Cass. civ., sez. I, ordinanza 14/04/2023, n. 10035

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. I, ordinanza 14/04/2023, n. 10035
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 10035
Data del deposito : 14 aprile 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

o la seguente ORDINANZA sul ricorso 4027-2020 proposto da: Gesafin s.r.l. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Adriana 15, presso lo studio dell'avvocato F V, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato prof. P G A, giusta procura speciale in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

Banco di Sardegna s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Emanuele Filiberto 66, presso lo studio dell'avvocato L M, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato G C, giusta procura speciale in calce al controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 4268/2019 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 20/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/11/2022 dal Consigliere Dott. L N.

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 17676/2016, respinse l'opposizione, proposta dalla debitrice principale Gesafin Immobiliare s.p.a. e dalla garante Gesafin s.p.a. contro il Banco di Sardegna s.p.a., avverso il decreto ingiuntivo, recante condanna al pagamento della somma di € 1.634.131,17, oltre interessi e spese, a titolo di saldo negativo di conti correnti dai quali l'istituto era receduto. Con sentenza del 20 giugno 2019, la Corte d'appello di Roma ha respinto l'appello principale delle società e dichiarato assorbito l'appello incidentale della banca. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Gesafin s.r.l. in liquidazione, sulla base di sette motivi. La banca intimata resiste con controricorso. Le parti hanno depositato la memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. - Con il primo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2558 c.c., 113 e 342 c.p.c., per avere la corte territoriale ritenuto preclusa al proprio esame, in mancanza di specifico appello sul punto, la valutazione del contenuto della comunicazione, inviata dalla banca alla correntista, contenente la notizia della segnalazione alla Centrale dei rischi, ma che era, nell'assunto di parte ricorrente, inidonea ad integrare un atto di recesso. Al contrario, prima di accertare se fosse provata la tempestività del recesso, era compito del giudice del merito valutare se davvero quell'atto fosse qualificabile come tale. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione dell'art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c., in /In quanto la corte d'appello ha omesso ogni motivazione circa la ritenuta esistenza di un atto di recesso. Con il terzo motivo, lamenta il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., con riguardo al fatto decisivo, rappresentato dall'inesistenza di un atto di recesso da parte della banca. Con il quarto motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1324, 1325, 1335, 1418, 1421 c.c. e 101 c.p.c., per non avere la sentenza impugnata rilevato ex officio la nullità del recesso, che conteneva una mera notizia di segnalazione alla Centrale dei rischi di Banca d'Italia, adempiendo così la banca ad un obbligo di legge, onde tale atto era privo degli elementi essenziali di un negozio, in particolare la volontà del dichiarante, nonché inidoneo a produrre gli effetti di cui all'art. 2558, comma 2, c.c. Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 2558, comma 2, c.c., in quanto la comunicazione della segnalazione alla Centrale dei rischi non operava nessun riferimento alla giusta causa di recesso, onde la corte territoriale non avrebbe potuto inquadrarla nella citata disposizione. Con il sesto motivo, la ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione dell'art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c., in quanto la corte d'appello ha omesso ogni motivazione circa l'esistenza di una giusta causa di recesso. Con il settimo motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2436, 2556, comma 2, 2558, comma 2, c.c., oltre ad omesso esame di fatto decisivo, per avere la sentenza impugnata ritenuto che il conferimento d'azienda sia divenuto efficace solo alla data di iscrizione del trasferimento del ramo d'azienda nel registro delle imprese il giorno 14 settembre 2011, avente però mera efficacia dichiarativa, laddove, invece, in data 30 marzo 2010 era già avvenuta l'iscrizione nel registro delle M, imprese dell'aumento del capitale sociale, deliberato con l'assemblea straordinaria del 22 marzo 2010 e liberato mediante il conferimento de quo;
plurime lettere comunque avevano segnalato alla banca, in data anteriore al settembre 2011, l'avvenuto trasferimento del ramo d'azienda, onde la prima ne aveva da tempo compiuta notizia. 2. - La corte del merito, per quanto qui rileva, ha ritenuto che: a) la questione relativa alla stessa esistenza di un recesso efficace ad opera della banca dai contratti de quibus non è stata oggetto di impugnazione, che attiene soltanto alla tempestività, o no, del recesso dalla medesima posto in essere, se sia stato cioè comunicato entro i tre mesi previsti dall'art. 2558 c.c.;
b) nel merito, l'onere di provare la notizia del trasferimento d'azienda prima dei tre mesi dalla comunicazione del recesso, al fine di rendere questo inefficace, grava su chi la deduce in giudizio, nella specie la società correntista, ma, sulla base dei documenti e delle prove in atti, tale prova non è stata raggiunta;
inoltre, l'art.2556 c.c. ha previsto il trasferimento d'azienda con effetti dall'iscrizione nel registro delle imprese, previsione ribadita dall'art. 5 del contratto traslativo, ed al riguardo sussiste la buona fede della banca, appunto considerato che, ove pure questa avesse conosciuto l'esistenza del contratto, comunque la detta clausola indicava chiaramente la sua efficacia solo dal momento della registrazione, mentre, ancora il 13 giugno 2011, il legale rappresentante della cedente aveva redatto moduli bancari;
c) il recesso comunicato il 10 novembre 2011 è dunque tempestivo, in quanto l'iscrizione nel registro delle imprese è avvenuta il 14 settembre 2011;
d) è inconferente il motivo di appello, in cui si sostiene la tesi della rilevanza di un aumento di capitale di Safab s.r.l. del 22 marzo 2010, sottoscritto mediante conferimento aziendale, in quanto trattasi di attività interne tra le parti, che non potrebbero Al comportare, neppure se note, la decorrenza del termine trimestrale predetto, entro cui la banca doveva avere il tempo di verificare la sussistenza di una giusta causa, per potere esercitare il suo diritto di recesso. 3. - Ciò posto, i motivi proposti debbono essere esaminati alla luce delle riportate argomentazioni della sentenza impugnata, per valutare se con esse si confrontino e si rendano accoglibili. 3.1. - Il primo motivo è infondato, con assorbimento del secondo, del terzo, del quinto e del sesto motivo. La corte del merito ha premesso non formare oggetto della sua delibazione il contenuto della lettera di recesso, come individuata innanzi al primo giudice e dalla sentenza del tribunale, in quanto non reso oggetto dell'atto di appello. Ora, pur costituendo l'appello una revisio prioris instantiae e non un novum iudicium, resta la necessità di formulazione dei motivi, occorrendo la denunzia di specifici vizi di ingiustizia o di nullità della sentenza di primo grado, ai sensi dell'art. 342 c.p.c. (fra le altre, Cass. 6 febbraio 2020, n. 2764;
Cass. 21 giugno 2019, n. 16786;
Cass. 13 aprile 2018, n. 9202;
