Cass. civ., SS.UU., sentenza 30/03/2011, n. 7189

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Massime1

In tema di canone concessorio per l'utilizzo di acque pubbliche, l'art. 18, comma 1, lett. d), della legge 5 gennaio 1994, n. 36, nella parte in cui recita che "il canone è ridotto al 50 per cento se il concessionario restituisce le acque di scarico con le medesime caratteristiche qualitative di quelle prelevate", va interpretato nel senso che il riconoscimento di detto diritto non è subordinato soltanto alla verificazione dell'avvenuto rispetto dei limiti tabellari concernenti lo scarico di acque reflue, ma anche al fatto che dette acque siano restituite, a seguito dello scarico dall'impianto industriale, senza alcun impoverimento qualitativo e, pertanto, con le stesse caratteristiche organolettiche e chimiche che esse avevano prima del prelievo. Ne consegue che l'onere della prova di tali presupposti, sui quali si basa la richiesta di riduzione del canone, incombe sul soggetto beneficiario e non sul concedente, trattandosi di circostanze favorevoli al primo.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 30/03/2011, n. 7189
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 7189
Data del deposito : 30 marzo 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. V P - Primo Pres.te f.f. -
Dott. T R M - Presidente Sezione -
Dott. M A - rel. Consigliere -
Dott. P L - Consigliere -
Dott. M M - Consigliere -
Dott. M L - Consigliere -
Dott. P S - Consigliere -
Dott. T F - Consigliere -
Dott. B R - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
REGIONE LOMBARDIA, in persona dei Presidente della Giunta regionale pro-tempore, elettivamente 267 domiciliata in ROMA, VIA

BONCOMPAGNI

71-C, presso lo studio dell'avvocato P G M, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato C M, per delega a margine del ricorso;



- ricorrente -


contro
ACQUEDOTTO INDUSTRIALE S.C.A.R.L., in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

LUNGOTEVERE MARZIO

3, presso lo studio dell'avvocato V D, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato T G, per delega a margine del controricorso;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 41/2010 del TRIBUNALE SUPERIORE, DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 10/03/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/02/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO MERONE;

uditi gli Avvocati Giuliano M. POMPA, Donella RESTA per delega dell'avvocato Diego Vaiano;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA

Raffaele che ha concluso per l'accoglimento, p.q.r., del ricorso.
FATTO
La Regione Lombardia ricorre a queste SS.UU. per ottenere la cassazione della sentenza n. 41/2010, in data 2.12.2009, del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, che, confermando la decisione del TRAP della Lombardia, ha accolto il ricorso introduttivo dei giudizio, promosso dall'Acquedotto Industriale Soc. coop. a r.l..
L'Acquedotto è titolare di una concessione per la derivazione dal lago di Como di acque pubbliche ed ha chiesto la riduzione del 50% del canone concessorio, ai sensi della L. 5 gennaio 1994, n. 36, art.18, comma 1, lett. d), sul presupposto che "restituisce le acque di
scarico con le medesime caratteristiche qualitative di quelle prelevate".
Il TSAP ha accolto il ricorso dell'acquedotto sul rilievo che "l'appellata soc. Acquedotto industriale ha provato con le certificazioni della ASL e con altra documentazione che le acque del lago di Como prelevate non superavano i limiti tabellari e che (...) le acque di scarico erano conferite dalle imprese consorziate, per lo smaltimento, a collettori fognari consortili che poi operavano il recapito finale in corsi d'acqua superficiali, previo idoneo trattamento presso impianti di depurazione che ne assicuravano il rispetto dei limiti tabellari antinquinamento" (p. 21 della sentenza impugnata).
Conseguentemente il TSAP ha ritenuto "provata la sussistenza dei presupposti del diritto ai dimezzamento del canone" (ivi), anche perché la Regione "non ha avanzato alcuna specifica contestazione sulle caratteristiche qualitative delle acque di scarico restituite o sul loro eventuale superamento di qualche limite tabellare, ma si è limitata a contestazioni generiche su punti del resto irrilevanti, come ad esempio la mancata prova di caratteristiche qualitative perfettamente identiche" (ivi).
A sostegno dell'odierno ricorso, la Regione Lombardia prospetta tre motivi di cassazione. L'Acquedotto resiste con controricorso, illustrato anche con memoria depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c.. DIRITTO
Il ricorso appare fondato in relazione ai primi due motivi, assorbito il terzo.
La Regione Lombardia, con i primi due motivi di ricorso, denuncia la violazione della L. n. 36 del 1994, art. 18, comma 1, lett. d) (vigente ratione temporis), nonché vizi dr motivazione e violazione dell'art. 2697 c.c. censurando le due rationes decidendi sulle quali si regge la sentenza impugnata: sussistenza del presupposto necessario per beneficiare della riduzione del canone e omessa contestazione della sussistenza di tale presupposto, sia nella fase amministrativa che in quella contenziosa.
L'ente ricorrente eccepisce
(1^ motivo) che il TSAP invece di basare la propria decisione sull'accertamento che le acque di scarico avessero le medesime caratteristiche qualitative di quelle prelevate, ha, erroneamente, riconosciuto il diritto alla riduzione del canone sulla base del diverso presupposto che le acque di scarico risultavano sottoposte al trattamento di depurazione, tale da non far superare i limiti tabellari previsti;

