Cass. civ., sez. III, sentenza 26/03/2004, n. 6051
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Ai sensi dell'art. 37, primo comma, del d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 (Regolamento di polizia mortuaria) deve ritenersi legittimo il riscontro diagnostico a mezzo di autopsia disposto autonomamente dall'autorità sanitaria , con salvezza dei poteri dell'autorità giudiziaria, tutte le volte in cui la morte sopraggiunga in soggetti che, ancorché non si trovino ancora materialmente inseriti nella struttura ospedaliera, risultino, comunque, ad essa già affidati, perché ne ricevono di fatto l'assistenza, che viene loro prestata dai presidi sanitari agenti all'esterno sul territorio. (Nel caso di specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittima l'autopsia disposta dai medici ospedalieri per una donna deceduta mentre si era già affidata alle cure della guardia medica esterna all'ospedale, non rilevando se essa fosse sopraggiunta mentre la donna si trovava ancora presso la sua abitazione o quando era già stata collocata in ambulanza per il ricovero in ospedale).
Ai fini della sussistenza dell'elemento psicologico del delitto di omissione di referto (art. 365 cod. pen.), che è reato di pericolo e non di danno, occorre, oltre alla coscienza e volontà di omettere o ritardare il referto da parte dell'esercente la professione sanitaria, che questi si trovi in presenza di fatti i quali presentino i caratteri di un delitto perseguibile d'ufficio; per verificare la configurabilità di tale reato, e della responsabilità anche civile che ne discende a carico del sanitario, occorre che il giudice accerti (come affermato dalle sezioni penali di questa Corte, tra le altre, con sentenze n. 3447 e 9721 del 1998), con valutazione "ex ante" e tenendo conto delle peculiarità del caso concreto, se il sanitario abbia avuto conoscenza di elementi di fatto dai quali desumere, in termini di astratta possibilità, la configurabilità di un delitto perseguibile d'ufficio, ed abbia avuto la coscienza e la volontà di omettere o ritardare il referto, rimanendo esclusa la configurabilità del dolo qualora dalle circostanze del caso concreto cui egli si trovi di fronte emerga la ragionevole probabilità che l'accadimento si sia verificato per cause naturali o accidentali.(Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità del sanitario che non aveva sospeso l'autopsia per dare immediata notizia all'autorità giudiziaria , in quanto dalle circostanze di fatto non erano emersi elementi atti a far ritenere che la morte della paziente non fosse dovuta a cause naturali).
Sul provvedimento
Testo completo
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NICASTRO AN - Presidente -
Dott. VITTORIA LO - Consigliere -
Dott. PERCONTE LICATESE Renato - Consigliere -
Dott. PURCARO Italo - Consigliere -
Dott. TRIFONE Francesco - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RO NC difensore di se stesso, elettivamente domiciliato in ROMA VIA SARDEGNA 50, presso lo studio dell'avvocato FRANCO CAMPIONE, che lo difende giusta procura speciale per AR AN RE di Verbania del 16/06/03 rep. n. 10772;
- ricorrente -
contro
SS PA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio dell'avvocato GERARDO VESCI, che lo difende anche disgiuntamente all'avvocato MARIO BASSI, giusta delega in atti;
- controricorrente -
e contro
USSL/14 GIÀ USL/55 ASL/14 VCO OMEGNA;
- intimata -
avverso la sentenza n. 1247/99 della Corte d'Appello di TORINO, Sezione 3^ Civile, emessa il 04/06/99 e depositata il 22/09/99 (R.G. 977/97);
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/11/03 dal Consigliere Dott. Francesco TRIFONE;
udito l'Avvocato Franco CAMPIONE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione innanzi al tribunale di Verbania del 5 aprile 1995 CA TR conveniva in giudizio LO AS e la U.S.S.L. n. 15 di Omegna per ottenerne la condanna in solido al risarcimento dei danni, che, secondo quantificazione di cui alle conclusioni, reclamava nella misura di seicento milioni di lire, oltre interessi e rivalutazione.
