Cass. pen., sez. III, sentenza 11/02/2019, n. 06354

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. III, sentenza 11/02/2019, n. 06354
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 06354
Data del deposito : 11 febbraio 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

la seguente SENTENZA sui ricorsi proposti da G M, nato a Asti il 3 aprile 1965 B W, nato a Ferrara il 4 luglio 1938 G G, nato a Casorzo il 18 dicembre 1944 avverso la sentenza della Corte d'appello di Bologna del 5 dicembre 2017 visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere A M A;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale G R, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
uditi i difensori avv.ti M T N, M C, G P.

RITENUTO IN FATTO

1. - Con sentenza del 5 dicembre 2017 la Corte d'appello di Bologna ha parzialmente riformato la sentenza emessa il 12 luglio 2016 dal Tribunale di Ferrara che aveva condannato gli imputati per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, 3 e 4 della legge n. 146 del 2006 per avere, in concorso tra loro, presentato le dichiarazioni dei redditi della società MED INGEGNERIA contenenti elementi passivi fittizi derivanti dalla contabilizzazione delle fatture per operazioni inesistenti ricevute dalla società olandese GBC ed avere beneficiato della relativa provvista finanziaria accreditata su un conto monegasco in proporzione alla partecipazione al capitale sociale della MED INGEGNERIA per un totale di C 1.191.610,00 nei periodi di imposta dal 2006 al 2011;
con l'aggravante della transnazionalità. La Corte d'appello di Bologna, dichiarati inammissibili i ricorsi (principale ed incidentale) proposti dall'imputato B, ha rideterminato in diminuzione la pena inflitta agli imputati G e G, ha ridotto la confisca dei beni sequestrati al solo G e ha concesso a quest'ultimo la sospensione condizionale della pena. 2. - Avverso la sentenza Giuseppe G ha proposto, tramite difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 2.1. - Con un primo motivo di ricorso, si censurano il vizio di motivazione e la violazione di legge con riferimento alla ritenuta responsabilità penale dell'imputato. In particolare, i giudici di secondo grado avrebbero apoditticamente riprodotto l'iter argomentativo emergente dalla prima sentenza e, dunque, commesso i medesimi errori valutativi del giudice di primo grado, senza confutare adeguatamente le doglianze manifestate con i motivi d'appello, volte a sostenere la mancanza di un quadro accusatorio da cui desumere con certezza la penale responsabilità dell'imputato. A tale proposito, la difesa lamenta l'illegittimo utilizzo del processo verbale di constatazione della G.d.F del 13/10/2014, che la Corte d'appello avrebbe erroneamente ritenuto di poter valutare nel merito, stante il consenso presentato dall'imputato. Secondo la prospettazione difensiva, al contrario, l'imputato non avrebbe mai prestato il consenso (come rilevabile dai verbali dell'11/11/2015 e 7/7/2016, nonché dall'atto di deposito documenti del 7/7/2016) e dunque il documento in questione - allegato al solo fine di sostenere la fondatezza dell'istanza di revoca del sequestro preventivo - non poteva essere utilizzato per dimostrare la penale responsabilità dell'imputato perché non presentava le necessarie caratteristiche di atto extraprocessuale ricognitivo di natura amministrativa, ma conteneva le risultanze dell'attività investigativa svolta in sede di indagini preliminari, dunque un quid pluris rispetto alla mera informativa amministrativa dei dati raccolti in sede di accertamento fiscale. Pertanto, i giudici del merito avrebbero illegittimamente recuperato il materiale probatorio delle indagini preliminari non trasfuso nel dibattimento: l'acquisizione di un documento probatorio di tal sorta, infatti, potrebbe essere giustificata solo quando necessaria per provare l'esistenza del fatto di reato e non il suo contenuto, perché, in caso contrario, si violerebbero il disposto di cui all'art. 413 cod. proc. pen. e il principio della formazione della prova nel contraddittorio tra le parti. Vista l'inutilizzabilità del predetto documento, secondo la difesa il residuo compendio probatorio non risulterebbe idoneo a dimostrare la penale responsabilità dell'imputato perché gli elementi acquisiti (i documenti contabili e gli appunti