Cass. civ., sez. II, sentenza 10/09/2013, n. 20713
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In tema di distanze legali, la norma contenuta nell'art. 41 quinquies, lett. c), della legge 17 agosto 1942, n. 1150, introdotto dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765, secondo la quale, nelle nuove edificazioni a scopo residenziale, "la distanza dagli edifici vicini non può essere inferiore all'altezza di ciascun fronte dell'edificio da costruire", va osservata non solo nei casi in cui i Comuni siano sprovvisti di strumento urbanistico, ma anche quando negli stessi o nei regolamenti edilizi manchino norme specifiche che provvedano direttamente in materia di distanze.
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. O M - Presidente -
Dott. P L - rel. Consigliere -
Dott. M E - Consigliere -
Dott. M L - Consigliere -
Dott. P C A - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 26985-2007 proposto da:
CERBONE CARLO C.F. CRBCRL69M11F839E, RUSSANO ROSANNA C.F. RSSRNN63D58F839D, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 149, presso lo studio dell'avvocato F S (DECEDUTO), rappresentati e difesi dall'avvocato O G;
- ricorrente -
contro
ESPOSITO MATTIA, FUSCO MARIA, elettivamente domiciliati in ROMA, FORO TRAIANO 1/A, presso lo studio dell'avvocato P A, che li rappresenta e difende;
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 2775/2006 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 08/09/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/06/2013 dal Consigliere Dott. L P;
udito l'Avvocato O G difensore dei ricorrenti che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito L'Avv. A T con delega depositata in udienza dell'Avv. P A difensore dei controricorrenti che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per il rigetto del ricorso con condanna alle spese.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 2.4.99 Maria Fusco e Esposito Mattia, proprietari di un fondo con sovrastante fabbricato in Caivano, citarono al giudizio del Tribunale di Napoli i vicini Carlo Cerbone e Russo Rossana, per sentirli condannare
all'arretramento, oltre al risarcimento dei danni dell'edificio dai medesimi costruito sul loro suolo, in quanto posto a distanza inferiore a quella prescritta dal regolamento edilizio locale e non conforme alle disposizioni di cui alla L. 6 agosto 1967, n. 765, art.17 ed al D.M. 2 aprile 1968, n. 1444.
La domanda, che i convenuti avevano contestato opponendo la legittimità dell'edificazione, all'esito della consulenza tecnica di ufficio, venne respinta, con il carico delle spese, con sentenza n. 10287 del 2002, avverso la quale gli attori proposero appello, che, nella resistenza degli appellati, venne accolto dalla Corte di Napoli, con sentenza dei 24/5-8.8.2006, condannando il Cerbone e la Russano "ad arretrare, mediante demolizione, il primo, secondo e terzo piano dell'edificio....per la sola parte in corrispondenza dei manufatti costruiti dagli appellanti ...fino alla distanza di m. 6,5 ... a confine tra la loro proprietà e quella degli appellati", oltre al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio. Tale decisione veniva motivata sull'essenziale rilievo che, pur non prevedendo la normativa locale alcuna distanza degli edifici rispetto al confine, era invece prevista dall'art. 45 del regolamento edilizio allegato al locale piano di fabbricazione, richiamante il D.M. n. 1444 del 1968, una distanza rispetto ai preesistenti fabbricati vicini (nella specie costituiti da "due piccoli manufatti a confine" in precedenza realizzati dagli attori) pari all'altezza del nuovo edificio;in concreto, tenuto conto delle altezze variabili, nelle sue diverse componenti, dell'edificio costruito dai convenuti, lo stesso era risultato parzialmente irregolare, quanto alle distanze, nelle parti come sopra individuate.
Avverso la suddetta sentenza i soccombenti hanno proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui hanno resistito gli intimati con rituale controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano "nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell'art. 329 c.p.c., comma 2 e dell'art. 324 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4), lamentando, nella parte motiva,e formulando in quella conclusiva adeguato quesito di diritto, che i giudici di appello avrebbero indebitamente preso in esame ed accolto una domanda, quella basata sulla violazione delle distanze rispetto ai fabbricati frontistanti, dichiarata inammissibile, perché nuova, dal giudice di primo grado, che aveva esaminato nel merito, rigettandola, soltanto quella basata sulla diversa causale dell'inosservanza della distanza dal confine;tale dichiarazione d'inammissibilità, si soggiunge, non era stata impugnata dagli appellanti, e, pertanto, la questione sarebbe stata preclusa dal giudicato interno.
