento nel testo del cligs. n. 274 del 2000 dell'art. 39-bis, secondo cui 'contro te sentenze pronunciate in grado d'appello il ricorso per cessazione può essere proposto soltanto per i motivi di cui all'articolo 606, comma 1, lettere a), b) e c), del codice di procedura penale". La limitazione recata dalla "novella" quanto ai vizi deducibili, dai pubblico ministero ovvero dall'imputato, con il ricorso per cessazione riguarda dunque solo le sentenze definitive di giudizi di appello contro sentenze emesse dal giudice di pace. Alla luce della sintetica ricostruzione del quadro normativo teste operata, risulta evidente la manifesta infondatezza, per difetto di rilevanza, dell'eccezione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente, non trovando applicazione la limitazione recata dall'art. 606, comma 2-bis, cod. proc. pen. e dall'art. art. 39-bis del d.lgs. n. 274 del 2000 quanto al ricorso per cessazione proposto dal pubblico ministero contro sentenza di proscioglimento dell'imputato emessa dal giudice di pace.
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