Cass., sez. un., 16 novembre 2017, n. 27199), e resta altresì l'operatività dell'istituto dell'acquiescenza, ai sensi dell'art. 329 c.p.c., per le parti della decisione non impugnate. Tra i capi suscettibili di passare in giudicato vi è, qualora sia in contestazione l'esistenza di un valido recesso dal rapporto giuridico, la stessa individuazione di un atto di recesso nel documento negoziale, come dedotto dalle parti. Questa Corte ha chiarito che il giudicato si forma anche sulla qualificazione del rapporto, qualora le parti abbiano accettato sul punto la decisione del primo giudice, omettendone l'impugnazione e svolgendo le rispettive difese, proprio sul presupposto di quella qualificazione: in tal caso, infatti, il giudice di secondo grado, pur 71-1 trattandosi di qualificazione giuridica, non deve e non può riesaminare ex officio la questione. Invero, il potere-dovere decisorio del giudice dell'appello è correlato ai motivi, per il principio tantum devolutum quantum appellatum, onde lo stesso può dare alla domanda un fondamento giuridico diverso da quello esposto dalla parte, ma solo se ed in quanto sia stato, direttamente o indirettamente, investito del tema della qualificazione, e non già quando tale questione, risolta dal giudice di primo grado, non sia stata censurata in sede di impugnazione o non debba essere necessariamente riesaminata ai fini della decisione di una censura espressamente proposta, quale suo indefettibile presupposto (cfr. Cass. 1° dicembre 2010, n. 24339). Ciò, in quanto, nel vigente sistema processuale, è attribuito solo al giudice di primo grado il potere incondizionato di qualificazione della domanda, mentre al giudice di appello - in ragione dell'effetto devolutivo di tale impugnazione e della presunzione di acquiescenza di cui all'art. 329 c.p.c. - non è più permesso di mutare ex officio la qualificazione ritenuta dal primo giudice, a meno che questa non abbia formato oggetto d'impugnazione esplicita o, quanto meno, implicita, nel senso che una diversa qualificazione giuridica costituisca la necessaria premessa logico-giuridica di un motivo di impugnazione espressamente formulato. Dunque, l'àmbito d'estensione dell'autorità del giudicato si determina non solo in riferimento all'oggetto della controversia ed alle ragioni fatte valere dalle parti (giudicato esplicito), ma anche con riguardo agli accertamenti che siano necessariamente ed inscindibilmente collegati alla decisione, della quale costituiscono il presupposto (giudicato implicito), in quanto la cosa giudicata si forma non soltanto sulle statuizioni espresse nel dispositivo della sentenza, ma anche sulle affermazioni che si presentino come il presupposto logico-giuridico della soluzione adottata (Cass. 30 luglio 2008, n. 20730). Nel caso di specie, il primo giudice ha delibato la tempestività dell'atto di recesso, individuato nella comunicazione del 10 novembre 2011, inviata dalla banca alla correntista, ed ha tratto le conseguenze giuridiche dalla ritenuta tempestività di esso: proposto appello, il contenuto dell'atto ritenuto integrare un recesso non risulta, sulla base della motivazione della sentenza della corte territoriale, ad essa sottoposto, al contrario avendo la corte espressamente escluso che il punto sia stato devoluto al suo esame;
né, si noti, il ricorso riporta o sostiene un diverso contenuto dell'atto di appello, tale da comportare l'impugnazione anche di tale aspetto. Al contrario, l'unico profilo su cui il motivo insiste è l'obbligo del giudice dell'impugnazione di esaminate ex officio l'esistenza stessa di un contenuto qualificabile come recesso all'interno della comunicazione data: che è quanto il ricordato principio, enunciato da questa Corte, esclude. Nella specie, il giudice di primo grado aveva accertato «la sussistenza di un comportamento inequivoco del Banco di Sardegna idoneo ad integrare un recesso dal rapporto», e tale qualificazione del rapporto, afferma la corte territoriale, non è stata oggetto di impugnazione, essendo questa limitata alla sola tempestività del recesso, ai sensi dell'art. 2558, comma 2, c.c. Tale ratio decidendi non è specificamente censurata, con conseguente ragione anche di inammissibilità, sotto tale profilo, del motivo. Ne deriva, altresì, l'assorbimento dei motivi secondo, terzo, quinto e sesto: dal momento che, estraneo al thema decidendum in appello il profilo dell'esistenza, o no, di un atto di recesso, diviene del pari estraneo al dovere decisorio motivare circa l'esistenza di esso (secondo motivo), anche sotto il profilo dell'omesso esame di fatto decisivo (terzo motivo), della causa di un recesso accertato e non contestato (quinto motivo) e dell'enunciazione nell'atto medesimo di una giusta causa di recesso (sesto motivo). 