Cass. civ., SS.UU., sentenza 15/05/2015, n. 9935

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In tema di concordato preventivo, quando in conseguenza della ritenuta inammissibilità della domanda il tribunale dichiara il fallimento dell'imprenditore, su istanza di un creditore o su richiesta del P.M., può essere impugnata con reclamo solo la sentenza dichiarativa di fallimento e l'impugnazione può essere proposta anche formulando soltanto censure avverso la dichiarazione di inammissibilità della domanda di concordato preventivo.

La domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, ai sensi dell'art. 161, sesto comma, legge fall., presentata dal debitore non per regolare la crisi dell'impresa attraverso un accordo con i suoi creditori, ma con il palese scopo di differire la dichiarazione di fallimento, è inammissibile in quanto integra gli estremi di un abuso del processo, che ricorre quando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l'ordinamento li ha predisposti.

In pendenza di un procedimento di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, ai sensi dell'art. 161, sesto comma, legge fall., il fallimento dell'imprenditore, su istanza di un creditore o su richiesta del P.M., può essere dichiarato soltanto quando ricorrono gli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 1egge fall. e cioè, rispettivamente, quando la domanda di concordato sia stata dichiarata inammissibile, quando sia stata revocata l'ammissione alla procedura, quando la proposta di concordato non sia stata approvata e quando, all'esito del giudizio di omologazione, sia stato respinto il concordato; la dichiarazione di fallimento, peraltro, non sussistendo un rapporto di pregiudizialità tecnico-giuridica tra le procedure, non è esclusa durante le eventuali fasi di impugnazione dell'esito negativo del concordato preventivo.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., SS.UU., sentenza 15/05/2015, n. 9935
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 9935
Data del deposito : 15 maggio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. R L A - Primo Presidente f.f. -
Dott. L M G - Presidente Sezione -
Dott. R R - Presidente Sezione -
Dott. D A S - rel. Consigliere -
Dott. D C V - Consigliere -
Dott. C P - Consigliere -
Dott. A A - Consigliere -
Dott. G A - Consigliere -
Dott. D'ASCOLA Pasquale - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 16841/2013 proposto da:
FALLIMENTO DELLA MUSA IMMOBILIARE S.R.L., in persona del curatore fallimentare pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CASSIODORO I/A, presso lo studio dell'avvocato C G, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato G S, per delega a margine del ricorso;
(ammesso al G.P. 30/01/13);

- ricorrente -

contro
LA MUSA IMMOBILIARE S.R.L., FERRAZZO ALESSANDRA, PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI VENEZIA;

- intimati -

avverso la sentenza n. 1313/2013 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il 04/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/02/2015 dal Consigliere Dott. SO DI AMATO;

udito l'Avvocato Giorgio COSTANTINO;

udito il P.M. in persona dell'Avvocato Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 30 gennaio 2013 il Tribunale di Venezia dichiarava il fallimento della Musa Immobiliare s.r.l. e, con separato decreto reso in pari data, dichiarava inammissibile la proposta di concordato preventivo con riserva formulata dalla predetta società, osservando che la proposta era priva di petitum e causa petendi e, comunque, non recava le indicazioni delle ragioni economiche, finanziarie e patrimoniali dell'istanza. Avverso i due provvedimenti, la società fallita interponeva reclamo alla Corte d'appello di Venezia contestando essenzialmente la decisione relativa all'inammissibilità della domanda di concordato con riserva.
Con sentenza dei 4 giugno 2013, la Corte d'appello di Venezia annullava il decreto del Tribunale e, conseguentemente, revocava il fallimento della Musa Immobiliare s.r.l., affermando l'ammissibilità del ricorso L. Fall., ex art. 161, comma 6, proposto dalla società in bonis, poiché in esso era ben indicato il petitum (ovvero l'apertura del procedimento di concordato preventivo con la concessione dei termini previsti dalla legge) mentre la causa petendi (ovvero lo stato di insolvenza) era ben nota al Tribunale, che trattava contemporaneamente l'udienza prefallimentare;
d'altro canto, infine, la domanda di concordato con riserva non doveva contenere, come aveva invece ritenuto il Tribunale, l'indicazione delle "ragioni alla base della domanda avuto riguardo alla condizione economica, finanziaria e patrimoniale dell'istante".
Avverso la sentenza della Corte d'appello di Venezia il fallimento della Musa Immobiliare s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. La fallita società ed il creditore istante non. hanno svolto attività difensiva.
La sesta sezione civile, sottosezione prima, con ordinanza interlocutoria n. 22221 del 20 ottobre 2014 ha rimesso gli atti al Primo Presidente, rilevando che il quarto motivo di ricorso propone la questione del rapporto tra i procedimenti di concordato preventivo e di fallimento, già rimessa all'esame delle sezioni unite a seguito dell'ordinanza interlocutoria n. 9476 del 30 aprile 2014, con la quale la Prima sezione civile della Corte ha segnalato il proprio orientamento in potenziale contrasto con i principi affermati dalle sezioni unite con la sentenza n. 1521 del 23 gennaio 2013. Il Primo Presidente ha assegnato, quindi, anche questa causa alle sezioni unite.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, la curatela si duole del fatto che la Corte di appello non aveva rilevato che il reclamo era inammissibile per carenza di interesse in quanto verteva unicamente su ragioni processuali, senza involgere questioni attinenti alla sussistenza dei presupposti, soggettivi ed oggettivi, per la dichiarazione di fallimento.
Con il secondo motivo si lamenta la mancata pronunzia sulla eccezione di inammissibilità del reclamo per la deduzione di meri motivi di rito.
Con il terzo motivo il fallimento deduce il mancato rilievo del difetto di interesse a proporre un reclamo col quale non erano contestati i presupposti della dichiarazione di fallimento. Con il quarto motivo la curatela contesta la rilevanza di quella ragione processuale, vale a dire la ritenuta ammissibilità della domanda di concordato preventivo con riserva, che aveva condotto la Corte d'appello ad accogliere il reclamo;
a tal fine osserva che la proposizione della domanda di concordato non fa venire meno automaticamente la possibilità di dichiarare il fallimento, poiché al tribunale deve essere riconosciuto, come affermato dalle sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 1521 del 23 gennaio 2013, il potere di bilanciare gli opposti interessi, coordinando quello del debitore, che chiede di essere ammesso al concordato preventivo, con gli interessi sottostanti alla procedura fallimentare;
ciò al fine di evitare abusi, non essendo attribuita al debitore la facoltà di disporre unilateralmente e potestativamente dei tempi del procedimento fallimentare, paralizzando così le possibili iniziative recuperatorie del curatore.

