Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 13/04/2021, n. 9660

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La disciplina prevista dalla l. n. 339 del 2003, che sancisce l'incompatibilità tra impiego pubblico "part-time" ed esercizio della professione forense, trova applicazione anche nei confronti del personale impiegato presso l'area tecnica dell'Università, atteso che i casi di compatibilità costituiscono eccezioni alla regola generale insuscettibili di estensione, rientrando nella discrezionalità del legislatore la modulazione del divieto in vista della necessità di tutelare interessi di rango costituzionale quali, da un lato, quelli di cui agli artt. 97 e 98 Cost., nonché, dall'altro, l'indipendenza della professione forense, in quanto strumentale all'effettività del diritto di difesa ex art. 24 Cost.

La disciplina prevista dalla l. n. 339 del 2003, che sancisce l'incompatibilità tra impiego pubblico "part-time" ed esercizio della professione forense, essendo diretta a tutelare interessi di rango costituzionale quali, da un lato, l'imparzialità e il buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.), nonché, dall'altro, l'indipendenza della professione forense (in quanto strumentale all'effettività del diritto di difesa ex art. 24 Cost.), trova applicazione anche nei confronti di chi abbia ottenuto l'iscrizione all'albo degli avvocati in epoca anteriore all'entrata in vigore della l. n. 662 del 1996 - cui va esteso il regime opzionale appositamente previsto per contemperare la reintroduzione del divieto generalizzato con le esigenze organizzative di lavoro e di vita dei dipendenti pubblici a tempo parziale, già ammessi dalla legge dell'epoca all'esercizio della professione legale - atteso che un'operatività limitata solo per l'avvenire otterrebbe il risultato irragionevole di conservare ad esaurimento una riserva di lavoratori pubblici "part-time", contemporaneamente avvocati, all'interno di un sistema radicalmente contrario alla coesistenza delle due figure lavorative nella stessa persona.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 13/04/2021, n. 9660
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 9660
Data del deposito : 13 aprile 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

T IT IR D E T N E 13 APR. 2021 S E - L O S E T N E 966 0/21 S E E AULA 'B' N O ZI A R T S I G E R E T N E Oggetto REPUBBLICA ITALIANA S E INCOMPATIBILITA' IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IMPIEGO PUBBLICO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ATTIVITA' FORENSE SEZIONE LAVORO R. G. N. 4123/2019 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Cron. 9660 Dott. LUCIA TRIA Presidente Rep. Dott. AMELIA TORRICE Consigliere Ud. 25/11/2020 Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO Consigliere PU Dott. CATERINA MAROTTA Consigliere Dott. ROBERTO BELLE' Rel. Consigliere - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso 4123-2019 proposto da: ER CI, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TARVISIO 2, presso lo studio dell'avvocato MASSIMO FARSETTI, rappresentata e difesa dagli avvocati GIOVANNI ER, NUNZIO RIZZO;

