Cass. pen., sez. III, sentenza 26/10/2020, n. 29574

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Sul provvedimento

Citazione :
Cass. pen., sez. III, sentenza 26/10/2020, n. 29574
Giurisdizione : Corte di Cassazione
Numero : 29574
Data del deposito : 26 ottobre 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

to la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: RN 3O RE, nato in [...] il [...] avverso l'ordinanza del 07/11/2019 del Tribunale di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonella Di Stasi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gianluigi Pratola, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 07/11/2019, il Tribunale di Catania rigettava l'istanza di riesame, proposta nell'interesse di RN JO RE, avverso l'ordinanza del 01/10/2019 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania, con la quale era stata applicata al predetto la misura cautelare della custodia in carcere perché gravemente indiziato in relazione ai reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309/1990 (capi a-b dell'imputazione provvisoria). Come precisato dal Collegio cautelare, l'ordinanza cautelare costituiva il risultato di complessa attività investigativa condotta, a partire dal novembre 2017, dal personale del Commissariato di P.S. di Librino e dalla Squadra Mobile di Catania ed avente ad oggetto una piazza di spaccio, ubicata nel quartiere popolare catanese di Librino, al civico 7 di viale San Teodoro, nota come "due torri", ritenuta di pertinenza della famiglia mafiosa Arena. L'attività di osservazione aveva consentito di appurare come sotto i portici di viale San Teodoro n.7 venisse realizzata, in forma associata, un'attività di spaccio di sostanze stupefacenti del tipo cocaina e marijuana: le cessioni venivano svolte in due turni orari, con la presenza, per ciascun turno, di due vedette poste alla sorveglianza dei due accessi al Viale San Teodoro, un pusher ed un responsabile, deputato agli approvvigionamenti ed alla custodia degli incassi;
per celare l'attività di spaccio erano state edificare vere e proprie opere murarie e a protezione della vedetta posta a controllo dell'acceso stradale era stata collocata una pensilina;
venivano individuati uno scantinato, ubicato nel sotterraneo del civico 7 (nel cui pavimento, celati in una botola in ferro, veniva rinvenuti e sequestrati grammi 917 di marijuana, in gran parte confezionata in dosi singole) ed un sottotetto, chiuso da una porta in ferro con lucchetto (nel quale veniva rinvenuta una valigia contenente circa otto chilogrammi e mezzo di marjuana, una bilancia e due manoscritti con indicazione di numeri e cifre), ove venivano custodite le provviste di droga da consegnare ai pusher.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione RN JO RE, a mezzo del difensore di fiducia, articolando due motivi di seguito enunciati. Con il primo motivo deduce erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 273 cod.proc.pen. e 74 d.P.R. n. 309/1990. Argomenta che il Tribunale aveva erroneamente desunto la gravità indiziaria per il reato associativo contestato dalla mera presenza del ricorrente presso la presunta piazza di spaccio in Viale San Teodoro, in contrasto con l'indirizzo giurisprudenziale di legittimità che afferma l'essenzialità della dimostrazione in capo al presunto sodale della conoscenza dell'associazione e della cosciente e volontaria appartenenza di questi al sodalizio criminoso finalizzato allo spaccio di sostanze stupefacenti. Con il secondo motivo deduce erronea applicazione degli artt. 274, comma 1, lett. c) e 275 cod.proc.pen. e correlato vizio di motivazione. Argomenta che il Tribunale aveva individuato i precedenti penali del ricorrente, quali elementi corroboranti il persistere del pericolo di reiterazione della condotta criminosa, senza, però, argomentare sulla professionalità acquisita e, quindi, sulla sua pericolosità;
inoltre, quanto alla scelta della misura, il Tribunale aveva espresso una motivazione illogica, in quanto, contrariamente a quanto ritenuto, gli arresti domiciliari erano idonei a salvaguardare le esigenze cautelari, non potendo il ricorrente svolgere in ambito domestico il ruolo attribuitogli nel Chiede, pertanto, l'annullamento della ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

1.1. Va premesso che la giurisprudenza di questa Corte si è da tempo consolidata nell'affermare che in tema di misure cautelari personali, per gravi indizi di colpevolezza ai sensi dell'art. 273 cod.proc.pen., devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa che - contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova - non valgono, di per sè, a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell'indagato e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza. (Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, Costantino ed altro, Rv. 202002). La valutazione allo stato degli atti in ordine alla "colpevolezza" dell'indagato, per essere idonea ad integrare il presupposto per l'adozione di un provvedimento de libertate, deve, quindi, condurre non all'unica ricostruzione dei fatti che induca, al

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