manoscritti rinvenuti in casa del ricorrente), potrebbero provare, al più, la mera connivenza del G rispetto ai fatti e non certo la sua partecipazione a titolo di concorso. Infatti, sarebbe pacificamente emerso che il ricorrente era completamente estraneo rispetto all'attività di amministrazione e gestione della società (appannaggio esclusivo dell'imputato G) e dunque non aveva partecipato all'ideazione del piano criminoso, né lo aveva agevolato o rafforzato. L'apertura da parte del G del conto corrente monegasco ove la società GBC aveva trasferito il denaro fittiziamente corrisposto della MED (previa trattenuta del 5% a titolo di compenso) non risulterebbe, infatti, elemento sufficiente per ritenere sussistente un contributo apprezzabile da parte dell'imputato, stante la lontananza nel tempo dell'apertura di tale conto (2005) e l'utilizzo dello stesso per il perseguimento di scopi leciti collegati all'attività professionale del G. Inoltre, la semplice esistenza del conto estero non risulterebbe idonea a provare la conoscenza da parte del ricorrente di tutti gli accrediti ivi ricevuti né della relativa causale. Infatti, nel caso di specie, il G aveva dichiarato di non conoscere la società GBC e di ritenere, al contrario, che la stessa avesse svolto in passato prestazioni reali a favore della MED INGEGNERIE. Tali dichiarazioni, a parere della difesa, sarebbero riscontrate dai manoscritti rinvenuti presso l'abitazione del ricorrente ove lo stesso aveva riportato a mano la specificazione "Global Buisness", comprovando in tal modo la propria estraneità al piano criminoso ideato da altri. I giudici del gravame avrebbero risposto in modo meramente apparente alle predette doglianze difensive, senza indicare specificatamente gli elementi su cui fondare la colpevolezza. In più, a parere della difesa, tale elemento non avrebbe potuto esplicare effetti probatori oltre l'anno di riferimento (2007), nulla potendo dimostrare in ordine alla consapevolezza da parte dell'imputato delle attività criminali realizzate dalla MED per l'annualità precedente e per quelle successive (tanto più considerando che il G era ricorso al c.d. "scudo fiscale" per far rimpatriare i capitali che deteneva all'estero, così determinando l'ostilità degli altri soci che temevano di esporre la società al rischio di un accertamento fiscale). Infine, secondo le prospettazioni difensive, anche l'argomentazione volta a sostenere la ritenuta consapevolezza dell'imputato per i pendi di imposta successivi all'utilizzo dello scudo fiscale sulla base di una successiva, ma reiterata spartizione degli ultimi (sebbene con modalità diverse rispetto alle precedenti) risulterebbe apparente e scorporata rispetto a qualsivoglia dato certo, dal momento che non si conosceva l'originaria modalità di spartizione da cui potesse desumersi la "differenza" delle divisioni successive. Per tutto quanto esposto, a parere della difesa, l'attività del G avrebbe dovuto essere qualificata come mera connivenza rispetto alle attività criminali poste in essere dai coimputati, anch'essi soci della MED INGEGNERIE. 2.2. - Con un secondo motivo, si censurano vizi di motivazione e violazione di legge con riferimento alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 4 della legge n. 146 del 2006. Per la difesa, la Corte territoriale avrebbe pedissequamente riprodotto l'argomentazione del primo giudice sul punto, senza considerare e valutare le molteplici doglianze proposte con l'atto d'appello, volte a rilevare la carenza dell'istruttoria dibattimentale. In particolare, la Corte avrebbe dovuto decretare l'inutilizzabilità delle testimonianze decisive rese dal luogotenente F e dal teste olandese L. Il primo, infatti, non si sarebbe limitato a riferire gli esiti delle indagini condotte presso uno Stato straniero (come previsto dalla giurisprudenza pronunciatasi sul disposto dell'art. 195, comma 4, cod. proc. pen.) ma, al contrario, avrebbe riferito circa l'intero contenuto delle stesse, mentre il secondo avrebbe reso una testimonianza fondata esclusivamente sulle proprie reminiscenze personali senza presentare elementi documentali che potessero confermare con certezza quanto da lui riferito (soprattutto, i nomi dei soggetti operanti nell'ambito G.B.C, individuati sulla base del mero dato fonetico, e mai puntualmente identificati). A