Con il medesimo atto introduttivo del giudizio l'attore aveva convenuto in giudizio anche EN AN, questi pure perché fosse condannato, unitamente alla predetta U.S.S.L., a risarcirgli danni in eguale aggiuntiva misura.
A sostegno delle sue pretese per danni, che assumeva di avere riportato in proprio e quale erede della consorte LU OR, esponeva che CO era deceduta per crisi asmatica a seguito dell'errato trattamento farmacologico praticatogli dal medico EN AN e che il medico LO AS aveva proceduto a riscontro diagnostico sul cadavere al di fuori dei casi consentiti, effettuando l'indagine autoptica in violazione delle norme del codice penale e di quelle dettate in tema di polizia mortuaria.
Il tribunale adito, con sentenza pubblicata il 15 maggio 1997, rigettava le domande dell'attore e quella riconvenzionale di EN AN e condannava CA TR alle spese. Il rigetto della domanda nei confronti di LO AS era motivato dalle seguenti considerazioni:
a) la pretesa al risarcimento dei danni materiali per il pregiudizio all'integrità fisica della consorte, avanzata dall'attore nella qualità di erede, non era fondata, perché il lamentato espianto d'organi era avvenuto sul cadavere;
b) la pretesa al risarcimento del danno patrimoniale e di quello biologico (astrattamente ipotizzabile, ma non allegato) doveva essere respinta per difetto di prova;
c) la pretesa al risarcimento del danno morale (essa pure astrattamente ipotizzatale, siccome correlata alla denunciata illiceità penale della condotta del medico, e suscettibile di valutazione nella sede civile, ai sensi dell'art. 2059 cod. civ., dato che in quella penale non si era formato il giudicato) neppure poteva essere accolta, perché la condotta del medico convenuto non aveva realizzato ne' la fattispecie del delitto di vilipendio di cadavere (art. 410 cod. pen.), ne' quella del delitto di distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere (art. 411 cod. pen.);
d) pur non potendosi escludere l'eventuale violazione di prescrizioni del regolamento di polizia mortuaria approvato con il D.P.R. n. 285 del 1990, trattandosi, in ogni caso, di violazioni d'ordine
amministrativo prive di implicazioni di rilevanza penale e di conseguenze sul correlato profilo risarcitorio ai sensi dell'art. 2059 cod. civ., la relativa cognizione non spettava al giudice.
Sull'impugnazione principale di CA TR e su quella incidentale sulle spese di LO AS e della U.S.S.L. decideva la Corte d'appello di Torino con sentenza pubblicata il 22 settembre 1999, la quale, in parziale accoglimento dell'appello principale compensava interamente tra le parti le spese del giudizio di primo grado;
rigettava l'appello incidentale e, nel resto, l'appello principale;
compensava interamente tra le parti le spese del giudizio di gravame.
I giudici d'appello, ai fini che ancora interessano, consideravano, anzitutto, che la decisione di primo grado circa la esclusione degli estremi di reato o di altre violazioni produttive di danni risarcibili, era corretta e fondata, ma che l'impianto motivazionale doveva essere in parte rivisitato e modificato.
Esaminando, in primo luogo, l'addebito che l'appellante riproponeva circa la commissione da parte del AS del reato di omissione di referto e della violazione della norma di cui all'art. 39, 3^ comma, D.P.R. 285/1990 (addebito del quale il giudice di primo grado non
aveva tenuto conto), i giudici d'appello ne negavano la fondatezza per l'insussistenza dell'elemento oggettivo dell'illecito. Confermavano, poi, che non sussisteva la denunciata violazione dell'art. 4, 5^ comma, del D.P.R. 285/1990, nonostante che le operazioni di riscontro diagnostico fossero iniziate solo dopo trentadue ore dalla morte della OR.
