Cass. pen., sez. V, sentenza 02/02/2023, n. 04541

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. V, sentenza 02/02/2023, n. 04541
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 04541
Data del deposito : 2 febbraio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

a seguente SENTENZA sul ricorso proposto da M M S, nato a Barcellona Pozzo di Gotto (ME), il 20/05/1969, avverso la sentenza della Corte di Appello di Messina emessa in data 02/12/2020;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere dott.ssa R C;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale P L, che ha chiesto l'inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni scritte dell'avv.to F R, difensore della parte civile, che ha chiesto l'inammissibilità o il rigetto del ricorso, allegando nota spese.

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Messina, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto in composizione monocratica in data 10/10/2018, con cui M S M era stato condannato a pena di giustizia, oltre che al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile, per il reato di cui all'art. 595 cod. pen., in danno di C L O, commesso il 13/04/2011, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'imputato per essere il reato estinto per prescrizione, confermando la sentenza agli effetti civili.

2. In data 28/05/2021 M S M ricorre, a mezzo del difensore di fiducia, avv.to U C, deducendo tre motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.: 2.1 violazione di legge, in riferimento all'art. 595 cod. pen., vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, lett. h) ed e) cod. proc. pen., in quanto risulta provata la circostanza che esisteva un'attività di controllo illecito da parte di soggetti riconducibili alla mafia barcellonese nei confronti del M, al fine di costruire artatamente fatti di reato al predetto astrattamente ascrivibili, allo scopo di screditarlo, il che avrebbe reso doveroso, da parte degli inquirenti, verificare quali fossero i MAC address dei vari pc in uso alla società Co.Ge.Mar. s.r.l. e quello del portatile in uso all'imputato, il che avrebbe consentito di accertare la provenienza del commento del 13/04/2011 pubblicato sul sito www.enricodigiacomo.ot oltre che sul blog di S A;

2.2 violazione di legge, in riferimento all'art. 595 cod. pen., vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen., in quanto risulta che le comunicazioni concernenti l'O fossero vere, alla luce della documentazione prodotta già in primo grado e del testimoniale, in quanto l'O aveva sostenuto, con molteplici articoli su La Gazzetta del Sud di Messina, la sostituzione del La Rosa, in coincidenza con gli interessi di soggetti vicini al clan mafioso D'Amico, così come emerge dalle intercettazioni che la sorella dell'O era stata assunta presso l'AIAS;

2.3 violazione di legge, in riferimento all'art. 578 cod. proc. pen., 6, comma 2, CEDU, 117 Costituzione, 3 e 4 Direttiva 2016/UE/343 e 48 Carta dei diritti fondamentali UE, vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen., in quanto la sentenza impugnata, pur avendo rilevato la prescrizione del reato, ha confermato le statuizioni civili, essendo stata sollevata dalla Corte di Appello di Lecce questione di legittimità costituzionale dell'art. 578 cod. pen., alla luce delle pronunce della Corte EDU citate nella predetta ordinanza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso di M S M è inammissibile.