2. Il quarto motivo, per ragioni di ordine logico, deve essere esaminato per primo poiché soltanto dopo avere risolto la questione del rapporto tra le procedure si può valutare l'interesse ad impugnare la sentenza dichiarativa di fallimento per ragioni attinenti alla dichiarazione di inammissibilità della domanda di concordato. Il motivo è infondato.
Il tema dei rapporti tra procedimento prefallimentare e procedimento di concordato preventivo è stato affrontato dalla richiamata sentenza n. 1521 del 23 gennaio 2013, in una situazione nella quale il fallimento dell'imprenditore era stato dichiarato dopo il diniego di omologazione della sua domanda di concordato preventivo ed il tema in questione era stato prospettato sotto il peculiare profilo della necessità o meno di attendere la definizione dell'impugnazione, avverso il diniego di omologazione del concordato, prima di dichiarare il fallimento;
nella fattispecie esaminata, pertanto il c.d. principio di prevenzione aveva trovato pratica applicazione nella fase di primo grado e si discuteva soltanto se dovesse trovare applicazione anche nella fase dell'impugnazione. La motivazione seguita nell'occasione dalla Corte aveva, tuttavia, una portata più ampia di quella del caso deciso, poiché conduceva a negare in assoluto la permanenza nel nostro ordinamento del c.d. principio di prevenzione.
Nella parte che interessa, la sentenza n. 1521/2013, dopo avere dato rilievo alla eliminazione, nel corpo della L. Fall., art. 160, comma 1, dell'inciso ("fino a che il suo fallimento non è dichiarato") cui
tradizionalmente si ancorava l'affermazione del criterio della prevenzione, ha svolto le seguenti considerazioni: "non ricorre certamente nella specie un'ipotesi di pregiudizialità necessaria, atteso che: non sono sovrapponibili le situazioni esaminate nelle due distinte procedure di fallimento e di concordato (C. 11/3059);
la, sospensione è istituto eccezionale che incide in termini limitativi rispetto all'esercizio del diritto di azione, e che pertanto può trovare applicazione soltanto quando la situazione sostanziale dedotta nel processo pregiudicante rappresenti il fatto costitutivo di quella dedotta nella causa pregiudicata (C. 03/14670), ipotesi non ricorrente nel caso in esame;
il vigente codice di rito esclude casi di sospensione discrezionale e non prevede inoltre casi di sospensione impropria o atecnica. Al contrario, deve invece ritenersi che il rapporto tra concordato preventivo e fallimento si atteggi come un fenomeno di conseguenzialità (eventuale del fallimento, all'esito negativo della procedura di concordato) e di assorbimento (dei vizi del provvedimento di rigetto in motivi di impugnazione del successivo fallimento), che determina una mera esigenza di coordinamento fra i due procedimenti (C. 11/3059). Ne consegue ulteriormente che la facoltà per il debitore di proporre una procedura concorsuale alternativa al suo fallimento non rappresenta un fatto impeditivo alla relativa dichiarazione (C. 12/18190, C. 09/19214), ma una semplice esplicazione del diritto di difesa del debitore, che non potrebbe comunque disporre unilateralmente e potestativamente dei tempi del procedimento fallimentare, venendo così a paralizzare le iniziative recuperatorie del curatore (C. 18190 cit., C. 97/10383) e ad incidere negativamente sul principio costituzionale della ragionevole durata del processo. La conseguenzialità logica tra le due procedure non si traduce dunque anche in una conseguenzialità procedimentale, ferma restando la connessione fra l'eventuale decreto di rigetto del ricorso per concordato e la successiva conseguenziale sentenza di fallimento, anche se non emessa contestualmente al primo provvedimento, dovendosi in tal caso farsi valere i vizi del decreto mediante l'impugnazione della sentenza di fallimento (C. 11/3586, C. 0 8/97 43)".

3. Il superamento del principio di prevenzione (West di prevalenza del concordato preventivo) e la sussistenza di una mera esigenza di coordinamento tra la procedura di concordato preventivo e quella prefallimentare non sono state condivise dalla citata ordinanza interlocutoria n. 9476 del 30 aprile 2014, secondo cui la perdurante vigenza del predetto principio è "ricavabile dal sistema, il quale attribuisce al concordato preventivo la funzione di prevenire - appunto - il fallimento attraverso una soluzione alternativa basata sull'accordo del debitore con la maggioranza dei creditori. Tale funzione preventiva comporta sta che, prima di dichiarare il fallimento, debba necessariamente essere esaminata l'eventuale domanda di concordato presentata dal debitore, per far luogo, poi, alla dichiarazione del fallimento solo in caso di mancata apertura

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