Cass. civ., sez. III, ordinanza 10/02/2023, n. 04247
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Testo completo
ORDINANZA sul ricorso iscritto al n. 12963/2019 R.G. proposto da: COLABETON S.P.A. (già S.R.L.U.), in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall'avv. M M, elettivamente dorniciliata presso il suo studio in Roma, Piazza di S. Andrea della Valle, n. 3 - ricorrente -contro EUROASFALTI S.R.L., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall'avv. F P, domiciliata per legge in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione - contro ricorrente - avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma n. 7015/2018, pubblicata in data 6 novembre 2018;udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 dicembre 2022 dal Consigliere dott.ssa P A P C Fti di causa 1. Il Tribunale di Frosinone, con sentenza n. 966/2009, rigettò la domanda di risoluzione del contratto di affitto di azienda, avente ad oggetto l'impianto di produzione di calcestruzzo sito in Veroli, e quella di condanna della concedente Euroasfalti s.r.l. a riprendersi l'azienda ed a restituire la somma di euro 50.400,00 quale canone pagato per l'anno 2005, proposte dalla società Colabeton s.p.a. 2. La Corte d'appello, dinanzi alla quale venne impugnata la sentenza di primo grado, dichiarò improcedibile il gravame. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18590/2014, cassò la sentenza, rinviando alla Corte di Appello di Roma. Il giudizio è stato riassunto dalla Colabeton s.p.a., che ha insistito nella domanda di risoluzione del contratto, in ragione dell'esistenza di vizi tali da rendere l'opificio inidoneo all'uso pattuito e all'attività produttiva cui era destinato, e, comunque, per grave inadempimento della controparte, chiedendo altresì che fosse accertato l'obbligo in capo alla Euroasfalti s.r.l. di riprendere in consegna l'azienda o l'opificio. A fondamento della domanda la società affittuaria aveva dedotto che: a) dopo avere iniziato ad utilizzare l'impianto, con verbale del 10 febbraio 2005, l'Arpa Lazio aveva contestato il superamento dei limiti di inquinamento acustico durante l'esercizio dell'attività produttiva ed il Comune di Veroli aveva ordinato la sospensione dell'attività, al fine di consentire di presentare un piano di risanamento acustico;b) aveva successivamente appreso che il provvedimento di autorizzazione per la riattivazione dell'impianto, rilasciato dal Comune di Veroli alla società G.I.M s.r.I., precedente gest:ore dell'azienda, scadeva in data anteriore alla prima scadenza del contratto di affitto e che l'area su cui insisteva l'impianto era sottoposta a vincolo paesaggistico ed era stata dichiarata di interesse pubblico;c) la Soprintendenza regionale aveva negato l'autorizzazione per l'esecuzione delle opere per il risanamento acustico perché l'area ricadeva in zona vincolata e perché l'impianto era stato autorizzato per una durata limitata di due anni e con obbligo di rimessa in pristino, previa demolizione dello stesso, alla fine del limite temporale. 3. La Corte d'appello di Roma, quale giudice di rinvio, con la sentenza qui impugnata, nel rigettare il gravame, ha osservato che: a) non potesse configurarsi inadempimento in capo alla società concedente, poiché l'affittuaria, avendo preso visione dell'impianto, lo aveva ritenuto idoneo all'uso «come visto e piaciuto»;b) l'attività era stata interrotta dall'Arpa Lazio in ragione del superamento dei limiti dell'inquinamento acustico e, dunque, per fatto addebitabile al tipo di attività esercitata nell'immobile„ ed il Comune di Veroli aveva disposto la sospensione dei lavori nell'impianto per avere accertato la mancanza di voltura dell'autorizzazione della precedente società;c) nessun obbligo era stato assunto dalla concedente in ordine al rilascio dell'autorizzazione per l'esercizio dell'attività e che era irrilevante la abusività dell'opificio;d) costituiva domanda nuova quella di risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta. 4. Colabeton s.p.a. propone ricorso per la cassazione della suddetta decisione, sulla base di quattro motivi. Euroasfalti s.r.l. resiste con controricorso. 5. La trattazione è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell'art. 380-bis.1. cod. proc civ.Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380-bis.1. cod. proc. civ. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso, articolato in paragrafi, - rubricato: «Error in íudicando nell'applicazione delle norme sostanziali di cui agli artt. 1325, n. 2, 1346 e 1418, secondo comma, cod. civ. — conseguente violazione e falsa applicazione di norme di legge, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» — la ricorrente censura la decisione impugnata nella parte in cui la Corte d'appello ha rigettato la domanda di risoluzione contrattuale, ritenendo irrilevante la sussistenza del vincolo paesaggistico sull'area su cui insisteva l'opificio e richiamando la sentenza di questa Corte n. 22312 del 2007. Premette che l'oggetto del contratto di affitto di azienda era costituito dal complesso aziendale, avente ad oggetto la produzione e la vendita di calcestruzzo ed affini, e che si è vista inibire la prosecuzione dell'attività produttiva dell'opificio, avendo ricevuto il diniego amministrativo alla realizzazione delle opere necessarie al risanamento, in quanto il complesso di fabbricati e strutture di cui era composto l'opificio risultava ricompreso in area, non soltanto sottoposta a vincolo paesaggistico, ma anche dichiarata «di notevole interesse pubblico ex lege n. 1498/39», tanto che la Soprintendenza Regionale, con decreto del 22 dicembre 2005, aveva sottolineato che le opere ricadevano in ambito territoriale della Regione Lazio, classificato ai fini della tutela come area di «Tutela specifica di tipo la», per la quale valevano le previsioni di cui all'art. 22 delle N.T.A. del P.T.P. n. 11, che escludevano la compatibilità delle strutture in oggetto con il contesto e, quindi, la conformità delle stesse alla normativa;in sostanza, l'impianto di produzione di calcestruzzo non poteva essere riattivato, essendo abusivo e non sanabile. Di conseguenza, prosegue la ricorrente, l'inidoneità del bene alla destinazione produttiva integra una ipotesi di impossibilità giuridica dell'oggetto del rapporto, atto a rendere quest'ultimo privo di causa ed a configurare la nullità stessa del negozio giuridico, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di appello, che hanno escluso la sussistenza della nullità del contratto sul rilievo che il carattere abusivo dell'immobile non incide sulla liceità dell'oggetto del contratto ex art. 1346 cod. civ. o della causa del contratto ex art. 1343 cod. civ.
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