1.11 M è stato ritenuto responsabile della condotta diffamatoria in danno di C L O, affermando che questi, esercente la professione di giornalista presso il quotidiano La Gazzetta del Sud, aveva "preso le difese di una parte dei mafiosi barcellonesi", collegando detta affermazione alla notizia secondo la quale la sorella dell'O era stata assunta presso l'AIAS grazie al fratello;
inoltre, all'O erano attribuiti stretti rapporti con gli avvocati R e C, che manipolavano le dichiarazioni del collaboratore di giustizia B, nonché con l'onorevole S A, che si era baciata con l'onorevole C in attesa che le fosse data una candidatura;
infine, era stato affermato che l'O abitava presso un'abitazione di proprietà dell'avv.to L P, facendo parte insieme a quest'ultimo, nonché con i predetti R, C ed A, di un gruppo, facendo intendere come l'O stesso avesse attuato una manipolazione della verità a scopo economici e ricattatori, essendo un soggetto dedito al malaffare. Tali affermazioni erano state scritte sotto lo pseudonimo "Totò C" e pubblicate sul blog www.enricodigiacomo.orq, nonché sul sito internet www.sonialfano.it 2. Quanto al primo motivo di ricorso, lo stesso appare del tutto versato in fatto, oltre che reiterativo di analoga doglianza proposta in sede di gravame. Sul punto la sentenza impugnata ha osservato che, benché la rete wi-fi della Co.Ge.Mar. s.r.I., utilizzando la quale era stato inviato il messaggio, non fosse protetta da alcuna password, già il primo giudice aveva rilevato come - sulla base delle stesse dichiarazioni rese dall'imputato - non fosse possibile individuare l'utenza da cui il messaggio era partito, in quanto la sede della società si trovava all'interno di un edificio che ospitava anche studi professionali, per cui non era possibile individuare l'utilizzatore della rete;
inoltre, sia il primo giudice che la Corte di merito hanno osservato come nessun altro, al di fuori dell'imputato, avrebbe potuto avere un interesse ad inviare il messaggio, in quanto i dipendenti della Co.Ge.Mar. s.r.l. erano soggetti del tutto estranei alla vicenda, mentre il padre del M non era risultato in grado di utilizzare strumenti elettronici, ed il fratello era risultato ignorare persino il contenuto dello scritto anonimo. Peraltro, la sentenza impugnata ha rilevato come il contenuto del messaggio contenesse una frase da cui emergeva che il M aveva reso dichiarazioni sui boss D S e Rao, circostanza che poteva essere conosciuta solo all'interno del circuito giudiziario in cui le dichiarazioni stesse erano state rese, e che, pertanto, conteneva una valenza individualizzante di colui che avrebbe potuto diffonderla, non essendo emerso che le dichiarazioni del M ai magistrati fossero circolate comunque. La circostanza che il M avrebbe potuto essere intercettato da parte di privati è stata, altresì, esaminata dalla Corte di merito, che ha ricordato come tale possibilità, ventilata da Francesco D'Amico come proposito maturato all'interno della cosca omonima, fosse rimasta a livello di intenti ed avrebbe, in ogni caso, implicato una indimostrata convergenza di interessi tra i clan A e D'Amico, storicamente contrapposti, evidenziando, tra l'altro, l'anomalia del mezzo utilizzato, in quanto se S A fosse stata coinvolta nell'invio del messaggio, ella avrebbe screditato anche se stessa, alla luce del contenuto del messaggio stesso;
infine, la Corte di merito ha evidenziato come la versione difensiva si fondi su di una sproporzione tra le condotte che la mafia barcellonese avrebbe dovuto porre in essere, rispetto allo scopo, limitato e del tutto sottodimensionato, di determinare una accusa per diffamazione ai danni del M. Tale motivazione appare più che esaustiva in termini di logica argomentativa, sia in quanto mette in luce la natura meramente esplorativa dell'indagine sollecitata dalla difesa, prima in appello e poi in sede di legittimità, sia in quanto rende una spiegazione coerente con le risultanze processuali in merito all'individuazione del M quale unico soggetto che aveva un interesse alla diffusione del messaggio, alla luce delle reciproche denunzie tra Maurizio M e S A, in termini neanche contestati in ricorso. Peraltro, la Corte territoriale ha valutato la implausibilità della versione difensiva anche alla luce del fatto che il M, dopo aver denunciato due pericolosi esponenti della mafia barcellonese, tacendo, però, i suoi rapporti con i capi storici della consorteria, aveva appreso che proprio Carmelo B aveva, a sua volta, cominciato a collaborare con gli inquirenti, temendo, quindi, che questi potesse riferire dei suoi pregressi rapporti con il capo storico S D S, per cui si era determinato a rendere dichiarazioni anche nei confronti del D S. Contemporaneamente, il M doveva fare fronte alle accusa provenienti da S A, che lo accusava di essere intraneo alla vecchia mafia barcellonese, sollecitando gli inquirenti a non dare credito alle propalazioni dell'imprenditore, dal che erano scaturite reciproche querele.
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