tale proposito, il ricorrente censura la decisione dei giudici di merito di non accogliere l'istanza di acquisizione delle prove documentali a cui il teste aveva fatto riferimento, così inficiando il diritto della difesa, che avrebbe potuto chiedere la produzione di ulteriori documenti a controprova, come previsto dagli artt. 111 Cost. e 468, comma 4, cod. proc. pen. Parimenti, si censura l'illegittimo utilizzo - al fine di riscontrare le dichiarazioni del teste L - del verbale di contestazione redatto dalla G.d.F il 13/10/2014, che, secondo quanto già argomentato sub 2.1., non sarebbe stato utilizzabile. Ad ogni modo, il predetto verbale di constatazione risulterebbe inidoneo a provare la sussistenza della contestata aggravante, perché gli elementi in esso contenuti (specie le dichiarazioni rese dai coimputati) avrebbero al più costituito indizio di un concorso nel reato contestato e non certo prova dello stesso. Perciò, dal quadro accusatorio sarebbe pacificamente emersa la sola operatività del sig. P, unico attore della G.B.C., la quale, pertanto, non avrebbe operato come gruppo organizzato operante su territorio estero, con conseguente impossibilità di ritenere integrata l'aggravante della transnazionalità. A tale proposito, si sottolinea altresì l'estraneità ai fatti di F Enrico e del notaio B, mai sottoposti a procedimento penale e, secondo quanto emerso 4 iak dall'istruttoria, al più concorrenti nell'evasione di MED INGEGNERIE, ma non certo nel reato di emissione di fatture inesistenti commesso dalla G.B.C. Comunque, secondo le prospettazioni difensive, il gruppo criminale non avrebbe fornito alcun contributo in termini di pericolosità o nesso causale qualificato alla realizzazione dei reati contestati, ben potendo la condotta in esame essere realizzata anche da una sola persona indipendentemente dallo stato di residenza. Parimenti, non sarebbe stata provata la consapevolezza in capo al G dell'operatività del gruppo organizzato sul territorio estero, dal momento che l'imputato non aveva mai intrattenuto rapporti con il P e con il F né, tanto meno, con i soggetti segnalati dal teste L ed aveva espressamente dichiarato di aver ritenuto che la G.B.0 fosse una società di consulenza della MED INGEGNERIE e di aver aperto il conto corrente monegasco al solo scopo di farvi confluire i proventi della propria attività lavorativa estera. Del resto, secondo la difesa, l'apertura di un conto in un paradiso fiscale nulla prova in ordine alla consapevolezza di operare in concorso con una struttura criminale estera. 2.3. - In terzo luogo, si censura la violazione degli artt. 25 Cost. e 5 cod. pen. in relazione all'ipotesi prevista dall'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 74 del 2001, applicabile ai fatti anteriori al 14/09/2011. In particolare, la disposizione in esame integrerebbe una fattispecie autonoma di reato con conseguente esclusione dell'aggravante di cui agli artt. 3 e 4 della I. n. 146 del 2006, inapplicabile al reato di cui all'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 74 del 2000 avente una cornice edittale pari nel massimo a due anni di reclusione. In ogni caso, secondo la difesa, seppure si ritenesse di aderire alla più recente giurisprudenza che intende qualificare l'ipotesi in esame come circostanza attenuante, non si potrebbe svalutare il precedente orientamento di segno contrario su cui il ricorrente aveva riposto il proprio affidamento, pena la violazione del principio di irretroattività del precedente giurisprudenziale favorevole, elaborato in ambito comunitario e, secondo la difesa, accolto dalla giurisprudenza di legittimità come ulteriore corollario dell'art. 25 Cost. 2.4. - Con un quarto motivo, si censura la violazione del principio del ne bis in idem sostanziale di cui all'art. 4, prot. 7, CEDU derivante dalla doppia imposizione al G della sanzione amministrativa per i redditi da lui evasi in qualità di persona fisica e della sanzione penale per i redditi evasi in qualità di socio della MED INGEGNERIE. Secondo la difesa, la giurisprudenza di legittimità richiamata dai giudici del gravame per sostenere la legittimità della duplice risposta punitiva imporrebbe il rispetto di requisiti ben precisi: la contestualità dell'irrogazione delle sanzioni, la "medesimezza" del processo, il perseguimento di scopi differenti