Cass. pen., sez. VI, sentenza 15/09/2022, n. 34271
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la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto da P V, nato a Canosa di Puglia il 15/04/1978;
avverso l'ordinanza emessa dal Tribunale di Bari il 10/01/2022 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere P S;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, dott. A C, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Bari, in accoglimento dell'appello proposto dal Pubblico Ministero, ha disposto la misura interdittiva della sospensione per un anno dal pubblico ufficio di operatore di Polizia penitenziaria di P V, gravemente indiziato per il reato di cui all'art. 375, commi 1, lett. a), e 2, cod. pen. P, nella qualità di Comandante del Reparto di Polizia penitenziaria presso la Casa circondariale di Trani e, quindi, di pubblico ufficiale, al fine di impedire, ostacolare e sviare le indagini relative ai benefici indebitamente riconosciuti ai detenuti di detto carcere, avrebbe immutato artificiosamente il corpo del reato e le cose connesse ai reati di corruzione e di abuso d'ufficio in relazione allo svolgimento di videochiamate irregolari consentite da componenti della polizia penitenziaria. In particolare, P avrebbe ordinato al sovraintendente M di cancellare le memorie dai telefoni cellulari in uso al settore colloqui e, al rifiuto di questi, pur essendo stato informato che questi contenevano prove del reato di corruzione, avrebbe proceduto personalmente a tale operazione.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'indagato articolando un unico motivo con cui deduce violazione di legge e vizio di motivazione. Il tema attiene innanzitutto alla consapevolezza dell'indagato della esistenza di indagini in corso al momento del compimento della condotta. Si fa riferimento ad una nota del 6.7.2020 a firma del Sostituto commissario della polizia penitenziaria, Michele C, fatta pervenire al Nucleo investigativo regionale del Dipartimento di polizia penitenziaria, "priva di carta intestata e di protocollo della direzione di appartenenza", con la quale furono elencate una serie di violazioni delle disposizioni vigenti per lo svolgimento delle videochiamate e delle telefonate commesse durante l'emergenza sanitaria per il Covid da parte della Direzione della Casa circondariale di Trani. Assume il ricorrente che Casamassima avrebbe agito in violazione del D.M. 14.6.2007, istitutivo del nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria;
in tal senso si fa riferimento alla nota del Dipartimento di polizia penitenziaria del 12.11.2007 - allegata al ricorso - con cui si evidenzia come la polizia penitenziaria, ai sensi dell'art.347, comma 1 cod. proc. pen., acquisita la notizia di reato, debba riferire, con le modalità previste dalla legge, al Pubblico Ministero e al direttore dell'istituto. Detta nota, si argomenta, avrebbe dunque dovuto essere trasmessa al Pubblico Ministero e al direttore del carcere e non "sotto copertura" all'ufficio per l'attività ispettiva che dipende dal Ministero della Giustizia e direttamente dal Dipartimento regionale. Secondo il difensore proprio il modo di agire di Casamassima rivelerebbe la mancata conoscenza all'interno della Casa circondariale di Trani dell'interessamento della Procura sui fatti in relazione ai quali la condotta contestata sarebbe stata compiuta;
ciò sarebbe confermato dalla "immobilità" del direttore del carcere, dott. G A, che, chiamato in causa dalla Direzione dell'amministrazione Penitenziaria sulle riscontrate anomalie per il settore videochiamate, replicava con la nota del 9.9.2020 richiamando semplicemente i suoi ordini di servizio. Dunque, non sarebbe affatto chiaro sulla base di quali elementi P avrebbe avuto consapevolezza della esistenza di indagini in corso sui fatti denunciati con la nota di C.Il Tribunale avrebbe valorizzato al riguardo una conversazione intercorsa 1'11.9.2020 tra P e il vicesovraintendente B - il cui contenuto si allega al ricorso- che sarebbe stata male interpretata, atteso che da essa non risulterebbe che P avesse evidenziato come fosse "onere dell'organo