Cass. civ., sez. II, sentenza 10/05/2023, n. 12656
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ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 5106-2018 proposto da: C G, rappresentata e difesa dall’avvocato M M giusta procura in calce al ricorso;-ricorrente - contro FALLIMENTO PRAGMA SINERGIE DI CAROLLO CATERINA E C SAS E DEL SOCIO CAROLLO CATERINA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VICENZA 26, presso lo studio dell'avvocato G F, rappresentato e difeso Ric. 2018 n. 05106 sez. S2 -ud. 27-04-2023 -2- dall'avvocato O M D M in virtù di procura in calce al controricorso;-controricorrente - nonché contro ITALFONDIARIO SPA, SEZIONE CREDITO FONDIARIO BANCO SICILIA oggi UNICREDIT SPA;-intimati - avverso la sentenza non definitiva n. 1832 della CORTE D'APPELLO di P, depositata il 10/10/2016, nonché quella definitiva n. 2102/2017 depositata il 15/11/2017;Lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice Generale, dott.ssa MARIA ROSARIA DELL’ERBA, che ha chiesto accogliersi il primo motivo del ricorso, con assorbimento dei restanti motivi;Lette le memorie di parte controricorrente;udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/04/2023 dal Consigliere Dott. M C;RAGIONI IN FATTO DELLA DECISIONE La curatela del Fallimento della Pragma Sinergie di C C C. s.a.s. conveniva dinanzi al Tribunale di Palermo C G, Banca Intesa S.p.A., già Banca Commerciale Italiana S.p.A., e la sezione di Credito Fondiario del Banco di Sicilia S.p.A., al fine di chiedere lo scioglimento della comunione sull’appartamento in Palermo alla via Malaspina n. 135, piano ottavo, del quale la fallita C C era comproprietaria al 50 % con la sorella C Ric. 2018 n. 05106 sez. S2 -ud. 27-04-2023 -3- Giovanna, atteso che il tentativo di vendita all’incanto della quota indivisa appartenente al fallimento non era andato a buon fine. Si costituiva C G che non si opponeva alla divisione ma in via riconvenzionale deduceva di essere proprietaria con la sorella di un terreno con soprastante fabbricato in Termini Imerese alla contrada Patteri, di cui chiedeva del pari la divisione, non senza evidenziare che con sentenza del Tribunale di Palermo n. 942/2006 la domanda di divisione di tutti i beni immobili in comunione era stata rigettata. Nella resistenza di I S.p.A., che deduceva di essere titolare di un credito nei confronti di C G, per il quale era stata iscritta ipoteca giudiziale sull’immobile, e chiedeva di poter conservare la garanzia reale, il Tribunale adito con la sentenza n. 2005 del 21 aprile 2009 dichiarava inammissibili le domande di scioglimento della comunione, in quanto precluse dal giudicato rappresentato dalla precedente sentenza n. 942/2006, che aveva in realtà rigettato la domanda di divisione sia dell’appartamento che del terreno. Avverso tale sentenza ha proposto appello la curatela cui resisteva C G proponendo appello incidentale. Resisteva anche I che reiterava le richieste avanzate in primo grado. La Corte d’Appello di Palermo, con la sentenza non definitiva n. 1832 del 10 ottobre 2016, in parziale riforma della sentenza appellata, dichiarava divisibile l’appartamento in via Ric. 2018 n. 05106 sez. S2 -ud. 27-04-2023 -4- Malaspina, rimettendo la causa sul ruolo per il prosieguo dell’istruttoria. A tal fine rilevavache il principio del divieto del ne bis in idem opera solo quando la prima domanda sia stata definita con una pronuncia di merito, e non anche ove la definizione sia stata di mero rito. La sentenza del Tribunale invocata come giudicato non conteneva un accertamento nel merito anche quanto alla indivisibilità dell’appartamento, in quanto si era limitata ad appurare solo l’incommerciabilità del terreno e dell’immobile ivi edificato, senza assumere alcuna statuizione di merito circa l’immobile urbano. La richiesta della curatela di procedere alla divisione solo di quest’ultimo cespite era quindi ammissibile ed andava accolta, dovendosi rimettere la causa in istruttoria per verificare la concreta divisibilità in natura. Era da disattendere poi l’appello incidentale di C G che chiedeva di estendere la divisione anche agli altri beni in comune con la sorella, e ciò in quanto per gli stessi era stata accertata la incommerciabilità, per la presenza di irregolarità urbanistiche mai sanate. Né poteva ammettersi la divisione solo del terreno, in quanto, come rilevato nella prima sentenza del Tribunale, deve operare il principio della onnicomprensività della divisione, per effetto del quale, non essendo stata avanzata domanda solo per il terreno, ma unitariamente per il terreno e per l’edificio Ric. 2018 n. 05106 sez. S2 -ud. 27-04-2023 -5- ivi realizzato, l’incommerciabilità del secondo attraeva nella medesima sorte anche il primo. Con la sentenza definitiva n. 2102 del 15 novembre 2017, la Corte d’Appello dava atto della non comoda divisibilità