Con il secondo motivo si deduce "nullità del procedimento e della sentenza per violazione dell'art. 183 c.p.c., dell'art. 189 c.p.c., comma 1, dell'art. 281 quinquies c.p.c., comma 1, dell'art. 345 c.p.c., comma 1, (art. 360 c.p.c., n. 4)", essenzialmente ribadendo,
come si rileva dal formulato quesito ex art. 366 bis c.p.c., sotto la diversa ottica delle citate disposizioni processuali, la tesi dell'inammissibilità della domanda, con riferimento alla causale della distanza tra costruzioni correlata all'altezza, formulata dagli attori tardivamente in primo grado e poi con l'atto di appello, domanda erroneamente accolta dalla corte territoriale, nonostante gli appellati avessero riproposto l'eccezione di inammissibilità sollevata in primo grado.
I suesposti motivi, da esaminare congiuntamente per la stretta relazione delle censure, sono privi di fondamento.
Con l'atto introduttivo del giudizio (il cui diretto esame è consentito in questa sede per la natura processuale delle proposte censure) gli attori non si limitarono a denunciare la violazione della distanze rispetto al proprio fabbricatola dedussero a fondamento delle richieste, demolitoria e risarcitoria, anche il contrasto tra l'edificazione posta in essere dai vicini e "le norme di cui alla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 17 e quelle del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 che, anch'esse, hanno natura di norma
integrativa del Codice Civile e quindi inderogabili" (così testualmente a pag. 2, cpv. secondo, dell'atto di citazione). A tanto aggiungasi che la richiesta di arretramento della costruzione dei vicini, basata sull'assunta violazione della normativa sulle distanziale a dire dell'art. 873 c.c. e di tutte le norme, statali o locali, integrative della relativa disciplina, costituiva una domanda a tutela della proprietà, riconducibile alla previsione di cui all'art. 849 c.c., diretta a negare la legittimità dell'esercizio in concreto dello ius aedificandi da parte dei proprietari confinanti, in funzione della quale il fondamentale principio iura novit curia imponeva al giudice, quali che fossero i richiami normativi dedotti dalla parte attrice, a ricercare ed applicare alla fattispecie le norme di relazione pertinenti (in proposito v. Cass. n. 2965 del 1998, che in fattispecie analoga esclude il vizio di extrapetizione). Nessuna violazione, pertanto, del principio di corrispondenza di cui all'art. 112 c.p.c. vi è stato da parte della corte di merito, ne' di eventuali giudicati interni, tanto più che gli appellanti attori, avevano, nell'atto di impugnazione devoluto al giudice il riesame totale della questione sulle distanze, espressamente, tra Teatro e segnatamente, lamentando la mancata applicazione da parte del primo giudice delle norme previste dalla L. n. 765 del 1967, art. 17 (introduttivo L. n. 1150 del 1942, art. 41 quinquies) e del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 che il Tribunale, ponendosi in palese contrasto con la giurisprudenza consolidata di questa Corte (tra le tante v. nn. 11431/09, 17089/06, quanto alla prima disposizione, nn. 5878/06, 22495/07, 3199/08, quanto alla seconda), aveva erroneamente ritenuto dirette ai soli Comuni e non integrative della disciplina codicistica.
Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 45 del locale regolamento edilizio, sostenendo che tale norma, disciplinando le altezze massime degli edifici e i criteri di calcolo nelle distanze ammissibili fra i fabbricati, non conterrebbe alcuna previsione del distacco fra costruzioni (come fra costruzioni e confine), così come confermato dalla nota in data 27.9.2001 del Comune di Caivano, di cui il primo giudice aveva tenuto conto. Nè varrebbe il richiamo, contenuto nella suddetta norma, al D.M. n. 1444 del 1968, in riferimento alla L. n. 1150 del 1942, art. 41 quinquies poiché quest'ultima disposizione (che si assume "peraltro non d'immediata applicazione tra privati"), prevedendo per le zone C (come quella in considerazione) distacchi tra pareti finestrate, qualora gli edifici si fronteggino per almeno 12 metri, non avrebbe potuto trovare applicazione nella specie, in cui i fabbricati si fronteggiavano per meno di 12 metri e senza pareti finestrate;
sicché la distanza applicabile tra le costruzioni sarebbe stata nella specie quella di m. 3 prevista dall'art. 873 c.c. (v. quesito di diritto). Anche tale motivo va respinto.