e l'irrogazione di un complessivo sistema sanzionatorio non sproporzionato o eccessivo. Nel caso di specie, a parere della difesa, tali elementi risulterebbero insussistenti: le sanzioni erano state irrogate in due diversi processi celebrati in tempi diversi, perseguivano finalità differenti e, soprattutto, avevano ad oggetto i medesimi profili della condotta perché il reddito da capitale non dichiarato dal G era certamente conseguente all'evasione di MED INGEGNERIE. In ogni caso, secondo le prospettazioni difensive, il cumulo delle sanzioni applicate all'imputato sarebbe sproporzionato, perché il G aveva definito la propria posizione con l'Agenzia delle Entrate per gli anni 2006, 2007, 2008, 2009, 2010, pagando integralmente quanto dovuto prima dell'apertura del dibattimento. 2.5. - Con un quinto motivo di doglianza, si censura la violazione dell'art. 13 bis del d.lgs. n. 74 del 2000 per non avere i giudici del gravame riconosciuto l'attenuante in questione sulla base della ritenuta insussistenza di identità tra quanto corrisposto al fisco dall'imputato ed il profitto del reato ottenuto da MED INGEGNERIE. Secondo la prospettazione difensiva, al contrario, il G avrebbe restituito il profitto del reato da lui conseguito e addirittura, come sostenuto dal consulente di parte dott. Zanotto, avrebbe patito l'imputazione del totale delle somme pervenute nel 2010 e 2011 sul conto monegasco, nonostante le stesse fossero state prelevate ed utilizzate esclusivamente dagli altri due soci. Inoltre, secondo la difesa, gli imputati avevano tratto beneficio dalla provvista finanziaria accreditata sul conto estero in proporzione alla partecipazione al capitale sociale della MED INGEGNERIA (come specificato nell'imputazione) e dunque il Collegio del gravame non avrebbe dovuto ignorare che la condotta risarcitoria dell'imputato si era concretizzata in un sacrificio economico ben superiore rispetto all'utilità da lui tratta a seguito della commissione del reato. Del resto, secondo la difesa, il G non avrebbe potuto porre in essere un comportamento differente perché non rivestiva la qualifica di legale rappresentante della società e pertanto non poteva procedere al pagamento dell'imposta evasa dalla MED INGEGNERIE. 2.6. - Con una sesta doglianza, si censurano il vizio di motivazione e la violazione di legge con riferimento al mancato riconoscimento della causa di non punibilità prevista dagli artt. 13 bis, comma 4, del d.I n. 78 del 2009, e 8, comma 6, lettera c), della legge n. 289 del 2002, sulla base dell'assenza di identità tra la somma "scudata" dall'imputato e il profitto del reato di MED INGEGNERIE. A tale proposito, per il ricorrente, sarebbe assolutamente incontestabile che il reddito da capitale da lui non dichiarato era conseguito all'evasione dell'imposta posta in essere dalla società e dunque, le somme percepite erano utilità inequivocabilmente conseguenti al profitto del reato. Tale circostanza, del resto, sarebbe confermata dallo stesso collegio del gravame nel passaggio motivazionale relativo alla confisca, ridotta all'imputato in conseguenza del versamento della somma corrispondente al risparmio di irriposta da lui ottenuto a seguito dell'evasione della MED INGEGNERIE. A ciò dovrebbe aggiungersi che il G non era rappresentante legale della società e, quindi, non avrebbe mai potuto operare per la stessa "scudando" tutte le somme evase, operazione oltretutto osteggiata dagli altri soci attualmente coimputati. Pertanto, a parere della difesa, il profitto dell'evasione IRES concernente la quota di competenza del G sarebbe stato indubbiamente restituito e, di conseguenza, la non applicazione della causa di non imputabilità si porrebbe in contrasto l'art. 27 Cost. 2.7. - Con un settimo motivo, si deducono vizi della motivazione, nonché la violazione dell'art. 114 cod. pen., con riferimento al mancato riconoscimento della relativa circostanza attenuante. In particolare, i giudici del gravame avrebbero negato il riconoscimento della predetta attenuante senza valutare tutti gli elementi emersi dall'istruttoria dibattimentale e senza fornire una risposta puntuale alle doglianze sollevate dalla difesa. La Corte d'appello avrebbe dovuto considerare che: l'operazione era stata ideata da altri;
la stessa era stata oggetto di differente rappresentazione da parte dell'imputato, secondo cui la la G.B.C. era partner pregresso della MED INGEGNERIE;