inquirente dimostrare la fondatezza della notitia criminis" (così il ricorso), atteso che, invece, il ricorrente nell'occasione si sarebbe solo interrogato sulla rilevanza penale della condotta di omessa identificazione dei soggetti destinatari delle videochiamate, attribuibile agli addetti al servizio di vigilanza presso il settore colloqui. Dunque non vi sarebbe la prova dell'elemento soggettivo del reato. Sotto altro profilo, sarebbe errata l'affermazione del Tribunale secondo cui l'operazione di cancellazione della memoria del cellulare posta in essere dal ricorrente sarebbe stata idonea a trarre in inganno una persona non sufficientemente esperta in ordine al contenuto dello snnartphone ed alla esistenza di videochiannate illegittimamente effettuate dai detenuti. Il tema attiene alla idoneità ingannatoria della condotta. Nella specie, si afferma, si tratterrebbe di un depistaggio materiale che avrebbe dovuto in realtà ingannare non una persona non sufficientemente esperta ma soggetti professionalmente qualificati;
una condotta volta ad impedire accertamenti tecnici - come reciterebbe l'imputazione - ma che invece non avrebbe avuto capacità di ostacolare e di impedire la possibilità di recuperare i dati, in realtà reperibili anche presso gli operatori telefonici. Sotto ulteriore profilo si contesta l'ordinanza quanto alla durata della misura interdittiva disposta. Sarebbe errata l'affermazione secondo cui l'attività di depistaggio sarebbe andata a buon fine "posto che non emerge il recupero dei dati cancellati attraverso l'indebito reset del telefono" e sostiene il difensore che in realtà il recupero sarebbe possibile (si fa riferimento ad una consulenza tecnica a discarico). La motivazione sul punto sarebbe contraddittoria perché, pur evidenziando il Tribunale una serie di elementi favorevoli all'indagato (non avrebbe esercitato alcune abuso costrittivo, non avrebbe compiuto in sé condotte penalmente rilevanti, avrebbe addebitato ai colleghi un atteggiamento meramente colposo), avrebbe poi disposto la misura interdittiva nella estensione temporale massima. Sarebbe stato violato il principio di adeguatezza e proporzionalità. 3. È pervenuta una memoria difensiva con cui, replicando alle conclusioni del Procuratore Generale, si riprendono e si approfondiscono gli argomenti posti a fondamento del motivo di ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO1.11 ricorso, con cui sono stati dedotti vizi di motivazione e di violazione dei legge, è infondato.
2. Quanto ai denunciati vizi di motivazione, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità in tema di limiti di sindacabilità dei provvedimenti in tema di misure cautelari personali, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, ne di rivalutazione delle condizioni soggettive dell'indagato in relazione alle esigenze cautelari ed alla adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito. Il controllo di legittimità è circoscritto all'esame del contenuto dell'atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall'altro, l'assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, Contarini, Rv.261400;
Sez. 2, n. 56 del 7/12/2012 (dep. 2013), Siciliano, Rv. 251761;
Sez. 6, n. 2146 del 25.05.1995, Tontoli ed altro, Rv. 201840). L'erronea valutazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. e delle esigenze cautelari di cui all'art. 274 cod. proc. pen. è dunque rilevabile in Corte di cassazione soltanto se si traduca nella violazione di specifiche norme di legge ovvero in una mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Il controllo di legittimità, in particolare, non riguarda ne' la ricostruzione di fatti, ne' l'apprezzamento del giudice di merito circa l'attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono ammissibili le censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvano nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice dì merito (Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, Miccichè, Rv. 262948;
Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, Mascolo ed altro, Rv. 265244;
Sez. 1, n. 1769 del 23.03.1995, Ciraolo, Rv. 201177).