3.2. - Il quarto motivo è infondato. Esso mira al medesimo assunto, imputando in tal caso la ricorrente alla corte territoriale l'omesso rilievo d'ufficio, ai sensi dell'art. 1421 c.c., della nullità dell'atto di recesso, per la mancanza della stessa volontà manifestata di scioglimento unilaterale del rapporto. Ma, come non era oggetto del giudizio l'esame del contenuto dell'atto de quo assunto dal primo giudice, senza impugnazione sul punto, come vero e proprio atto di recesso, così non era rilevabile una pretesa nullità per mancanza del consenso o volontà della banca dichiarante, una volta che, appunto, il contenuto dell'atto negoziale fosse estraneo al thema decidendum. È noto, al riguardo, il principio della c.d. consumazione dell'oggetto del processo, per definizione destinato a restringersi, man mano che si procede nei gradi di giudizio: sino alla massima delimitazione del medesimo ai soli vizi di legittimità, quando la causa per evenienza giunga innanzi alla Corte di cassazione. Del pari, la nullità di un atto è rilevabile in appello d'ufficio, ma non quando - come nella specie argomentato dalla sentenza impugnata - il primo giudice abbia ritenuto la sua validità: e, nel caso in esame, il tribunale, come rileva la corte territoriale, aveva ritenuto l'atto idoneo ad integrare un recesso dal rapporto (p. 12 sent. impugnata). In sostanza, il giudice di appello non era tenuto ad accertare d'ufficio la nullità del recesso, essendosi formato il giudicato interno sulla sussistenza di un idoneo recesso della banca ex art. 2558, secondo comma, c.c. 3.3. - Il settimo motivo è infondato. 3.3.1. - Come nella premessa del suo ricorso, così anche nel settimo motivo la ricorrente deduce un fatto, di cui lamenta l'omesso esame, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nonché al fine di fondare la denunzia di violazione di legge, con riguardo agli artt. 2436, 2556, comma 2 e 2558, comma 2, c.c.: fatto che, tuttavia, non risulta né provato in causa, né decisivo, né oggetto di discussione tra le parti;
onde neppure è dato ravvisare, in mancanza del previo accertamento di sussistenza di quel fatto in sede di merito, la violazione delle invocate disposizioni normative. Ed invero, la ricorrente deduce l'iscrizione, in data 30 marzo 2010, nel registro delle imprese di un aumento di capitale sociale della Safab s.r.I., deliberato dall'assemblea straordinaria del 22 marzo 2010, interamente sottoscritto da S.A.F.A.B. s.p.a. e liberato mediante conferimento di ramo d'azienda, al quale afferivano i conti correnti per cui è causa. Nell'assunto della ricorrente, il verbale sarebbe stato iscritto nel registro delle imprese il 30 marzo 2010, onde sin da tale data dovrebbe ritenersi noto alla banca il trasferimento aziendale e maturato il dies a quo, ai fini del decorso del termine di tre mesi per il suo recesso dal contratto ex art. 2558, comma 2, c.c.: contratto che, dunque, nell'assunto della ricorrente sarebbe definitivamente traslato in capo alla cessionaria Safab s.r.I., con liberazione da ogni obbligo per la conferente S.A.F.A.B. s.p.a. (la quale, deduce la ricorrente, ha in seguito mutato la propria denominazione in Gesafin Immobiliare s.p.a., poi incorporata in Gesafin s.r.I., odierna ricorrente). In forza di questo iter, essa lamenta che la corte territoriale non abbia ravvisato la disponibilità per la banca della notizia del trasferimento sin dall'iscrizione di détto aumento di capitale nel registro delle imprese, con conseguente tardività del recesso comunicato dall'istituto ex art. 2558, comma 2, c.c., oltre tre mesi da tale iscrizione. Ai 3.3.2. - Se la banca, ancor prima che avvalersi, nei confronti della cessionaria d'azienda, dell'art. 2558, comma 2, c.c., avesse in astratto a disposizione i normali