in natura del bene per il quale si procedeva, e lo attribuiva alla convenuta C G, che ne aveva fatto richiesta, con la condanna al versamento dell’eccedenza in favore della curatela. Quanto alla domanda di I, rilevava che andava conservata la garanzia ipotecaria che l‘istituto vantava sul bene Per la cassazione di tali sentenze propone ricorso C G sulla base di quattro motivi. A tale ricorso resiste con controricorso, illustrato anche da memorie, la curatela del fallimento della Pragma Sinergie di C C C. s.a.s. Gli altri intimati non hanno svolto difese in questa fase. RAGIONI IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1.Il primo motivo di ricorso proposto avverso la sentenza non definitiva, e conseguentemente anche contro quella definitiva, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c., anche in relazione agli artt. 17 e 40 della legge n. 47/1985, ed agli artt. 1111 e ss. e 713 e ss. c.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, quanto al contenuto della precedente sentenza n. 942/2006 del Tribunale di Palermo. Ric. 2018 n. 05106 sez. S2 -ud. 27-04-2023 -6- Assume la ricorrente che il presente giudizio scaturiva dalla domanda della curatela di provvedere alla divisione della comunione esistente tra le sorelle C sul solo appartamento in Palermo, onde aggirare gli effetti della precedente sentenza dello stesso Tribunale di Palermo, peraltro passata in cosa giudicata, con la quale era stata rigettata la domanda di divisione della comunione insistente anche sul terreno e sul fabbricato in Termini Imerese. Tale tentativo è stato però vanificato dalla domanda riconvenzionale della convenuta che, anche in questa sede, ha esteso la domanda di divisione agli altri beni comuni. Il Tribunale in primo grado aveva correttamente inteso l’efficacia di giudicato della sua precedente sentenza, ed aveva quindi ritenuto che il rigetto della domanda di divisione inizialmente proposta dalla curatela ed estesa a tutti i beni comuni, spiegasse effetto anche nel presente giudizio e che quindi impedisse di dividere il solo appartamento, stante l’applicabilità anche in questa occasione del principio di onnicomprensività della divisione. Il motivo è infondato. Occorre a tal fine dare sinteticamente conto del contenuto della sentenza del Tribunale di Palermo n. 942/2006, passata in cosa giudicata, e la cui efficacia è posta a fondamento del motivo in esame. Il Tribunale, in tale occasione, decidendo sulla domanda di scioglimento della comunione immobiliare relativa a tutti i beni in comunione tra le germane C (appartamento in Ric. 2018 n. 05106 sez. S2 -ud. 27-04-2023 -7- Palermo e terreno con sovrastate fabbricato in Termini Imerese), si è specificamente soffermato sull’accertamento della irregolarità urbanistica di uno solo dei beni in comunione, e cioè del terreno e fabbricato fuori città. Quanto al fabbricato ha richiamato il disposto di cui all’art. 17 della legge n. 47 del 1985, che sanziona con la nullità la divisione di immobili privi della concessione ad edificare (oggi permesso di costruire) originaria ovvero in sanatoria, mentre quanto al terreno ha fatto richiamo all’art. 18 della medesima legge che condiziona la validità della divisione di terreni alla allegazione del certificato di destinazione urbanistica. Ha, quindi. ribadito che tali norme, unitamente a quella di cui all’art. 40, per gli abusi realizzati dopo il 1967 e prima dell’entrata in vigore della legge n. 47 del 1985, si applicano anche alle divisioni giudiziali il che giustificava la valutazione di incommerciabilità per il fabbricato. Quanto all’appartamento, senza alcuna verifica circa la legittimità urbanistica del cespite, ha fatto richiamo al principio di onnicomprensività della divisione, per giungere ad affermare che non poteva addivenirsi alla divisione del bene, sebbene regolare urbanisticamente, essendo mancata una domanda di divisione parziaria. Alla luce del tenore di tale sentenza deve reputarsi che la stessa rivesta efficacia di giudicato anche sostanziale circa l’incommerciabilità dei beni comuni con la conseguente l’impossibilità di procedere alla loro divisione, solo per il beni ubicati in Termini Imerese, e che invece il rigetto della Ric. 2018 n. 05106 sez. S2 -ud. 27-04-2023 -8- domanda per la divisione dell’immobile in Palermo sia stato determinato da una ragione di carattere processuale, rappresentata appunto dall’assenza nelle richieste della curatella in quella sede di una domanda di divisione parziaria, che impediva quindi di poter pervenire alla divisione del solo appartamento, di cui peraltro in motivazione si dava atto della legittimità urbanistica. Trattasi di affermazioni che confortano la conclusione del giudice di appello che ha ritenuto che, pur a fronte di una formula in dispositivo di rigetto della domanda, il rigetto era riferito alla