3. In tale contesto l'ordinanza impugnata è immune da vizi.
3.1. Il Tribunale, con una motivazione puntuale e non manifestamente illogica, ha ricostruito i fatti ed ha spiegato come il procedimento abbia avuto origine da alcune informative di reato (datate 18.2.2020, 25.2.2020, 30.8.2021) redatte dal sostituto commissario Michele Casamassima, in servizio presso la Casa Circondariale di Trani, con cui erano state segnalate all'interno dell'istituto penitenziario condotte di possibile rilievo penale, poste in essere dall'odierno ricorrente e dai di lui colleghi, al fine di consentire ai detenuti di beneficiare di trattamenti di favore;
in tale contesto, ha spiegato il Tribunale, si collocherebbe, dopo la trasmissione di almeno due delle informative indicate, la nota del 6.7.2020, indirizzata al Nucleo Investigativo Regionale, con la quale lo stesso Casamassima aveva evidenziato come, attraverso alcune verifiche all'interno dei settori dei colloqui e l'esame dei dispositivi cellulari in uso ai detenuti per le videochiamate, fossero state riscontrate un serie di irregolarità e violazioni delle disposizioni impartite il 30.3.2020 dalla Direzione per lo svolgimento delle telefonate delle videochiamate da parte dei detenuti, durante il periodo di emergenza pandemica. Ha chiarito il Tribunale che: a) a seguito della segnalazione di Casamassima, erano state compiute indagini anche attraverso
SENTENZA
Sul ricorso proposto da P V, nato a Canosa di Puglia il 15/04/1978;
avverso l'ordinanza emessa dal Tribunale di Bari il 10/01/2022 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere P S;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, dott. A C, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Bari, in accoglimento dell'appello proposto dal Pubblico Ministero, ha disposto la misura interdittiva della sospensione per un anno dal pubblico ufficio di operatore di Polizia penitenziaria di P V, gravemente indiziato per il reato di cui all'art. 375, commi 1, lett. a), e 2, cod. pen. P, nella qualità di Comandante del Reparto di Polizia penitenziaria presso la Casa circondariale di Trani e, quindi, di pubblico ufficiale, al fine di impedire, ostacolare e sviare le indagini relative ai benefici indebitamente riconosciuti ai detenuti di detto carcere, avrebbe immutato artificiosamente il corpo del reato e le cose connesse ai reati di corruzione e di abuso d'ufficio in relazione allo svolgimento di videochiamate irregolari consentite da componenti della polizia penitenziaria. In particolare, P avrebbe ordinato al sovraintendente M di cancellare le memorie dai telefoni cellulari in uso al settore colloqui e, al rifiuto di questi, pur essendo stato informato che questi contenevano prove del reato di corruzione, avrebbe proceduto personalmente a tale operazione.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'indagato articolando un unico motivo con cui deduce violazione di legge e vizio di motivazione. Il tema attiene innanzitutto alla consapevolezza dell'indagato della esistenza di indagini in corso al momento del compimento della condotta. Si fa riferimento ad una nota del 6.7.2020 a firma del Sostituto commissario della polizia penitenziaria, Michele C, fatta pervenire al Nucleo investigativo regionale del Dipartimento di polizia penitenziaria, "priva di carta intestata e di protocollo della direzione di appartenenza", con la quale furono elencate una serie di violazioni delle disposizioni vigenti per lo svolgimento delle videochiamate e delle telefonate commesse durante l'emergenza sanitaria per il Covid da parte della Direzione della Casa circondariale di Trani. Assume il ricorrente che Casamassima avrebbe agito in violazione del D.M. 14.6.2007, istitutivo del nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria;
in tal senso si fa riferimento alla nota del Dipartimento di polizia penitenziaria del 12.11.2007 - allegata al ricorso - con cui si evidenzia come la polizia penitenziaria, ai sensi dell'art.347, comma 1 cod. proc. pen., acquisita la notizia di reato, debba riferire, con le modalità previste dalla legge, al Pubblico Ministero e al direttore dell'istituto. Detta nota, si argomenta, avrebbe dunque dovuto essere trasmessa al Pubblico Ministero e al direttore del carcere e non "sotto copertura" all'ufficio per l'attività ispettiva che dipende dal Ministero della Giustizia e direttamente dal Dipartimento regionale. Secondo il difensore proprio il modo di agire di Casamassima rivelerebbe la mancata conoscenza all'interno della Casa circondariale di Trani dell'interessamento della Procura sui fatti in relazione ai quali la condotta contestata sarebbe stata compiuta;
ciò sarebbe confermato dalla "immobilità" del direttore del carcere, dott. G A, che, chiamato in causa dalla Direzione dell'amministrazione Penitenziaria sulle riscontrate anomalie per il settore videochiamate, replicava con la nota del 9.9.2020 richiamando semplicemente i suoi ordini di servizio. Dunque, non sarebbe affatto chiaro sulla base di quali elementi P avrebbe avuto consapevolezza della esistenza di indagini in corso sui fatti denunciati con la nota di C.Il Tribunale avrebbe valorizzato al riguardo una conversazione intercorsa 1'11.9.2020 tra P e il vicesovraintendente B - il cui contenuto si allega al ricorso- che sarebbe stata male interpretata, atteso che da essa non risulterebbe che P avesse evidenziato come fosse "onere dell'organo inquirente dimostrare la fondatezza della notitia criminis" (così il ricorso), atteso