mezzi contrattuali, nell'àmbito del contratto di conto corrente con apertura di credito, quale il recesso dal medesimo ai sensi degli artt. 1833 e 1845 c.c., è questione di cui non è parola agli atti del processo: ne deriva che 9/ si tratta di questione affatto estranea all'oggetto di questo. t 3.3.3. - Trattandosi dunque di valutare l'efficacia del recesso ex art. 2558, comma 2, c.c. secondo quanto dedotto dalle parti e per come forma oggetto degli accertamenti della sentenza impugnata - nei confronti specifici del contraente ceduto e sul presupposto della cessione - la corte territoriale ha ritenuto "inconferente" l'argomento così dedotto dall'appellante, reputando, già in astratto, non rilevante l'allegata iscrizione nel marzo 2010 di un aumento del capitale, con il relativo conferimento di azienda. La sentenza non ha, tuttavia, accertato la realtà storica di tale iscrizione, riferendo al riguardo il mero contenuto del motivo, ma limitandosi a ritenerne irrilevante la trattazione: irrilevanza fondata sul fatto che si tratterebbe di un'attività interna tra le parti societarie e che una serie di documenti in atti dimostra come comunque sono circostanze che «neppure se conosciute» avrebbero fatto decorrere il termine trimestrale predetto. Ed invero - in punto di fatto - la corte territoriale ha ritenuto, in ogni caso, l'efficacia dell'atto di trasferimento decorrente dalla iscrizione del medesimo nel registro delle imprese, sotto un duplice profilo probatorio: in quanto non soltanto ha ritenuto non raggiunta la prova della notizia del trasferimento del ramo di azienda alla banca in un momento anteriore alla iscrizione di esso nel registro delle imprese, ma ha anche accertato l'esistenza di una condizione di efficacia al contratto stesso. Sotto il primo profilo negativo, infatti, la sentenza impugnata ha ritenuto non raggiunta «la prova della notizia o della conoscenza del trasferimento del ramo di azienda da parte del terzo contraente ceduto» con riguardo al «momento in cui detta notizia sia a quest'ultimo pervenuta» prima dell'iscrizione del trasferimento d'azienda, operata, ai sensi dell'art. 2556 c.c., il 14 settembre 2011 (p. 12 sent. impugnata). Ma essa ha, altresì, positivamente accertato che l'efficacia del contratto di trasferimento dell'azienda, nell'àmbito dell'operato conferimento, è stata subordinata dalle parti stesse all'avvenuta iscrizione della cessione ex art. 2556 c.c. nel registro delle imprese, prevedendo il contratto che tale efficacia decorresse solo «dalla data di iscrizione del presente atto presso il competente registro delle imprese sicché da tale data la società conferita ria avrà la piena proprietà e disponibilità del complesso aziendale ad essa conferito»: espressione da cui la corte d'appello ha tratto che soltanto tale iscrizione del trasferimento aziendale avrebbe assunto «di conseguenza valore di conoscenza legale ex art. 2193 c.c.»;
ulteriormente aggiungendo il giudice territoriale che l'ignoranza, o buona fede, della banca risulta anche dal fatto che, ancora nel giugno 2011, il legale rappresentante dell'odierna ricorrente redasse alcuni moduli bancari della clientela (p. 13 sent. impugnata). 3.3.4. - Alcuni profili di diritto occorre ricordare, ai fini della compiuta disamina della vicenda. La successione nei contratti relativi all'esercizio dell'azienda che non abbiano carattere personale avviene, a norma dell'art.2558 c.c., ope legis ed è efficace nei confronti del terzo contraente, senza che egli debba accettarla o che sia necessario dargliene comunicazione: infatti, in forza della ricordata disposizione, resta inapplicabile la disciplina comune in tema di cessione del contratto (Cass. 8 giugno 1994, n. 5534;
Cass. 25 gennaio 1979, n. 564;
rl più di recente, tali concetti sono ribaditi es. da Cass. 14 ottobre 2022, n. 30296;