domanda prevedeva come oggetto necessariamente tutti i beni in comune tra le C, e che quindi non precludeva la successiva riproponibilità della domanda di divisone, quanto al bene di cui non era stata appurata l’abusività o comunque la carenza dei requisiti sostanziali per la divisione. Deve quindi reputarsi che l’esito cui è pervenuto il giudice di appello sia del tutto conforme alla giurisprudenza di questa Corte che, nella sua più autorevole composizione, ha affermato in primo luogo che gli atti di scioglimento delle comunioni relative ad edifici, o a loro parti, sono soggetti alla comminatoria della sanzione della nullità prevista dall'art. 40, comma 2, della legge n. 47 del 1985 per gli atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali relativi ad edifici realizzati prima della entrata in vigore della detta legge, nonché dall'art. 46, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001 (già art. 17 della legge n. 47 del 1985), per quelli realizzati in epoca successiva, ove dagli atti Ric. 2018 n. 05106 sez. S2 -ud. 27-04-2023 -9- non risultino gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria, ovvero ad essi non sia unita copia della domanda di sanatoria corredata dalla prova del versamento delle prime due rate di oblazione o dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante che la costruzione dell'opera è stata iniziata in data anteriore al 1° settembre 1967 (Cass. S.U. n. 25021 del 07/10/2019). In tal senso è stato sottolineato come la regolarità edilizia del fabbricato è una condizione dell'azione ex art. 713 c.c., sotto il profilo della "possibilità giuridica", e non potendo la pronuncia del giudice realizzare un effetto maggiore e diverso rispetto a quello che è consentito alle parti nell'ambito della loro autonomia negoziale, così che la mancanza della documentazione attestante la regolarità edilizia dell'edificio e il mancato esame di essa da parte del giudice sono rilevabili d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio. E’ pur vero che nella stessa sentenza è stato evidenziato che, in forza delle disposizioni eccettuative di cui all'art. 46, comma 5, del d.P.R. n. 380 del 2001 e all'art. 40, commi 5 e 6, della legge n. 47 del 1985, lo scioglimento della comunione (ordinaria o ereditaria) relativa ad un edificio abusivo che si renda necessario nell'ambito dell'espropriazione di beni indivisi (divisione cd. "endoesecutiva") o nell'ambito del fallimento (ora, liquidazione giudiziale) e delle altre procedure concorsuali (divisione cd. "endoconcorsuale") è sottratto alla comminatoria di nullità prevista, per gli atti di scioglimento della comunione aventi ad oggetto edifici abusivi, dall'art. 46, Ric. 2018 n. 05106 sez. S2 -ud. 27-04-2023 -10- comma 1, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e dall'art. 40, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, ma trattasi di affermazione che non può avere spazio in questa sede, posto che, per quanto evidenziato, si è formato un giudicato sostanziale sulla non commerciabilità degli immobili in Termini Imerese, che impedisce di poter invocare la successiva puntualizzazione operata dalle Sezioni Unite. Ma per quanto rileva specificamente in questa sede, la Corte ha anche chiarito che, nell'ipotesi in cui tra i beni costituenti l'asse ereditario vi siano edifici abusivi, ogni coerede ha diritto, ai sensi dell'art. 713, comma 1, c.c., di chiedere e ottenere lo scioglimento giudiziale della comunione ereditaria per l'intero complesso degli altri beni ereditari, con la sola esclusione degli edifici abusivi, anche ove non vi sia il consenso degli altri condividenti. Tale ultimo principio, sebbene disatteso nella sentenza del Tribunale di Palermo n. 942/2006, conforta però il convincimento espresso dalla Corte d’Appello nella pronuncia impugnata per cui la eventuale incommerciabilità di uno dei beni comuni non può impedire che il condividente, e nella specie la curatela, esercitando il diritto del comproprietario fallito, faccia richiesta di divisione dei beni di cui sia stato escluso il carattere abusivo, essendo il precedente rigetto non correlato ad una valutazione di irregolarità urbanistica del bene per cui la curatela aveva reiterato la domanda di divisione, ma supportato da una pretesa impossibilità, in assenza di una esplicita richiesta, di addivenire ad una Ric. 2018 n. 05106 sez. S2 -ud. 27-04-2023 -11- divisione parziaria, valutazione questa evidentemente di natura processuale, e che come tale non preclude ex art.2909 c.c. la riproposizione della domanda di divisione, sebbene ad oggetto più limitato (dovendo invece escludersi che la convenuta potesse con la domanda riconvenzionale sollecitare una nuova decisione sulla divisione di beni di cui era stata definitivamente accertata l’abusività).
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