Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 13/12/2005, n. 27428

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Una volta osservato il termine previsto dall'art. 6 della legge n. 604 del 1966 con l'impugnazione stragiudiziale del licenziamento, la successiva azione giudiziale di annullamento del licenziamento illegittimo può essere proposta nel termine quinquennale di prescrizione di cui all'art. 1442 cod. civ., senza che tale termine possa restare idoneamente interrotto dal compimento di una diversa attività, come nel caso in cui, nel corso del suddetto termine, sia intervenuta la costituzione di P.C. del datore di lavoro nel processo penale instaurato nei confronti del lavoratore, siccome l'azione risarcitoria fatta valere in sede penale non equivale alla predetta azione di annullamento, differenziandosene sia con riguardo al "petitum" che alla "causa petendi".

Il giudice di merito, nell'esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, non è condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte ed ha il potere-dovere di accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non solo dal tenore letterale degli atti, ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla parte nonché dal provvedimento concreto dalla stessa richiesto.

Sul provvedimento

Citazione :
Cass. civ., sez. IV lav., sentenza 13/12/2005, n. 27428
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 27428
Data del deposito : 13 dicembre 2005
Fonte ufficiale :

Testo completo

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. S G - Presidente -
Dott. M F A - Consigliere -
Dott. D N V - Consigliere -
Dott. DE M A - rel. Consigliere -
Dott. D C V - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

S
sul ricorso proposto da:
D V G elettivamente domiciliato in ROMA VIALE DELLE MEDAGLIE D'ORO 169 presso lo studio dell'avvocato D G U che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato L R, giusta delega in atti;



- ricorrente -


ESSO ITALIANA S.P.A.;



- intimato -


e sul 2^ ricorso n. 30328/2003 proposto da:
ESSO ITALIANA S.R.L. in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA VIA DEI DUE MACELLI

66, presso lo studio LOVELLS rappresentato e difeso dagli avvocati P R, G P Z giusta delega in atti;

- controricorrente e ricorrente incidentale -
e contro
D V G;



- intimato -


avverso la sentenza n. 114/2003 della Corte d'Appello di CATANIA, emessa il 27/02/2003 r.g.n. 1298/2000;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 20/10/2005 dal Consigliere Dott. V D C;

udito l'Avvocato R e D G;

udito l'Avvocato ROMANO PIETRO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA

Pietro che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbito l'incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 19 dicembre 1997 G D V impugnava il licenziamento intimatogli con lettera del 10 gennaio 1984 dalla s.p.a. Esso Italiana e chiedeva la reintegrazione nel
posto di lavoro. Deduceva in particolare che il licenziamento era stato intimato in base a una serie di addebiti per i quali aveva subito anche un procedimento penale che si era concluso con sentenza della Corte di Cassazione in data 10 novembre 1995 che aveva applicato l'amnistia.
La società convenuta si costituiva in giudizio eccependo, in particolare, la mancanza di impugnativa del licenziamento nel termine di decadenza di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 6, nonché la prescrizione dell'azione di annullamento del licenziamento di cui all'art. 1442 cod. civ.. Con sentenza in data 16 maggio 2000 il Tribunale di Siracusa rigettava la domanda.
La Corte d'Appello di Catania, decidendo sul gravame proposto dal D V, rigettava l'appello.
Sotto un primo profilo riteneva che, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice, fosse infondata l'eccezione, proposta dal datore di lavoro, di tardività dell'impugnazione del licenziamento ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 6, avendo ritenuto che, trattandosi di impugnativa a mezzo telegramma, la prova potesse della provenienza del documento dal lavoratore potesse ritenersi raggiunta. Sotto un secondo profilo riteneva fondata l'eccezione di prescrizione formulata dalla società datrice di lavoro. Osservava, infatti, che l'azione diretta ad invalidare un licenziamento privo di giusta causa o di giustificato motivo è azione di annullamento che deve essere proposta entro il termine quinquennale di prescrizione e non già azione di nullità come sostenuto dal lavoratore. Aggiungeva che il termine di prescrizione quinquennale previsto dall'art. 1442 cod. civ. può essere interrotto solo dall'esercizio della prevista azione giudiziale essendo irrilevante il compimento di qualsiasi altra attività. In particolare non poteva essere considerata idonea per la suddetta interruzione la costituzione di parte civile della società datrice di lavoro nel giudizio penale instauratosi nei confronti del lavoratore per i fatti posti a base del provvedimento di licenziamento, Non poteva inoltre rilevare, ai fini della decorrenza della prescrizione, la pendenza del procedimento penale, ed il fatto che, attesa la vigenza del vecchio codice di procedura penale, il procedimento civile avrebbe dovuto essere necessariamente sospeso in attesa della definizione del giudizio penale, atteso che nella specie il giudizio civile non era stato ancora instaurato.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso G D V affidato a due motivi. Resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi la s.r.l. Esso Italiana.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei ricorsi. Col primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 416 cod. proc. civ. nonché vizio di motivazione con riferimento al capo della sentenza che pur avendo ritenuto infondata l'eccezione di tardività dell'impugnazione del licenziamento proposta da controparte ha tuttavia ritenuto ammissibile tale eccezione disattendendo sul punto la tesi proposta dal lavoratore.
Col secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2934 cod. civ. e seguenti nonché vizio della motivazione in relazione al capo della sentenza che ha accolto l'eccezione di prescrizione sollevata dal datore di lavoro avendo ritenuto irrilevante i diversi atti interrottivi infraquinquennali, costituiti da telegrammi inviati dal lavoratore. Sotto un primo profilo deduce la violazione degli artt. 1442 e 1422 cod. civ. nonché erroneità della qualificazione dell'azione. La Corte di merito, ad avviso del ricorrente, non avrebbe adeguatamente motivato sulle ragioni della ritenuta sussistenza di un'azione di annullamento e non già di un'azione di nullità, come tale imprescrittibile. La domanda era stata infatti formulata anche in termini di nullità del licenziamento per inesistenza di fatti contestati al lavoratore. Sotto ulteriore profilo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 2942 e 2943 cod. civ. in relazione al capo della sentenza che ha
ritenuto che l'impugnazione del licenziamento non sia suscettibile di interruzione. Contesta altresì l'affermazione secondo cui la costituzione di parte civile della società datrice di lavoro non sarebbe idonea ad interrompere la prescrizione osservando che l'azione risarcitoria fatta valere in sede penale e l'azione di impugnazione del licenziamento si distinguono tra loro per il petitum ma hanno ad oggetto gli stessi fatti, per cui sarebbe stato comunque necessaria, tenuto conto dell'applicabilità alla fattispecie dell'art. 3 del vecchio codice di procedura penale fondato sul principio della unità della giurisdizione, la sospensione del giudizio civile.
Col primo motivo di ricorso incidentale condizionato la società datrice di lavoro deduce la violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ. e vizio di motivazione con riferimento al capo della sentenza
impugnata che ha ritenuto provata la ricezione del telegramma di impugnazione del licenziamento. Deduce in particolare che gli elementi presuntivi utilizzati dalla Corte di merito non soddisfano i requisiti di precisione, gravità e concordanza dettati dall'art. 2729 cit..
Col secondo motivo di ricorso incidentale viene denunciato il vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia nella parte in cui la sentenza impugnata ha omesso di rilevare la mancata impugnazione, da parte dell'appellante, dell'affermazione del primo giudice secondo cui incombeva sul lavoratore l'onere di provare la consegna del telegramma o la provenienza dello stesso. Il giudice dell'appello avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il gravame in quanto non era stata impugnata una delle due motivazioni che da sola avrebbe autonomamente giustificato il rigetto della domanda. In ordine logico deve essere esaminato in primo luogo il secondo motivo del ricorso principale.