(2^ motivo) che la regione ha contestato specificamente la rilevanza della documentazione prodotta dall'Acquedotto, proprio perché intesa a dimostrare che le acque restituite non erano inquinate e non che avessero conservato le originarie caratteristiche qualitative e che, quindi, erroneamente, il TSAP ha affermato che la regione non abbia mai contestato specificamente la sussistenza del presupposto della non alterazione delle qualità dell'acqua.
Il secondo motivo, che nell'ordine logico va esaminato per primo, è fondato. Risulta provato per tabulas che l'ente regione ha sempre contestato, in giudizio, la sussistenza del requisito della conservazione delle caratteristiche qualitative dell'acqua. Infatti, a p. 5 della sentenza impugnata, il TSAP riassume i motivi di appello evidenziando che secondo la regione "il presupposto del diritto è l'identità sia qualitativa che quantitativa fra acque in entrata e quelle in uscita. ... Per verificare poi l'esistenza del presupposto occorrono serie analisi delle acque in entrata ed in uscita, che nella specie non sono state fatte. La documentazione prodotta attesta solo che le acque restituite non erano inquinate e quindi era al pia sufficiente ai sensi del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 35, ma non ai sensi della L. n. 36 del 1994, art. 18". In altri termini, la regione contesta la utilità della documentazione prodotta perché poteva soltanto provare che le acque restituite non erano inquinate, ma non che avessero conservato le caratteristiche qualitative anteriori al prelievo. Da ciò si evince chiaramente che con l'appello è stato contestata la sussistenza del requisito della conservazione delle caratteristiche dell'acqua. Nè il giudice di appello ha ritenuto che la questione fosse nuova.
Il rilievo del TSAP, secondo il quale anche nella fase amministrativa il presupposto in questione non sarebbe stato contestato dalla regione appare irrilevante, trattandosi nella specie di giudizio di accertamento e non di un giudizio impugnatorio di un provvedimento di diniego della riduzione richiesta .
Giova poi rilevare che, ai sensi dell'art. 2967 c.c. la prova del presupposto sul quale si basa a richiesta di riduzione del canone, trattandosi di circostanza di fatto che giova all'Acquedotto, doveva essere fornita da quest'ultimo ente e non dalla regione. Ne deriva che la regione non doveva formulare nessuna specifica contestazione sulla non corrispondenza delle caratteristiche dell'acqua prima e dopo la lavorazione, potendo limitarsi ad attendere che il concessionario fornisse la prova del mantenimento dello caratteristiche, per poi eventualmente contestare la rilevanza (come ha fatto) delle prove fornite.
Pertanto, cade la prima (in ordine logico) ratio decidendi della sentenza impugnata.
Anche la seconda (sempre in ordine logico) ratio, però, non regge alla critica mossa con il primo motivo di ricorso.
Va rilevato, preliminarmente, che, aderendo alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 16796/2007), la difesa della regione ha espressamente rinunciato alla tesi della non immediata applicabilità della L. n. 36 del 1994, art. 18, comma 1, lett. d), in mancanza di regolamento (v. p. 11 dell'odierno ricorso).
Quanto alla corretta interpretazione della L. n. 36 del 1994, art.18, comma 1, lett. d), il Collegio non condivide le conclusioni
attinte per via sistematica dal TSAP, nella non semplice soluzione della questione sub indice.