Cass. 5 dicembre 2018, n. 31466). Tale cessione è, invero, un effetto naturale della fattispecie traslativa d'azienda. L'art. 2558 c.c. dispone, con norma suppletiva che, nel caso di trasferimento dell'azienda, salvo patto contrario, unitamente ai beni che la costituiscono si trasferiscono i contratti a prestazioni corrispettive non ancora completamente eseguite che non abbiano carattere personale, stipulati per l'esercizio di essa. A differenza della ipotesi generale della cessione del contratto ex art. 1406 c.c., dunque, la cessione dei contratti aziendali per così dire "in blocco" prescinde del tutto dalla volontà, espressa o tacita, delle parti stipulanti o del contraente ceduto (cfr. Cass. 28 marzo 2007, n. 7652;
nonché Cass. 3 gennaio 2020, n. 15). Il trasferimento mira a garantire il mantenimento della funzionalità economica dell'azienda, in attuazione della esigenza, che la norma esprime e tutela, di trasferire l'azienda nella sua unitarietà e globalità di beni e rapporti giuridici. Esso avviene secondo un meccanismo di attrazione dei contratti nella circolazione dell'azienda e costituisce effetto naturale del contratto di trasferimento dell'azienda, nel senso che si verifica indipendentemente dalla volontà delle parti, che rileva soltanto per escluderlo. Gli effetti del contratto trasferito si producono ipso iure, obbligando il terzo, a prescindere dall'accettazione e senza bisogno di comunicazione (Cass. 7 dicembre 2005, n. 27011). Nel caso di trasferimento di azienda la regola di cui all'art.2558 c.c. dell'automatico subentro del cessionario in tutti i rapporti contrattuali a prestazioni corrispettive non aventi carattere personale si applica soltanto ai cosiddetti «contratti di azienda» (aventi ad oggetto il godimento di beni aziendali non appartenenti all'imprenditore e da lui acquisiti per lo svolgimento della attività imprenditoriale) e ai cosiddetti «contratti di impresa» (non aventi ad oggetto diretto beni aziendali, ma attinenti alla organizzazione dell'impresa stessa, come i contratti di somministrazione con i fornitori, i contratti di assicurazione, i contratti di appalto e simili), sempreché non siano soggetti a specifica diversa disciplina, come i contratti di lavoro, di consorzio e di edizione, rispettivamente regolati dagli art. 2112 c.c., 2610 c.c. e 132 I. 22 aprile 1941 n. 633 (Cass. 29 marzo 2010, n. 7517;
conforme Cass. 11 giugno 2018, n. 15065). La norma dell'art. 2558 c.c. si applica anche laddove l'acquisto dell'azienda derivi dal suo conferimento in società, come già affermato dalla Corte: il conferimento di un'azienda o di un ramo di essa ad una società rientra nella più ampia e generale figura della cessione d'azienda, realizzando il trasferimento e quindi la successione a titolo particolare della stessa (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22538;
inoltre, tra le altre, Cass. 14 ottobre 2022, n. 30296;
Cass. 10 agosto 2018, n. 20415;
Cass. 9 aprile 2009, n. 8644). Dunque, la cessione dell'azienda è senz'altro opponibile al terzo, quanto agli effetti che essa produce nella sua sfera giuridica - anche, cioè, se egli si trovi ad intrattenere un rapporto contrattuale con il titolare dell'azienda, mutando la persona dell'altro contraente - sin dal momento della opponibilità generale della cessione mediante l'iscrizione nel registro delle imprese, per effetto della "pubblicità-notizia", quale ha valenza nei confronti di tutti i consociati, in primis gli stessi contraenti ceduti, ove titolari di negozi non a titolo personale. Quanto alla comunicazione, di cui all'art. 2558, comma 2, c.c., essa è oggetto di un onere, a carico dell'alienante, dell'acquirente dell'azienda o di soggetti ad essi equiparati, finalizzato specificamente al decorso del termine di tre mesi, entro il quale è consentito al terzo di recedere dal contratto (Cass. 29 dicembre 2020, n. 29806, ed altre), ma non influenza la traslazione dei contratti aziendali. Ne consegue che l'iscrizione ex art. 2556 c.c. del trasferimento d'azienda nel registro delle imprese (c.d. forma scritta ad probationem) non coincide con la «notizia» ex art. 2558 c.c.: con la quale, perché tale ultima disposizione abbia un senso ed un contenuto precettivo, il legislatore non può avere inteso la stessa iscrizione nel registro delle imprese. Il rilievo è imposto dalla considerazione che, allora, il legislatore avrebbe, più semplicemente, dovuto prevedere il recesso entro tre mesi dall'iscrizione stessa nel registro delle imprese, presupponendosi appunto per legge la conoscenza dell'evento iscritto, di cui i terzi non possono far valere la loro ignoranza ai sensi dell'art. 2193 c.c.;