Per quanto concerne la denunciata erroneità della sentenza nella parte in cui ha qualificato la domanda proposta come di annullamento ed ha pertanto applicato la prescrizione quinquennale ai sensi dell'art. 1442 cod. civ., erroneità che deriverebbe dalla mancata considerazione della tesi, ritualmente prospettata nel giudizio d'appello, secondo cui il licenziamento disciplinare de quo sarebbe nullo in quanto intimato dal datore di lavoro in carenza del relativo potere, attesa la mancanza di fatti imputabili al lavoratore, deve osservarsi in punto di fatto che, come si evince dalla sentenza impugnata, l'azione proposta dal D V era finalizzata alla reintegrazione nel posto di lavoro e quindi all'applicazione della disciplina di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18. Secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte (cfr., da ultimo, Cass. 29 aprile 2004 n. 8225;
Cass. 28 agosto 2004 n. 17250) il giudice del merito, nell'esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, non è condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte ed ha il potere-dovere di accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non solo dal tenore letterale degli atti, ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla parte nonché dal provvedimento concreto dalla stessa richiesto. Nella fattispecie in esame la Corte ha correttamente qualificato la domanda come azione di annullamento. Infatti l'allegata insussistenza dei fatti posti alla base del licenziamento in esame integra una fattispecie tipica di licenziamento annullabile per mancanza di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo e non già, come erroneamente sostiene parte ricorrente, un'ipotesi di nullità per carenza di potere. La Corte territoriale ha correttamente ed adeguatamente motivato sul punto avendo osservato che l'iter argomentativo seguito dal ricorrente, fondato sulla dimostrazione dell'insussistenza dei presupposti per l'esercizio del potere disciplinare esercitato dal datore di lavoro non muta la natura dell'azione esperita che costituisce non già azione di nullità bensì azione di annullamento che, come tale, deve essere proposta entro il termine quinquennale di prescrizione di cui all'art. 1442 cod. civ.. Anche tale ultima statuizione è conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, una volta osservato il termine previsto della L. n. 604 del 1966, art. 6, con l'impugnazione stragiudiziale del licenziamento, la successiva azione giudiziale di annullamento del licenziamento illegittimo può essere proposta nel termine quinquennale di prescrizione di cui all'art. 1442 cod. civ. (Cass. 13 settembre 1993 n. 9502). Le ulteriori censure contenute nel motivo di ricorso devono ritenersi prive di pregio. In primo luogo deve ritenersi del tutto corretta l'affermazione della Corte di merito secondo cui il termine di prescrizione quinquennale di cui alla norma da ultimo citata può essere interrotto soltanto dall'esercizio dell'azione giudiziale di annullamento. L'azione di annullamento del licenziamento, come tutte le azioni costitutive, è infatti da riportare sotto la più ampia categoria dei diritti potestativi, caratterizzati dalla situazione di soggezione, anziché d'obbligo, in cui versa il soggetto passivo - vale a dire dall'irrilevanza di ogni suo comportamento ai fini della realizzazione del diritto rimessa solo all'attività del titolare - con la conseguenza che rispetto ad essa è esclusa la possibilità di atti interruttivi, sia perché solo l'attività di realizzazione da parte del titolare produce l'estinzione satisfattiva dello stesso, sia per la detta irrilevanza di ogni attività del soggetto passivo, che rende inconcepibile un atto di intimazione contro di lui;
atto di intimazione che, ai sensi dell'art. 2943 cod. civ., comma 4, interrompe infatti la prescrizione dei soli diritti di credito (cfr. Cass. 13 settembre 1993 n. 9502 sopra citata). Altrettanto corretta deve ritenersi la decisione della Corte di merito nella parte in cui ha ritenuto che la costituzione di parte civile della società datrice di lavoro nel processo penale instaurato nei confronti del lavoratore non fosse idonea ad interrompere la prescrizione. Infatti se, come prima rilevato, il termine di prescrizione quinquennale de quo può essere interrotto soltanto dall'esercizio dell'azione giudiziale di annullamento, è evidente che l'azione risarcitoria fatta valere in sede penale non equivale alla suddetta azione di annullamento differendone sia per petitum che per causa petendi. Come correttamente osservato dalla Corte territoriale l'azione civile esercitata nel procedimento penale attiene soltanto alle restituzioni ed al risarcimento del danno e pertanto è del tutto distinta dall'azione di annullamento del licenziamento che ha presupposti e contenuti affatto diversi. Nè giova, infine, alla tesi del ricorrente il rilievo che, avendo le due azioni ad oggetto gli stessi fatti, tenuto conto dell'applicabilità alla fattispecie dell'art. 3 del vecchio codice di procedura penale fondato sul principio della unità della giurisdizione, ricorrevano nella specie gli estremi per la sospensione necessaria del giudizio civile. Contrariamente a quanto assume il ricorrente deve infatti ritenersi che, come affermato dalla Corte di merito, la sospensione presuppone un giudizio già iniziato e non rileva pertanto ai fini della sussistenza di una moratoria dell'azione di annullamento del licenziamento.
In relazione al motivo accolto deve ritenersi assorbito il primo motivo con la conseguenza che l'intero ricorso principale deve essere rigettato.
Al rigetto del ricorso principale consegue l'assorbimento del ricorso incidentale condizionato.
In applicazione del criterio della soccombenza il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come in dispositivo.

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