il conto corrente monegasco era stato aperto per finalità differenti e del tutto lecite;
il potere di firma relativo al predetto conto era condiviso con l'imputato B;
la partecipazione alle riunioni sociali non poteva costituire prova del rafforzamento morale dell'altrui proposito, in quanto condotta tipica e necessaria per l'ordinaria gestione degli affari sociali. Tali elementi avrebbero dunque dimostrato la minima importanza dell'azione del G al quale, di conseguenza, doveva essere riconosciuta la circostanza attenuante di cui all'art. 114 cod. pen. 2.8. - Si censura, infine, la violazione degli artt. 322 ter cod. pen. e 12 bis d.lgs. n. 74 del 2000, sul rilievo, che la Corte d'appello, pur riducendo la misura della confisca disposta nei confronti del ricorrente, non l'ha revocata, sebbene gli accertamenti con adesione da cui era derivato il pagamento di un'ingente somma da parte dell'imputato riguardavano l'omessa dichiarazione del reddito da capitale conseguente all'evasione di imposta ascrivibile alla MED. Parimenti, la Corte territoriale avrebbe errato nel confermare la disposizione della confisca per equivalente a danno degli imputati, senza considerare che al momento dell'emanazione del decreto di sequestro preventivo (settembre 2013) la MED INGEGNERIE non era ancora fallita e, pertanto, si poteva procedere al sequestro dei beni sociali della stessa, così privilegiando la confisca diretta del profitto del reato. 3. - Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore, anche l'imputato Mario G, chiedendone l'annullamento. 3.1. - Con un primo motivo di ricorso si censurano la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 4 della legge n. 146 del 2006, sul rilievo che i giudici del merito avrebbero errato nel ritenere che la G.B.C., società di cui la MED INGEGNERIE si era servita per l'emissione di fatture per operazioni inesistenti, potesse rientrare nel paradigma di "gruppo criminale organizzato" come delineato dalla giurisprudenza di legittimità. A tale proposito, la difesa sostiene l'asserita inutilizzabilità della testimonianza resa daltSig. L (agente olandese), che aveva descritto in dibattimento la struttura e l'organizzazione della G.B.C. senza fornire alcun documento a supporto di quanto riferito e dunque fondando l'intera ricostruzione sulle proprie reminiscenze personali. Secondo la difesa, la testimonianza resa dal L sarebbe priva di valore probatorio perché inidonea a consentire l'identificazione certa dei vari soggetti indicati e soprattutto non riscontrata da alcun elemento esterno. Sulla base della Mera testimonianza non sarebbe infatti possibile stabilire con certezza se la G.B.C. fosse composta da più persone, ovvero se più persone avessero mai svolto attività utili alla perpetrazione del reato in esame. Al contrario, l'unico dato documentato ricavabile dalle dichiarazioni del L avrebbe riguardato l'identificazione del sig. P quale unico soggetto che coordinava l'attività criminale posta in essere dalla G.B.C. ed intratteneva i rapporti con la MED INGEGNERIE (circostanza confermata anche dallo stesso imputato G che, durante l'interrogatorio, aveva identificato il solo P quale interlocutore della MED INGEGNERIE per lo sviluppo dell'attività criminale). Difettando la prova decisiva della sussistenza di un gruppo criminale organizzato che coadiuvasse gli imputati nella perpetrazione del reato in esame, la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere sussistente la circostanza aggravante della transnazionalità. Parimenti, i giudici del gravame avrebbero errato nel ritenere che la circostanza in esame era imputabile agli odierni ricorrenti anche sulla base dell'art. 59, comma 2, cod. pen., per avere essi ignorato per colpa la cooperazione dell'ampio gruppo criminale operante in più paesi. A parere della difesa, infatti, la Corte d'appello non avrebbe fornito alcun elemento idoneo a dimostrare che il G avesse ignorato per colpa la sussistenza degli elementi fattuali integranti la circostanza in questione, ma, al contrario, avrebbe preso in considerazione i soli rapporti intercorsi tra l'attuale ricorrente e il Sig. P senza nulla affermare in merito ad eventuali contatti con altri soggetti operanti nella G.B.C, attraverso i quali l'imputato avrebbe