Il giudice delle acque, sostanzialmente, giunge alla conclusione che le acque di scarico quando vengono sottoposte a depurazione non possono non conservare le caratteristiche qualitative di quelle prelevate e, addirittura, possono essere migliori. Certamente le acque sottoposte al processo di depurazione possono essere migliori di quelle prelevate, ma possono essere anche peggiori dal punto di vista qualitativo. Dal momento del prelievo a quello della restituzione dell'acqua dopo l'uso non c'è soltanto la fase della depurazione, che certamente non fa danno (almeno non dovrebbe), c'è anche la fase dell'uso industriale dell'acqua, in relazione alla quale occorre garantire la conservazione delle "caratteristiche qualitative". Il giudizio sulla conservazione delle caratteristiche dell'acqua dopo l'uso è un giudizio comparativo tra due nati. Il giudizio sul livello di inquinamento, invece, è un giudizio assoluto, formulato sulla base dei parametri fissati dallo stesso legislatore e prescinde dalla verifica comparativa della possibile trasformazione qualitativa subita dall'acqua a conclusione del processo produttivo. Per ottenere la riduzione de canone concessorio, la lettera della legge non richiede che le acque di scarico non siano inquinate, richiede qualcosa di più e di diverso: richiede che le acque: di scarico vengano restituite "con le medesime caratteristiche qualitative di quelle prelevate". Non basta dunque che le acque di scarico non siano inquinate, occorre anche che conservino le stesse caratteristiche organolettiche e chimiche che avevano prima del prelievo. Il giudizio di conservazione delle qualità esprime una valutazione che non si limita alla verifica della assenza di elementi inquinanti: richiede l'accertamento che non vi sia stato un impoverimento qualitativo, In senso globale, riferito al particolare ecosistema (vita dei pesci, derivazioni potabili, irrigazioni, ecc.). Se il legislatore avesse voluto concedere il premio della riduzione del canone sulla base soltanto della verifica del non inquinamento delle acque restituite, non avrebbe richiesto una verifica di più ampio respiro.
Il non equivoco tenore letterale della norma di riferimento preclude il ricorso a forme di interpretazione sistematica (ex multis, Cass. 5128/2001), effettuata peraltro sulla base di testi legislativi di
epoca differente. Tanto più che in materia ambientale gli interventi legislativi seguono una progressiva linea di ampliamento della tutela, anche sulla base delle direttive comunitarie. Con la conseguenza che diventa difficile, a parte le evidenti differenze terminologiche, ricostruire un sistema sincronico, sulla base di norme ispirate ad esigenze storicamente non ravvicinate. Con il terzo motivo, la ricorrente prospetta una censura subordinata al mancato accoglimento delle precedenti (abolizione della riduzione del canone a partire dal 2007), per cui la si deve ritenere assorbita.
Conseguentemente, il ricorso deve essere accolto in relazione ai primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo. La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa al TSAP per la rinnovazione del giudizio di merito tenendo conto del principio di diritto affermato, in base ai quale il giudizio di persistenza delle caratteristiche qualitative delle acque dopo la loro utilizzazione, deve essere effettuato confrontando le caratteristiche delle acque prima e dopo l'uso.
Il giudice del rinvio provvederà a liquidare anche le spese del giudizio di legittimità.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi