Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 23/07/2004, n. 13887

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L'art. 2087 cod. civ. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Pertanto, ai fini dell'accertamento della responsabilità del datore di lavoro, grava sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, la mancata adozione di determinate misure di sicurezza specifiche o generiche, e il nesso causale tra questi due elementi. Quando il lavoratore abbia provato tali circostanze grava sul datore di lavoro l'onere di dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 23/07/2004, n. 13887
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 13887
Data del deposito : 23 luglio 2004
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. C S - Presidente -
Dott. P D V M - Consigliere -
Dott. C G - Consigliere -
Dott. DE M A - rel. Consigliere -
Dott. C F - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RETE FERROVIARIA ITALIANA SPA - (già FERROVIE DELO STATO SOCIETÀ DI TRASPORTI E SERVIZI EP AZIONI), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA GIROLAMO DA CARPI

6, presso lo studio dell'avvocato F T, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;



- ricorrente -


contro
G R, elettivamente domiciliato in

ROMA VLE G MAZZINI

112, presso lo studio dell'avvocato F C, rappresentato e difeso dall'avvocato A M L, giusta delega in atti;



- controricorrente -


avverso la sentenza n. 21/01 del Tribunale di PAOLA, depositata il 21/03/01 - R.G.N. 997/99;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 29/01/04 dal Consigliere Dott. A d M;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. S F che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL POCESSO
Il Sig. G Roberto ha chiesto al giudice del lavoro di Paola la condanna delle Ferrovie dello Stato a pagargli il risarcimento del danno biologico, quantificato in L. 99 milioni, per l'infortunio sul lavoro avvenuto il 7 settembre 1989 nell'espletamento delle sue mansioni di capotreno (nello scendere da una vettura ferroviaria, poneva il piede sul terreno sconnesso, subendo lesioni con postumi permanenti).
Il Pretore, ordinata l'integrazione del contraddittorio nei confronti dell'Inail, poi estromesso dal giudizio per difetto di legittimazione passiva, con sentenza del novembre 1998 ha accolto la domanda, condannando le Ferrovie dello Stato a pagare al ricorrente L. 50 milioni a titolo di danno biologico, per la lesione della integrità psicofisica accertata dal ctu nel 20%.
L'appello delle Ferrovie dello Stato è stato respinto dal Tribunale di Paola con sentenza 21/26 marzo 2001 n. 21. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., con tre motivi, illustrati da memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.. L'intimato si è costituito con controricorso, resistendo. MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 11 Legge 6 ottobre 1981, n. 564 e del d.m. 2 luglio 1983 (art. 360, n. 3 c.p.c.), richiamata ampiamente l'articolata normativa sull'equo indennizzo, sulla tutela degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, e sul danno biologico, sostiene che l'equo indennizzo è compatibile, e quindi cumulabile, con le prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, mentre è incompatibile con il danno biologico, perché il rischio garantito dalla disciplina relativa all'equo indennizzo è proprio la lesione all'integrità fisica del prestatore di lavoro, che coincide con il danno biologico.
Secondo la società ricorrente, le prime due tutele (equo indennizzo e infortuni sul lavoro o malattie professionali) coprivano tutti i danni - patrimoniali e non patrimoniali (compreso il danno biologico o danno alla salute) - che potevano essere sofferti a causa dell'adempimento delle prestazioni lavorative.
Conclude che la disciplina dell'equo indennizzo si poneva all'epoca dei fatti in rapporto di specialità rispetto all'art. 2087 cod. civ., con la conseguenza che i beneficiari di tali tutele potevano
ottenere il ristoro del pregiudizio alla salute solo con le peculiari (e più vantaggiose sul piano probatorio) forme previste dal d.m. 2 luglio 1983, e solo in tali limiti.
In subordine, anche a ritenere ammissibile una domanda di risarcimento del danno biologico ai sensi dell'art. 2087 cod. civ., lamenta che il Giudice di secondo grado ha omesso di considerare, ai fini della quantificazione del risarcimento dovuto al lavoratore infortunato, quanto il medesimo avrebbe conseguito se avesse proposto la domanda per il riconoscimento della causa di servizio. Il motivo contiene due distinte doglianze: a) quella relativa alla natura, e pretesa coincidenza, del danno biologico e dell'equo indennizzo;
b) l'omessa detrazione di quanto il G avrebbe conseguito se avesse proposto la domanda per il riconoscimento della causa di servizio. Poiché è pacifico in causa che il G nulla ha percepito a titolo di equo indennizzo (peraltro a carico del medesimo datore di lavoro), e poiché non viene dedotta alcuna colpa emissiva nel non avere intentato la relativa azione, la questione sub b) sembrerebbe assorbire quella sub a), rendendola irrilevante. Viceversa, poiché tesi principale della ricorrente (rispetto alla quale quella sub b) è proposta come subordinata) è che la disciplina dell'equo indennizzo, in quanto speciale, esclude quella del danno biologico (sicché il fatto di non avere nulla percepito a titolo di equo indennizzo non legittimerebbe l'attore a richiedere il danno biologico), occorre prendere posizione su tale assunto. L'equo indennizzo è definito, dall'art. 68, comma 7, del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, che lo ha introdotto per gli impiegati civili
dello Stato, come indennizzo per la perdita della integrità fisica eventualmente subita dall'impiegato, quale conseguenza di infermità riconosciuta dipendente da causa di servizio;
dall'art. 48, D.P.R., 3 maggio 1957, n. 686 (regolamento di attuazione del D.P.R. 3/1957),
come menomazione dell'integrità fisica ascrivibile ad una delle categorie di cui alle tabelle A e B annesse alla legge 10 agosto 1950, n. 648. Tale definizione è riduttiva. In realtà, come risulta proprio dalle tabelle allegate alla l. 648/1950, esso tutela l'integrità psicofisica, anche nei riflessi relazionali. Infatti le tabelle A e B comprendono menomazioni anche di carattere psichico (tab. A Prima categoria: voce n. 7: Tutte le alterazioni delle facoltà mentali (schizofrenia e sindromi schizofreniche, demenza paralitica, demenze traumatiche, demenza epilettica, distimie gravi, ecc.), che rendano l'individuo incapace a qualsiasi attività.

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