potuto prevedere che l'attività posta in essere dalla società ausiliaria si collocasse nell'ambito di una rete criminale organizzata operante a livello transnazionale. Al contrario, secondo la difesa, l'esiguità delle fatture richieste dal G alla G.B.C. avrebbero dimostrato che egli non poteva prevedere che il P si servisse di un gruppo criminale organizzato per portare a termine le operazioni e che, dunque, non aveva assunto un atteggiamento colpevole nell'ignorare la struttura della rete. 3.2. - Con un secondo motivo di ricorso si censurano il vizio di motivazione e la violazione di legge in relazione all'applicazione della confisca per equivalente ex art. 12 bis d.lgs. n. 74 del 2000. In primis, si censura l'erronea l'applicazione della confisca per equivalente in luogo della confisca diretta del patrimonio sociale della MED INGEGNERIA quale profitto del reato. Si sostiene che la Corte d'appello avrebbe errato nel negare l'applicazione della confisca diretta sulla base della dichiarazione di fallimento della MED INGEGNERIE perché 8 /'\3 al momento della disposizione del sequestro preventivo sui beni personali dei soci la MED non era ancora fallita e disponeva di un attivo patrimoniale sequestrabile e successivamente confiscabile (la dichiarazione di fallimento sarebbe infatti intervenuta nel 2015). Da un secondo punto di vista i giudici del gravame avrebbero errato nel disporre la confisca di beni che ancor prima dell'emanazione del decreto di sequestro preventivo erano stati attribuiti alla ex moglie dell'imputato in sede di separazione. A tale proposito, la difesa sottolinea l'omessa motivazione con riferimento alla permanente disponibilità del bene in capo al G nonostante la perdita di titolarità dell'immobile, requisito richiesto dalla giurisprudenza di legittimità per l'applicazione della confisca per equivalente su beni di titolarità di un terzo estraneo al reato. Nel caso di specie, secondo la difesa, la Corte territoriale avrebbe dovuto considerare che l'imputato risiedeva da tempo presso i propri genitori e dunque non poteva godere della disponibilità dei beni attribuiti alla moglie in sede di separazione. Infine, la confisca disposta dalla Corte d'appello avrebbe illegittimamente superato l'ammontare complessivo del profitto conseguente al reato contestato e i giudici del gravame avrebbero erroneamente applicato, senza neppure motivarne le ragioni, il principio solidaristico che dovrebbe animare il solo sequestro preventivo e non anche la confisca, per la quale, al contrario, dovrebbe valutarsi il profitto singolarmente tratto dal singolo imputato. Conseguentemente, sarebbe contradditoria la riduzione della confisca applicata al solo G;
secondo la difesa, se si opta illegittimamente per l'applicazione del principio solidaristico, almeno lo si deve applicare anche in positivo, riducendo la confisca per tutti gli imputati in virtù delle somme corrisposte dal G. 3.3. - Con un terzo motivo di ricorso, si censurano la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio applicato all'imputato. In particolare, la motivazione della Corte territoriale sarebbe carente ed illogica rispetto alle risultanze probatorie, perché i giudici non avrebbero considerato che il G aveva portato avanti la comune volontà della compagine sociale e che gli altri due imputati avevano avuto un ruolo preminente nella realizzazione del reato. A tale proposito, non poteva sottovalutarsi il fatto che il G avesse un interesse economico sicuramente attenuato rispetto a quello dei coimputati, in quanto socio minoritario, e neppure il fatto che, senza la cooperazione del G (che aveva aperto il conto monegasco su cui confluivano i flussi provenienti dalla G.B.C), non sarebbe stato possibile porre in essere il reato contestato. Inoltre, la Corte territoriale avrebbe evaso il proprio onere di motivazione rafforzata per la determinazione di una sanzione nettamente superiore rispetto al minimo edittale, limitandosi ad evidenziare il dirimente contributo oggettivo fornito dall'imputato, senza considerare a suo favore i profili soggettivi di cui all'art. 133 cod. pen. 3.4. - Con un ultimo motivo, si censura la violazione degli artt. 253, comma 2, 260 cod. proc. pen., 81 del d.lgs. n. 271 del 1989 e 15 Cost. Si sostiene che il sequestro disposto nei confronti del G è illegittimo e le