- ricorrente -

contro 2020 UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II, in 2688 persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAIROLI 1 r 2, presso lo studio dell'avvocato ANGELO ABIGNENTE, che la rappresenta e difende;
controricorrente avversO la sentenza n. 5661/2018 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 23/10/2018 R.G.N. 3959/2016;
udita la relazione della causa svolta nella 25/11/2020 dal Consigliere pubblica udienza del Dott. ROBERTO BELLE';
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per sospensione del giudizio e rimessione atti alla Corte Costituzionale e in subordine rigetto;
udito l'Avvocato GIOVANNI ER;
udito l'Avvocato ANGELO ABIGNENTE. 2 R. G. n. 4123/2019 FATTI DI CAUSA 1. La Corte d'Appello di Napoli ha rigettato l'appello proposto da UC VE avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che, pur annullando le sanzioni disciplinari di sospensione dal servizio applicate dall'Università Federico II nei confronti della medesima per lo svolgimento di attività di avvocato contestualmente al servizio quale dipendente dell'Ateneo, aveva invece disatteso la domanda espressamente formulata dalla lavoratrice per l'accertamento dell'assenza di incompatibilità tra il rapporto di lavoro dipendente e l'esercizio della professione forense. La Corte territoriale richiamava Corte Costituzionale 166/2012 e Cassazione 27266/2013, per sostenere l'impossibilità per i dipendenti pubblici di svolgere la professione di avvocato ed escludeva la possibilità di ritenere che le limitazioni reintrodotte ad opera della L. 339/2003 potessero non avere effetto per chi fosse iscritto già anteriormente alla normativa permissiva del 1996. La Corte territoriale negava poi che potesse avere alcun effetto il fatto che la ricorrente, nel proprio ruolo tecnico, avesse svolto mansioni di supporto o ausilio alla docenza, in quanto si trattava di attività non assimilabile a quella dei ricercatori e comunque non potendosi ipotizzare l'acquisizione di un diverso inquadramento per effetto dell'assegnazione di fatto ad incarichi di docenza o di ricerca, stante il disposto preclusivo dell'art. 52 d. lgs. 165/2001. 2. Avverso la sentenza UC VE ha proposto ricorso per cassazione con due articolati motivi, poi illustrati da memoria, cui ha resistito l'Università con controricorso. RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo UC VE adduce la violazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) degli artt. 1 e 2 L. 339/2003. Esta sostiene che, in esito alla normativa di liberalizzazione di cui al d.p.r. 137/2012, ostativa alla frapposizione di limiti all'esercizio delle attività professionali, dovrebbe essere rivisitato il giudizio di ragionevolezza formulato dalla Corte Costituzionale con riferimento soltanto alla normativa anteriore. olella Sarebbe seriamente da dubitare altresì la ragionevolezza di un'applicazione di norme svolta dalla Corte d'Appello su un piano del tutto astratto ed a prescindere dalle funzioni per le quali vi era stata assunzione presso la P.A., 3 R. G. n. 4123/2019 anche tenuto conto che la vera ed esclusiva ragione dell'incompatibilità – a dire della ricorrente-era stata ravvisata, anche da Corte Costituzionale 390/2006, nella libertà dell'attività forense da qualsiasi vincolo od imposizione. Da altro punto di vista, la ricorrente fa rilevare come Corte Costituzionale 166/2012 avesse ritenuto legittima la disciplina sopravvenuta di incompatibilità di cui alla L. 339/2003, sul presupposto che essa, per chi si fosse iscritto dopo il 1996, prevedesse uno spatium deliberandi, finalizzato ad evitare lo stravolgimento delle scelte di vita impostate medio tempore ed a tal fine assicurando, per un verso, un triennio entro cui decidere quale lavoro proseguire e riconoscendo, per altro verso, la possibilità di ritrattare l'opzione e rientrare presso la P.A., nell'ambito di un successivo quinquennio. A questo proposito, la VE sottolinea come la propria posizione non rientri nelle ipotesi regolate dalla norma, perché essa era già iscritta all'Albo fin dal 1993, mentre la disposizione sull'opzione riguardava solo chi si fosse iscritto all'Ordine successivamente alla L. 296/1996, dovendosi escludere, in quanto indebitamente correttiva, una lettura della L. 339 cit. nel senso di rendere la stessa applicabile anche a chi fosse iscritto già anteriormente al 1996 ed evidenziando come, nei fatti, alla dipendente, nel caso di specie, non erano state offerte le possibilità garantite agli altri. In subordine, sul punto, veniva sottoposta questione di legittimità costituzionale per contrasto con l'art. 3 Cost. e ciò sia per disparità di trattamento, sia per irragionevolezza, mancando le condizioni per far venir meno, con le iniziative datoriali del 2016, l'aspettativa medio tempore consolidatasi in capo alla ricorrente. Il secondo motivo denuncia, in via principale, la violazione dell'art 1 L. 333/2003 (art 360 n. 3 c.p.c.) e, in linea subordinata, la nullità della sentenza (art. 360 n. 4 c.p.c., in relazione agli artt. 15 e 19 L. 247/2012 e al d.p.r. 137/2012 con riferimento alla L. 339/2003), in quanto, qualora fosse da ritenersi che la Corte di merito avesse disapplicato per implicito la determinazione del Consiglio dell'Ordine con la quale era stata deliberata la compatibilità delle funzioni svolte presso l'Università, in quanto di natura didattica, in tal modo si sarebbe indebitamente annullato un provvedimento amministrativo o vanificati i suoi effetti, senza che ci fosse stata domanda e comunque in carenza di giurisdizione (art 360 n. 1 c.p.c.). Nel contesto di tale motivo, ribadendo come il vero bene protetto dall'incompatibilità sia la libertà di esercizio della professione forense e non il buon andamento della P.A., la ricorrente rimarca come risulti inspiegabile che solo l'attività di avvocato sia ritenuta incompatibile con gli obblighi di fedeltà, nonché con l'imparzialità ed il buon andamento della P.A., mentre ciò non 4 ই R. G. n. 4123/2019 accadrebbe per il medico, l'ingegnere o l'architetto e così via, prospettandosi anche da questo punto di vista, qualora residuassero dubbi, questione di legittimità costituzionale della L. 339/2003, ove essa fosse da intendere in senso preclusivo per i soli avvocati, e non per altri professionisti, sulla base di un'incompatibilità valutata in astratto e senza tenere conto delle mansioni concretamente svolte dal dipendente in base al concorso di assunzione (art. 3 Cost.), oltre che determinando un vulnus alla libera concorrenza (art. 41 Cost.).

