Cass. civ., sez. III, sentenza 15/05/2018, n. 11766

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. III, sentenza 15/05/2018, n. 11766
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 11766
Data del deposito : 15 maggio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

ato la seguente SENTENZA sul ricorso 18422-2015 proposto da: S F, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DE

CAROLIS UGO

101, presso lo studio dell'avvocato F F, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato P G giusta procura in calce al ricorso;
2017

- ricorrente -

2058

contro

P E, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

PANAMA

88, presso lo studio dell'avvocato G S, rappresentato e difeso dall'avvocato G P N giusta procura in calce al controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 1526/2014 della CORTE D'APPELLO di BOLOGNA, depositata il 17/06/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/10/2017 dal Consigliere Dott. S G G;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. R F G che ha concluso per il rigetto;
udito l'Avvocato F F;
udito l'Avvocato G P N;

FATTI DI CAUSA

1. F S ricorre per cassazione, sulla base di quattro motivi, avverso la sentenza n. 1526/14 del 17 giugno 2014 della Corte di Appello di Bologna, che - riformando la sentenza pronunciata dal Tribunale di Ravenna n. 25/08 del 20 maggio 2008, in accoglimento del gravame proposto da E P - ha condannato l'odierna ricorrente sia a pagare al predetto P, a titolo di regresso ex art. 1950 cod. civ., la somma di C 5.388,15 (oltre interessi, nella misura legale, dal 22 gennaio 2007 al saldo), sia a restituirgli, ciò che qui interessa, un prestito dal primo erogatole nella misura di C 37.500,00. 2. Riferisce, in punto di fatto, l'odierna ricorrente di aver intrattenuto, per circa sei anni (dal 1998 al 2004), una convivenza more uxorio con il P, cimentandosi anche in una comune attività imprenditoriale per il sostentamento della vita di coppia, con scelta caduta su un negozio di abbigliamento, per la cui apertura veniva stipulato - in data 4 novembre 2000 - un mutuo chirografario, sottoscritto da entrambi i conviventi, ma in relazione al quale il P rilasciava pure duplice garanzia fideiussoria. Assume, dunque, l'odierna ricorrente che ambedue i conviventi si sarebbero occupati, con le stesse mansioni e pari capacità di gestione, dell'esercizio commerciale suddetto, contribuendo, inoltre, economicamente alla vita di coppia nei limiti delle proprie risorse. Terminata la relazione affettiva nel giugno 2004, la S ed il P - secondo quanto si legge sempre nel ricorso - cedevano ad un terzo acquirente, nei primi mesi del 2005, l'attività commerciale creata, senza che nessuna pretesa economica, in occasione dell'operazione di vendita, fosse avanzata dal P.Radicato da quest'ultimo un giudizio cautelare per la tutela del suo diritto, ritenendo il P che la S fosse propria debitrice in forza delle fideiussioni da esso prestate, oltre che in virtù di prestiti personali ammontanti ad C 37.500,00, denegata la richiesta cautelare, l'adito Tribunale respingeva anche l'azione volta all'accertamento del diritto dell'attore sia a rimanere indenne e manlevato da qualsivoglia conseguenza pregiudizievole derivante dalle fideiussioni prestate (o, in subordine, ad ottenere la ripetizione di tutte le somme che, per effetto delle stesse, fosse stato tenuto a pagare), sia ad ottenere la restituzione dei prestiti effettuati. Proposto appello dal P, la Corte felsinea, in accoglimento del gravame, provvedeva nei termini sopra riassunti, e ciò sul rilievo dell'inesistenza, nel caso di specie, degli "estremi per l'accertamento di una società di fatto" tra le parti, ovvero "per affermare l'esistenza di una comunione di fatto dal punto di vista patrimoniale estesa anche a rapporti estranei all'instaurata convivenza". Inoltre, quanto alla prima domanda attorea, la sentenza oggi impugnata sottolineava che "la veste di fideiussore del P ha un formale riscontro documentale che non è possibile superare sulla base di considerazioni meramente indiziarie". Con particolare riferimento, poi, alla domanda di restituzione del prestito, la stessa veniva accolta sulla base di un prospetto contabile, recante "l'indicazione dei «soldi resi ad E» e «da dare ad E»", dandosi atto come siffatta scrittura fosse stata "sottoscritta dalla S" (che provvedeva al riconoscimento di "sottoscrizione e contenuto" della stessa, in occasione dell'interrogatorio formale), evenienza che ne avrebbe avvalorato "la natura di atto formale e di riconoscimento di debito e non meramente contabile".

3. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna ha proposto ricorso per cassazione la S, sulla base - come detto - di quattro motivi.

3.1. Con il primo motivo, si deduce - ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. - "violazione degli artt. 1324, 1362 e 1963 c.c. e 2697 cod. civ., nonché degli artt. 113 e 115 cod. proc. civ.", sul rilievo che sarebbero stati disattesi "i criteri ermeneutici di interpretazione indicati dagli artt. 1362 cod. civ. e ss.", nonché per essere stata "omessa la ricostruzione della volontà delle parti", oltre che per essere stato "posto a fondamento della decisione una prova non proposta dalle parti". In particolare, si assume che il summenzionato prospetto contabile consisterebbe in "un foglio non sottoscritto, contenente confusi dati numerici, nemmeno sommati algebricamente e comunque interpretati senza essere posti in relazione al comportamento delle parti e alla' loro volontà". Più esattamente, la "completa assenza di sottoscrizione", comporterebbe che il giudice di appello, "in violazione di quanto imposto dall'art. 115 cod. proc. civ.", avrebbe "posto a fondamento della propria decisione un documento inesistente, mai offerto in produzione dalle parti". Inoltre, la decisione impugnata avrebbe riconosciuto "valore ricognitivo ad un calcolo (tot. C 37.500,00) che non ha neppure alcuna connessione con i dati numerici che lo precedono, sommando algebricamente i quali si giunge ad un risultato differente e pure inferiore". Infine, si nega che "da detto documento possa trasparire «una specifica intenzione ricognitiva» a favore del P", atteso che - secondo l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità - per l'applicazione dell'art. 1988 cod. civ. sarebbe "necessaria la consapevolezza del riconoscimento desunta da una dichiarazione univoca, tale da escludere che la relativa dichiarazione possa avere finalità diverse o che il riconoscimento resti condizionato da elementi estranei alla volontà del debitore. Con specifico riferimento a tale ultimo profilo di doglianza, va rimarcato come la ricorrente censuri la sentenza impugnata giacchè avrebbe "omesso di considerare" che la dichiarazione de qua era "riferita ad un'attività gestita in comune dalle parti" (il negozio di abbigliamento), come sarebbe stato agevole accertare sulla base di una serie di dati, idonei a rivelare la-affettiva volontà delle parti, e la cui mancata valorizzazione integrerebbe, dunque, violazione dei criteri ermeneutici indicati dalla legge. Rileverebbero, infatti, in tal senso: la disponibilità, da parte del P, del conto corrente intestato alla ditta S Flora, avendo delega completa ad operare su di esso, con potere di emissione di assegni;
la conduzione e definizione, sempre ad opera del medesimo, degli accordi per la cessione a terzi dell'azienda;
l'espresso consenso, manifestato, per iscritto, a tale operazione, senza avanzare alcuna rivendicazione in merito a propri asseriti crediti verso la S;
la fattiva ed assidua presenza del P nella gestione dell'esercizio commerciale.
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