mentre, qualora il legislatore avesse inteso far coincidere la nozione di notizia con quella di opponibilità ex art. 2193 c.c., la diversa previsione del comma 2 dell'art. 2558 c.c. sarebbe superflua. Vero è che la «notizia» è nozione diversa, altresì, dalla «comunicazione», anche se ovviamente la ricomprende: nel senso che la prima non richiede necessariamente un'attività positiva di comunicazione al terzo contraente, che potrebbe avere avuto la notizia aliunde. Ed invero, occorre ora ribadire il principio, già chiarito (Cass. 8 giugno 1994, n. 5534), secondo cui l'art. 2558 c.c., sotto tale profilo, si differenza dal disposto dell'art. 1407 c.c.: quest'ultimo prescrive che la sostituzione, preventivamente consentita, di una parte all'altra nel contratto sia efficacie nei confronti del contraente ceduto dal momento in cui gli è stata «notificata», onerando il cedente di un comportamento positivo, che consiste nel porre in essere un atto ricettizio e che può essere sostituito unicamente da un contegno positivo del ceduto, ossia dall'atto del pari recettizio di accettazione. Al contrario, l'art. 2558, comma 2, c.c. considera, quale dato obiettivo, la notizia del trasferimento (non del singolo contratto ma) dell'azienda, che il terzo contraente abbia comunque avuto, e ricollega ad essa la facoltà di recedere dal contratto nel breve lasso di tre mesi, così derogando all'effetto che il trasferimento, ai sensi del primo comma, produce automaticamente e in via generale, ossia nei confronti tanto dei soggetti legati da vincoli contrattuali con l'imprenditore cedente, quanto dei terzi comunque interessati ai rapporti coinvolti dalla cessione. Il che non esclude che lo stesso imprenditore possa avere interesse alla sollecita definizione della propria posizione nei rapporti aziendali pendenti e dia, quindi, comunicazione del trasferimento dell'azienda, allo scopo di far decorrere il suddetto termine trimestrale. Sul piano probatorio e secondo i principi generali in materia, rimane a carico di chi invoca gli effetti della cessione la dimostrazione della notizia o conoscenza avuta dal terzo contraente del trasferimento dell'azienda, nonché del momento in cui la notizia stessa gli è pervenuta. Resta dunque che, secondo il principio enunciato dalla corte territoriale, l'onere della prova grava su chi intenda far valere l'acquisizione della notizia, in tempo utile da precludere la facoltà di recesso. 3.3.5. - I versamenti a liberazione del capitale sociale sottoscritto, tanto in sede di costituzione quanto in occasione di aumenti di capitale, possono avvenire in natura, mediante conferimento di beni o di azienda. In tal caso, dispone l'art. 2342, comma 3, c.c., richiamato in caso di aumento dall'art. 2440 c.c., che le azioni corrispondenti ai conferimenti di beni devono essere integralmente liberate al momento della sottoscrizione.Il conferimento d'azienda produce, dunque, il passaggio del bene nel patrimonio della società, in cambio delle azioni sottoscritte di questa. Si ricorda, altresì, che la sottoscrizione del capitale sociale comporta l'acquisto della qualità di socio, o l'ampliamento della sua precedente partecipazione, assumendo egli, al contempo, l'obbligo dei conferimenti, dovendosi ravvisare un contratto avente tale oggetto tra sottoscrittore e società. 3.3.6. - La pubblicità presso il registro delle imprese si avvale degli strumenti del deposito (es. artt. 2435, 2341-ter, 2447- nonies c.c.), dell'iscrizione dichiarativa (es. artt. 2298, 2358, 2501-ter c.c.) e dell'iscrizione costitutiva (es. artt. 2330, 2331, 2436, 2443, 2463 c.c.). Ciascuna ha presupposti ed effetti suoi propri. In particolare, l'iscrizione costitutiva comporta che l'atto, prima di essa, non produce effetti;