2. I motivi, essendo tra loro strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente. Deve premettersi, in punto di fatto, che pacificamente UC VE è stata iscritta dall'Ordine degli Avvocati fin dal 1993 ed stata poi assunta dall'Università di Napoli nel 2002, con inquadramento in categoria D del C.C.N.L. di comparto, posizione economica D2, Area tecnica, tecnico scientifica ed elaborazione dati, prescegliendo il regime part time che consentiva illo tempore la prosecuzione dell'attività forense. L'Università soltanto nel 2015, facendo leva sulle modifiche normative di cui alla L. 339/2003, ha mosso contestazioni alla VE, la quale, per quanto qui ancora interessa, chiedeva nella presente causa l'accertamento dell'insussistenza di incompatibilità tra il proprio impiego e l'attività forense, con domanda decisa per lei negativamente sul punto in primo grado e, poi, dalla sentenza di appello qui impugnata. Successivamente, nel 2016, l'Università ha emesso provvedimento di decadenza dall'impiego ai sensi dell'art. 63 d.p.r. 3/1957, che veniva parimenti impugnato davanti al Tribunale di Napoli, con processo, quest'ultimo, poi sospeso in attesa della decisione pregiudiziale della presente causa.

3. Dal punto di vista normativo, in senso cronologico, viene in evidenza l'art. 3, co. 2, R.D.L. 1578/1933 di disciplina dell'Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore, secondo cui l'esercizio di tali professioni è incompatibile con qualunque impiego od ufficio retribuito con stipendio sul bilancio dello Stato, delle Provincie, dei Comuni e in generale di qualsiasi altra Amministrazione o Istituzione pubblica soggetta a tutela e vigilanza dello Stato, delle Provincie e dei Comuni», escludendo peraltro dall'incompatibilità (co. 4 lett. a) «i professori e gli assistenti delle Università e degli altri Istituti superiori ed i professori degli Istituti secondari». 5 R. G. n. 4123/2019 L'art. 60 d.p.r. 3/1957, dal proprio versante, stabilì che «l'impiegato non può esercitare alcuna professione» ed il successivo art. 63 ha regolato l'ipotesi -> come ragione di decadenza dall'impiego, previa diffida. Nel vigore dell'art. 58 d. lgs. 29/1993 (poi trasfuso nell'art. 53 d. lgs. 165/2001) che, nel fornire la prima disciplina organica dell'impiego pubblico privatizzato, fece richiamo espresso al citato art. 60 e seguenti, la L. 662/1996, co. 1, escluse l'applicazione delle norme «che vietano l'iscrizione in albi professionali ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni» in regime di part time c.d. ridotto. È quindi sopravvenuta la L. 339/2003, contenente «norme in materia di incompatibilità dell'esercizio della

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