prove da lui acquisite conseguentemente sono inutilizzabili, perché il computer sequestrato e portato via dall'abitazione dell'imputato non era stato assicurato mediante chiusura in plico sigillato o mediante altro mezzo idoneo a garantire il mantenimento dello status quo ante. Dalla relazione della Guardia di Finanza, sarebbe emerso, altresì, che non si era proceduto alla duplicazione dell'hard disk nell'immediatezza della perquisizione lasciando il pc nella disponibilità dell'imputato (cosa che, secondo la difesa, avrebbe consentito di confrontare il materiale sequestrato e quello nel computer) e che il sequestro non era stato operato da personale appartenente a sezione specializzata in ambito informativo, con violazione dell'ordinario protocollo di acquisizione delle prove informatiche ("copia informatica conforme", "blocco in scrittura"). L'illegittimo modus procedendi avrebbe determinato un insuperabile problema di acquisizione, trattamento e custodia delle prove, stante l'impossibilità di evitare rischi di alterazione probatoria e dunque garantire la piena identità tra i file estratti al momento della perquisizione ed il materiale esaminato successivamente dal consulente. In più, a parere della difesa, il sequestro disposto ed operato su tutti i componenti del PC (anche quelli estranei rispetto alle esigenze di indagine) avrebbe comportato la violazione dei diritti fondamentali dell'imputato, costituzionalmente garantiti. 4. - Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore, anche Werther B, chiedendone l'annullamento. 4.1. - Con un primo motivo di ricorso si censura la violazione di legge con riferimento alla dichiarazione di inammissibilità per tardività dell'appello principale proposto dall'imputato. A parere del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe errato nel dichiarare l'inammissibilità del ricorso, stante l'affidamento nutrito dal B nelle modifiche legislative introdotte dal d.l. n. 132 del 2014, che avevano condotto le Sezioni Unite della Corte di cassazione ad interrogarsi sul periodo di sospensione dei termini di deposito delle sentenze e, conseguentemente, dei termini di impugnazione. Secondo la difesa, sebbene le Sezioni Unite si siano pronunciate in senso difforme, la Corte territoriale avrebbe dovuto considerare che nel corso del processo de quo la questione era ancora pendente e, conseguentemente, avrebbe dovuto valorizzare l'affidamento riposto dall'imputato nelle modifiche legislative intervenute. 4.2. - Con un secondo motivo di ricorso, si censura la violazione dì legge con riferimento alla pronuncia di inammissibilità del ricorso incidentale proposto dall'imputato, come conseguenza della preliminare inammissibilità del ricorso principale. A parere della difesa, secondo il disposto di cui all'art. 584 cod. proc. pen., qualsivoglia parte processuale è legittimata a proporre impugnazione incidentale una volta ricevuta la comunicazione o notificazione relativa all'appello principale generalmente inteso, quindi anche quello proposto dai computati. Al tempo stesso, secondo quanto stabilito dall'art. 595 cod. proc. pen., l'impugnazione incidentale perderebbe efficacia in caso di inammissibilità di quella principale o rinuncia alla stessa solo nel caso in cui quest'ultima sia stata proposta dal Procuratore generale o dal coimputato, ma non certo quando proposta dallo stesso imputato che abbia presentato tanto l'impugnazione principale dichiarata inammissibile quanto quella incidentale. 4.3. - Con un ultimo motivo, si invoca l'operatività dell'effetto estensivo dell'impugnazione di cui all'art. 587 cod. proc. pen. Nel caso di specie, secondo la prospettazione difensiva, sussisterebbe l'identità sostanziale tra la posizione del B e quella dei coimputati appellanti e dunque il B sarebbe legittimato a costituirsi nel giudizio di cassazione, al fine di far valere l'effetto estensivo in caso di annullamento senza rinvio, mentre nel caso di annullamento con rinvio potrebbe costituirsi nel giudizio di rinvio e avvalersi degli effetti favorevoli. Nel caso di specie l'imputato potrebbe altresì avvalersi dell'intervenuta prescrizione per i fatti di reato risalenti al 2006, prescritti prima del passaggio in giudicato della sentenza pronunciata nei suoi confronti (2 marzo 2018).
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