e, dopo la riforma del diritto societario del 2003, l'iscrizione delle modificazioni allo statuto di una società di capitali, di cui si dubitava circa la natura - condizionante l'efficacia o piuttosto risolutiva di essa in mancanza di iscrizione - comporta da allora il sorgere ex nunc dei suoi effetti giuridici. 3.3.7. - Con riguardo al regime pubblicitario, la sottoscrizione del capitale sociale mediante conferimento d'azienda implica, pertanto, una duplice attività d'iscrizione nel registro delle imprese: a) l'iscrizione, ad effetti costitutivi, della deliberazione di modificazione del capitale sociale e dello statuto, ai sensi dell'art.2436 c.c., il quale, al comma 5, dispone che tale deliberazione «non produce effetti se non dopo l'iscrizione», intendendo l'effetto della modificazione statutaria e la maggior misura del capitale sociale;
/A b) l'iscrizione del negozio di trasferimento di azienda, realizzato mediante l'offerta di capitale in aumento seguìta dalla sottoscrizione del socio, da effettuare nel registro delle imprese, ai sensi dell'art. 2556 c.c., agli effetti dichiarativi di cui all'art.2193 c.c., secondo cui i fatti iscritti sono opponibili ai terzi, e di cui l'obbligato è legittimato a provare comunque la conoscenza. 3.3.8. - Ciò posto, non è precluso alle parti contraenti - conferente e conferitaria - di pattuire un diverso dies a quo degli effetti traslativi del trasferimento d'azienda, pur nell'àmbito del conferimento di essa da sottoscrizione dell'aumento del capitale sociale. Della rilevanza di tale accordo, ai fini societari e con riguardo all'effettività dell'aumento del capitale (cfr. art. 2444 c.c.), ora non si discute, essendo questione estranea al thema decidendum. Nell'ambito dell'oggetto della odierna controversia, invero, non sono in questione né i profili civilistici dell'aumento mediante conferimento non ancora efficace al momento della sottoscrizione, né i profili fiscali di una eventuale evasione d'imposta;
ma unicamente l'esistenza, o no, di un recesso tempestivo del contraente ceduto in occasione del conferimento d'azienda, recesso da esercitare entro tre mesi dalla sua notizia. Onde, in definitiva, questa notizia potrebbe solo occasionalmente coincidere con l'esistenza giuridica del fatto notiziato (l'effetto traslativo), avendo rilievo in sé e ben potendo seguire, come spesso avviene, dopo un certo tempo dalla cessione stessa. Ciò che, dunque, nella specie rileva è la situazione concreta, in cui - secondo l'insindacabile accertamento operato in fatto dalla corte territoriale - i contraenti pattuirono la decorrenza del trasferimento della proprietà dell'azienda al momento dell'iscrizione di esso nel registro delle imprese ex art. 2556 c.c., avvenuta nel settembre 2011. An Si tratta di un accertamento, sia quanto alla vicenda storica dell'iscrizione, sia quanto agli effetti voluti dalle parti contraenti, non ripetibile in sede di legittimità. Proprio a tale accertamento di fatto la corte territoriale ha ancorato la ritenuta irrilevanza della pretesa precedente iscrizione nel registro delle imprese dell'operazione sul capitale sociale, nonché il suo prudente apprezzamento circa la mancata prova che al terzo contraente ceduto (la banca) la notizia del trasferimento aziendale pervenne prima del mese di settembre 2011, con conseguente ritenuto recesso tempestivo dal contratto bancario. 3.3.9. - In conclusione, il motivo non può trovare accoglimento, perché non sono integrati i vizi denunziati, sulla base della ricostruzione fattuale della vicenda operata dai giudici del merito;
mentre l'insistere circa l'esistenza, in concreto, di una serie di missive, da cui la banca avrebbe ricavato la conoscenza dell'evento ben prima del mese di settembre 2011, si infrange contro i limiti del giudizio di legittimità. 4. - Le spese seguono la soccombenza.
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