Cass. pen., sez. V, sentenza 26/01/2023, n. 03438
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Testo completo
la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: Z B nato a BOLOGNA il 10/11/1972 avverso la sentenza del 30/03/2021 della CORTE APPELLO di BOLOGNAvisti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE DE MO;lette conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, dott. N L, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso. Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 30 marzo 2021 la Corte d'appello di Bologna ha confermato la decisione di primo grado che, all'esito di giudizio abbreviato, aveva condannato B Z alla pena ritenuta di giustizia e al risarcimento dei danni in favore di T G, in relazione al reato di cui agli aitt. 81, 494 cod. pen., per avere, con più atti esecutivi del medesimo disegno criminoso, al fine di procurarsi un vantaggio, presentandosi con un falso nome, indotto in errore la G, che accettava la sua richiesta di amicizia, in tal modo consentendogli di introdursi nel proprio profilo Facebook. 2. Nell'interesse dell'imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Con il primo motivo si lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale, per avere la Corte territoriale ritenuto integrata la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 494 cod. pen., sebbene non fosse ravvisabile la sussistenza di alcun vantaggio del ricorrente e di alcun danno per la parte civile. 2.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali con riferimento all'attribuzione all'imputato della condotta di cui al capo di imputazione, dal momento che non era stato operato alcun accertamento sull'indirizzo IP di provenienza dei messaggi indirizzati alla donna. In tale contesto, escluso che potesse essere valorizzato il silenzio serbato dall'imputato, costituente esercizio di un diritto previsto dalla legge, il mero invio della foto dell'imputato era un dato equivoco potendo essere stata estrapolata dalla rete o carpita nel corso di un collegamento. 2.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali, in relazione all'affermazione di responsabilità dell'imputato, per non avere la Corte d'appello considerato che il contenuto della querela rivelava il clima di forte ostilità tra la G e lo Zanni e che del tutto irrilevanti erano i precedenti dell'imputato. 3. Sono state trasmesse, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, dott. N L, il quale ha chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza. Come chiarito dalla ferma giurisprudenza di questa Corte, il dolo specifico del delitto di sostituzione di persona consiste nel fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio patrimoniale o non patrimoniale, ovvero di recare ad altri un danno. (Sez. 5, n. 41012 del 26/05/2014, Cinnadomo, Rv. 260493 - 01;v. anche Sez. 2, n. 4250 del 21/12/2011, dep. 2012, Pinci, Rv. 252203;Sez. 2, n. 2224 del 14/11/1969, dep. 1970, Petrocchi, Rv. 114114;vedi anche, più di recente, Sez. 5, n. 3012 del 19/9/2019, dep. 2020, D G, Rv. 278146). Ora, nel caso di specie, secondo il razionale accertamento dei giudici di merito, la condotta dell'imputato era diretta ad aggirare il blocco del contatto Facebook apposto dalla donna a seguito delle manifestazioni di gelosia del primo. Se poi tali manifestazioni fossero o non giustificate è aspetto che non assume alcun rilievo, riposando la decisione della donna sul suo diritto di frequentare chi voleva e sinché voleva. In tale contesto, l'essersi presentato con falso nome per potere accedere al profilo della parte civile, al fine di poter continuare ad avere un rapporto con quest'ultima, che si era opposta a tali contatti, ed eventualmente continuare ad acquisire informazioni sulla vita privata della stessa è condotta sicuramente diretta a perseguire un vantaggio ancorché di carattere non patrimoniale, appunto da identificarsi nella prosecuzione di una frequentazione ritenuta sgradita dalla donna. Del tutto privo di significato, al fine di escludere la sussistenza del vantaggio, è l'eventuale conferma dei sospetti nutriti dall'uomo sull'attività della donna che si sarebbe prestata a vendere proprie foto erotiche. Lo stesso ricorrente ammette, al termine del terzo motivo, che siffatta attività non può venire in discussione in sé considerata. Resta solo da aggiungere che la scelta eventuale della donna di tenerla occultata all'imputato rappresenta proprio una dimensione della riservatezza e della propria autodeterminazione nella quale si è introdotto, con l'inganno, il ricorrente, provocando un'evidente lesione della sfera personale della ex-convivente.
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