che, invece, il ricorrente nell'occasione si sarebbe solo interrogato sulla rilevanza penale della condotta di omessa identificazione dei soggetti destinatari delle videochiamate, attribuibile agli addetti al servizio di vigilanza presso il settore colloqui. Dunque non vi sarebbe la prova dell'elemento soggettivo del reato. Sotto altro profilo, sarebbe errata l'affermazione del Tribunale secondo cui l'operazione di cancellazione della memoria del cellulare posta in essere dal ricorrente sarebbe stata idonea a trarre in inganno una persona non sufficientemente esperta in ordine al contenuto dello snnartphone ed alla esistenza di videochiannate illegittimamente effettuate dai detenuti. Il tema attiene alla idoneità ingannatoria della condotta. Nella specie, si afferma, si tratterrebbe di un depistaggio materiale che avrebbe dovuto in realtà ingannare non una persona non sufficientemente esperta ma soggetti professionalmente qualificati;
una condotta volta ad impedire accertamenti tecnici - come reciterebbe l'imputazione - ma che invece non avrebbe avuto capacità di ostacolare e di impedire la possibilità di recuperare i dati, in realtà reperibili anche presso gli operatori telefonici. Sotto ulteriore profilo si contesta l'ordinanza quanto alla durata della misura interdittiva disposta. Sarebbe errata l'affermazione secondo cui l'attività di depistaggio sarebbe andata a buon fine "posto che non emerge il recupero dei dati cancellati attraverso l'indebito reset del telefono" e sostiene il difensore che in realtà il recupero sarebbe possibile (si fa riferimento ad una consulenza tecnica a discarico). La motivazione sul punto sarebbe contraddittoria perché, pur evidenziando il Tribunale una serie di elementi favorevoli all'indagato (non avrebbe esercitato alcune abuso costrittivo, non avrebbe compiuto in sé condotte penalmente rilevanti, avrebbe addebitato ai colleghi un atteggiamento meramente colposo), avrebbe poi disposto la misura interdittiva nella estensione temporale massima. Sarebbe stato violato il principio di adeguatezza e proporzionalità. 3. È pervenuta una memoria difensiva con cui, replicando alle conclusioni del Procuratore Generale, si riprendono e si approfondiscono gli argomenti posti a fondamento del motivo di ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO1.11 ricorso, con cui sono stati dedotti vizi di motivazione e di violazione dei legge, è infondato.
2. Quanto ai denunciati vizi di motivazione, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità in tema di limiti di sindacabilità dei provvedimenti in tema di misure cautelari personali, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, ne di rivalutazione delle condizioni soggettive dell'indagato in relazione alle esigenze cautelari ed alla adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito. Il controllo di legittimità è circoscritto all'esame del contenuto dell'atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall'altro, l'assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, Contarini, Rv.261400;
Sez. 2, n. 56 del 7/12/2012 (dep. 2013), Siciliano, Rv. 251761;
Sez. 6, n. 2146 del 25.05.1995, Tontoli ed altro, Rv. 201840). L'erronea valutazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. e delle esigenze cautelari di cui all'art. 274 cod. proc. pen. è dunque rilevabile in Corte di cassazione soltanto se si traduca nella violazione di specifiche norme di legge ovvero in una mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Il controllo di legittimità, in particolare, non riguarda ne' la ricostruzione di fatti, ne' l'apprezzamento del giudice di merito circa l'attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono ammissibili le censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvano nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice dì merito (Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, Miccichè, Rv. 262948;
Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, Mascolo ed altro, Rv. 265244;
Sez. 1, n. 1769 del 23.03.1995, Ciraolo, Rv. 201177).
3. In tale contesto l'ordinanza impugnata è immune da vizi.
3.1. Il Tribunale, con una motivazione puntuale e non manifestamente illogica, ha ricostruito i fatti ed ha spiegato come il procedimento abbia avuto origine da alcune informative di reato (datate 18.2.2020, 25.2.2020, 30.8.2021) redatte dal sostituto commissario Michele Casamassima, in servizio presso la Casa Circondariale di Trani, con cui erano state segnalate all'interno dell'istituto penitenziario condotte di possibile rilievo penale, poste in essere dall'odierno ricorrente e dai di lui colleghi, al fine di consentire ai detenuti di beneficiare di trattamenti di favore;
in tale contesto, ha spiegato il Tribunale, si collocherebbe, dopo la trasmissione di almeno due delle informative indicate, la nota del 6.7.2020, indirizzata al Nucleo Investigativo Regionale, con la quale lo stesso Casamassima aveva evidenziato come, attraverso alcune verifiche all'interno dei settori dei colloqui e l'esame dei dispositivi cellulari in uso ai detenuti per le videochiamate, fossero state riscontrate un serie di irregolarità e violazioni delle disposizioni impartite il 30.3.2020 dalla Direzione per lo svolgimento delle telefonate delle videochiamate da parte dei detenuti, durante il periodo di emergenza pandemica. Ha chiarito il Tribunale che: a) a seguito della segnalazione di Casamassima, erano state compiute indagini anche attraverso
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