Escludevano, inoltre, che l'autopsia fosse stata eseguita al di fuori delle previste ipotesi di cui all'art. 37 del D.P.R. 285/1990, spiegando, in particolare, che mancava la prova che la donna fosse deceduta nella sua abitazione e non invece nell'autoambulanza, mentre veniva trasferita in ospedale ed osservando, comunque, che, anche se la morte fosse avvenuta nell'abitazione, quivi la donna doveva già considerarsi assistita dalla guardia medica esterna dell'ospedale. Non ravvisavano, altresì, nella condotta del AS gli estremi del delitto di cui all'art. 413 cod. pen., dato che la norma penale vieta le mutuazioni e le dissezioni non necessarie all'accertamento delle cause della morte.
Circa la lamentata dispersione di organi ed annessi, ritenevano che, comunque, non era stata offerta la prova della volontarietà della dispersione stessa da parte del medico operatore.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso OV TR, che affida l'impugnazione a dieci mezzi di doglianza, secondo la analitica indicazione delle questioni che il ricorrente riassume nella parte conclusiva del ricorso.
Resiste con controricorso LO AS, il quale, preliminarmente, eccepisce l'inammissibilità dell'impugnazione, sia perché il ricorso non consentirebbe la pronta e compiuta identificazione delle questioni da risolvere, sia perché sostanzialmente si richiederebbe a questo giudice di legittimità il riesame del merito della controversia.
Non ha svolto difese la U.S.S.L. n. 14 (già U.S.L. n. 55). Il ricorrente ha presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Osserva, anzitutto, questa Corte che l'eccezione di inammissibilità dell'impugnazione, proposta sul riflesso che il ricorso non consentirebbe la pronta e compiuta identificazione delle questioni dedotte, non è fondata.
Premesso, infatti, che, a mente dell'art. 366, n. 4, cod. proc. civ., i motivi posti a fondamento dell'invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa e debbono essere esposti con argomentazioni intelligibili ed idonee ad identificare le censure avanzate ed il loro contenuto critico, occorre rilevare che, nella specie, il ricorso, dopo la compiuta esposizione dei fatti di causa e la precisa indicazione di tutte le ragioni, in fatto ed in diritto, dedotte dal ricorrente a sostegno della impugnazione, riassume alla fine, nelle pagine da 104 a 108, in otto specifici punti le doglianze mosse alle questioni affrontate dal giudice d'appello e, nelle pagine da 108 a 110, nei punti segnati ulteriormente con i numeri 9 e 10, indica la natura e l'entità dei danni, che gli sarebbero derivati dal denunciato comportamento dei soggetti convenuti in giudizio, aggiungendo, alla fine, alle pagine 110 e 111, che all'accoglimento dell'impugnazione per cassazione deve seguire la condanna del resistente alle spese dei tre gradi del giudizio ovvero, in caso di sua soccombenza, la totale compensazione anche delle spese del giudizio di legittimità.
Questo giudice di legittimità, pertanto, è bene in grado di valutare la portata esatta del mezzo d'impugnazione e di intendere con assoluta compiutezza le critiche, che il ricorrente muove alla sentenza di merito, tanto che, nell'esame analitico che di seguito dovrà farne, seguirà appunto l'ordine delle questioni che è stato indicato nel ricorso, quello stesso ordine che è stato dato dal resistente nel controricorso per esporre le sue difese. Con il primo motivo d'impugnazione - deducendo la violazione delle norme in tema di polizia mortuaria di cui al D.P.R. n. 285 del 1990 ed il vizio di motivazione sul punto - il ricorrente denuncia che la richiesta di riscontro diagnostico sul cadavere del coniuge sarebbe stata illegittima perché formulata al di fuori delle precise e tassative ipotesi per le quali eccezionalmente essa è ammessa. In particolare, nella premessa dell'accertato decesso della congiunta prima che la stessa fosse giunta in ospedale, il ricorrente denuncia che la violazione della norma di cui all'art. 37 del suddetto regolamento di polizia