Richiamato il principio,in precedenza ribadito, a termini del quale le norme statuali sopra indicate devono considerarsi integrative di quelle codicistiche in tema di distanze, e non derogabili da quelle locali, è agevole osservare che la dedotta assenza nella normativa regolamentare locale di norme prevedenti distanze diverse da quelle di cui all'art. 873 c.c. non giova alla tesi sostenuta dai ricorrenti,tenuto conto dell'altro principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la norma contenuta nella L. n. 1150 del 1942, art. 41 quinquies, lett. c) introdotta con la L. n. 765 del 1967, art. 17 secondo la quale, nelle nuove edificazioni a
scopo residenziale, "la distanza dagli edifici vicini non può essere inferiore all'altezza di ciascuna fronte dell'edificio da costruire", va osservata non solo nei casi in cui i Comuni siano sprovvisti di strumento urbanistico,ma anche quando negli stessi o nei regolamenti edilizi manchino norme specifiche che provvedano direttamente in materia di distanze (v. S.U. n. 11489 del 1.8.2002, conf., tra le altre, Cass. 2A nn. 17861/02, 7225/06, 13338/06). Poco o punto rileva, infine, nella fattispecie, in cui il giudice di merito ha tenuto conto della disposizione di cui sopra (peraltro applicandola in termini più favorevoli alla parte convenuta, limitando il distacco da osservare alla metà dell'altezza), il richiamo al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 disposizione nella specie inconferente, non vertendosi in ipotesi di fronteggiamento tra pareti finestrate.
Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la corte di merito ritenuto, ai fini dell'applicazione del principio della prevenzione, che l'edificazione da parte degli attori avesse preceduto quella dei convenuti, senza prove al riguardose tener conto che questi ultimi, come accertato dal c.t.u e dato atto nella sentenza di primo grado (con argomentazione non censurata dagli appellanti), avevano realizzato nel 1983 i piani seminterrato, terra e primo;ne' in contrario avrebbe potuto attribuirsi valenza decisiva al contenuto della comparsa conclusionale degli appellati, non potendo l'argomento di prova desumersi da una isolata affermazione difensiva, di per sè sola inidonea a connotare il contegno processuale della parte. Anche tale motivo è privo di fondamento.
Premesso che la questione dedotta risulta rilevante soltanto in relazione a quella parte della decisione relativa all'arretramento parziale del primo piano, risalente al 1983, del fabbricato dei ricorrenti convenuti (avendo il giudice di appello ritenuto regolari le distanze quanto ai piani sottostanti, mentre, per quelli superiori, secondo e terzo, la relativa edificazione risulta avvenuta nel 1993), si osserva che anche in tali limitati termini di astratta decisività, la censura non merita accoglimento, attaccando una valutazione in fatto adeguatamente motivata dalla corte di merito, che non si è limitata a valorizzare una isolata affermazione difensiva,contenuta nella comparsa conclusionale, ma, come si rileva dalla motivazione, ha tenuto conto anche della precedente e richiamata ammissione, circa l'anteriore esistenza dei due fabbricati attorei sul confine, contenuta nella comparsa di costituzione e risposta di primo grado di tale parte, nella quale si era addirittura articolato una richiesta di prova testimoniale in tal senso. In cospetto dell'inequivoca convergenza di tali ammissioni, relative ad una circostanza di fatto sulla quale era stata improntata, a contestazione dell'avversa domanda, l'iniziale linea difensiva (evidentemente diretta a dimostrare che anche gli attori non avevano rispettato quella distanza dal confine da loro addebitata ai convenuti), ragionevolmente la corte di merito non ha tenuto conto di altre deduzioni difensive di tenore diverso, in quanto funzionali alla subordinata tesi della prevenzione, poi sviluppata e privilegiata nel grado di appello.
Con il quinto motivo si deduce omissione, insufficienza o contraddittorietà della motivazione sul fatto controverso e decisivo, ai fini della prevenzione,costituito dall'anteriorità (o meno) della costruzione dei due piccoli fabbricati degli attornia cui preesistenza, rispetto alle edificazioni dei convenuti (seminterrato, piano terra e primo piano del 1983, ampliamento del piano rialzato e sopraelevazione in secondo e terzo piano del 1997), data per scontata dalla corte, non solo non era stata provata, ma era stata espressamente contestata nella comparsa conclusionale di primo grado dai convenuti.
Il motivo, sostanzialmente ripetitivo del precedente, va respinto per le medesime ragioni sopra esposte.
Si rigetta, conclusivamente, il ricorso, con condanna dei soccombenti alle spese.