Cass. civ., sez. V trib., sentenza 27/03/2019, n. 8514
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L'affidamento del contribuente di fronte al mutamento di indirizzo interpretativo dell'Amministrazione finanziaria deve essere valutato avendo riguardo all'inderogabilità delle norme tributarie ed all'indisponibilità della relativa obbligazione, alla vincolatività della funzione impositiva ed all'irrinunciabilità del diritto da parte del Fisco, sicché l'eventuale violazione del principio di buona fede nello svolgimento dell'attività amministrativa non obbliga l'Amministrazione ad emanare un provvedimento "contra legem" per il solo fatto che, nella fase istruttoria, abbia erroneamente valutato la disciplina applicabile.
Massima tratta dal CED della Cassazione
Sul provvedimento
Testo completo
1. La Banca F. S.p.A. ricorre con nove motivi avverso l'Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 249/38/11 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sezione n. 38, emessa il 13 aprile 2011, depositata l'8 giugno 2011 e non notificata, che, in controversia relativa all'impugnativa del silenzio rifiuto dell'istanza di rimborso di Irpeg ed Ilor per l'anno 1996, versate sugli interessi corrisposti L. n. 313 del 1993, ex art. 1, ritenuti non imponibili dalla contribuente, ha accolto l'appello dell'Ufficio.
2. Con la sentenza impugnata la C.T.R. del Lazio, contrariamente alla C.T.P. di Roma, che aveva accolto il ricorso della banca sul presupposto della non imponibilità degli interessi di cui alla L. n. 313 del 1993, riteneva invece che tali interessi non godessero di alcuna specifica disciplina agevolativa, fossero diversi dagli interessi previsti dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 31 (che originano da investimenti in titoli di Stato e sono esenti da imposta), fossero, quindi, assoggettati al regime di tassazione ordinaria, in forza del divieto di estensione analogica in tema di agevolazioni ed esenzioni fiscali.
3. La società ricorrente censura la sentenza della C.T.R. lamentando plurime violazioni di legge. In particolare, deduce l'inammissibilità dell'appello per aver censurato solo una delle due autonome rationes decidendi della sentenza di primo grado, nonchè la sostanziale equiparazione degli interessi di cui alla L. n. 313 del 1993, art. 1, che avrebbero natura corrispettiva, e quelli di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 31, con la conseguente applicabilità del regime di esenzione ad entrambi.
4. A seguito del ricorso, l'Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
5. La banca ricorrente ha depositato memorie.
Motivi della decisione
1.1. Con il primo motivo, la ricorrente censura, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), la nullità dell'impugnata sentenza per omessa pronuncia sull'eccezione d'inammissibilità dell'appello, sollevata dalla Banca F. S.p.a. nel proprio atto di controdeduzioni nel giudizio d'appello.
Nello specifico, secondo la ricorrente i Giudici di secondo grado avevano omesso del tutto di pronunciarsi sul motivo, proposto dalla Banca F. S.p.a., nel proprio atto di controdeduzioni, relativo all'inammissibilità dell'appello dell'Ufficio derivante dalla circostanza che quest'ultimo si era limitato a censurare soltanto una delle due autonome rationes decidendi, su cui si fondava la sentenza di primo grado.
Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia l'omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, consistente nell'inammissibilità dell'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate, per omessa impugnazione di tutte le rationes decidendi, poste a fondamento della sentenza di primo grado.
Con il terzo motivo, la ricorrente denunzia la violazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), dell'art. 329 c.p.c., comma 2, per il mancato rilievo da parte della C.T.R. dell'inammissibilità dell'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate, per omessa impugnazione di tutte le rationes decidendi, poste a fondamento della sentenza di primo grado.
1.2. i motivi sono connessi e vanno esaminati insieme;
il terzo è infondato, con conseguente inammissibilità del primo e del secondo;
1.3. Nella sentenza del giudice di primo grado non vi erano due rationes decidendi da sole idonee a sostenere e giustificare la decisione, ma una sola ratio.
Con la sentenza n. 504/51/09, pronunciata il 14 ottobre 2009 e depositata il 17 dicembre 2009, la Commissione Tributaria Provinciale di Roma accoglieva il ricorso, proposto dalla Banca F., condannando l'Agenzia delle Entrate al rimborso della somma di 3.863.581,89 Euro, oltre interessi, e alla rifusione delle spese processuali. I Giudici di primo grado, infatti, affermavano: "Gli interessi, percepiti relativamente al periodo intercorso tra il termine di scadenza dei titoli ed il termine di prescrizione decennale degli stessi, sono in esenzione di imposta, avendo la stessa natura degli interessi corrisposti sui titoli del debito pubblico, in quanto rappresentano il corrispettivo, che l'emittente paga, a fronte della prolungata disponibilità del capitale. (...) La stessa Agenzia delle Entrate, dopo un iniziale parere favorevole, ha mutato avviso, negando il rimborso richiesto senza motivazione sostanzialmente valida, apparendo, più che altro, un ripensamento dettato dal timore di assumere la responsabilità di rimborsare".
Invero, la C.T.P. di Roma non ha accolto il motivo di ricorso attinente alla violazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, e le ulteriori argomentazioni (sulla assenza di una motivazione valida per il diniego di rimborso) hanno valore meramente rafforzativo dell'unica ratio decidendi (sostanziale equiparabilità degli interessi, che avrebbero natura corrispettiva, ed estensibilità del regime di esenzione), chiaramente espressa nel provvedimento a supporto della decisione adottata.
Di conseguenza, essendo infondato il terzo motivo, sono inammissibili il primo ed il secondo per assoluta carenza di interesse della ricorrente all'impugnazione.
E' appena il caso di osservare che, comunque, il primo motivo sarebbe stato inammissibile, poichè, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, "il vizio di omessa pronuncia è configurabile solo nel caso di mancato esame, da parte della sentenza impugnata, di questioni di merito, e non già nel caso di mancato esame di eccezioni pregiudiziali di rito. Pertanto la sentenza che si assuma avere erroneamente rigettato l'eccezione d'inammissibilità dell'appello non è censurabile in sede di legittimità per violazione dell'art. 112 c.p.c." (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 1701 del 23/01/2009;S.U. n. 15982/01;Cass. n. 3667/06;n. 1701/09;n. 25154/2018).
Inoltre, sotto altro profilo, è stato anche detto che "non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (Nella specie, la S.C. ha ravvisato il rigetto implicito dell'eccezione di inammissibilità dell'appello nella sentenza che aveva valutato nel merito i motivi posti a fondamento del gravame)" (Sez. 5, Ordinanza n. 29191 del 06/12/2017).
Anche il terzo motivo, relativo al vizio di motivazione di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5, sarebbe stato comunque inammissibile, riguardando la motivazione in diritto (nel caso di specie, la motivazione attinente all'ammissibilità dell'appello) e non in fatto.
2.1. Con il quarto motivo, la ricorrente denunzia, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 31, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 6, comma 2, e della L. n. 313 del 1993, art. 1, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
2.2. il motivo è infondato.
2.3. Giova premettere che ai sensi della L. n. 313 del 1993, art. 1, gli interessi maturati a seguito della procedura di ammortamento dei titoli di Stato, in caso di distruzione, smarrimento o furto di questi ultimi, sono dovuti, nella misura legale, qualora sia decorso il termine di prescrizione, senza che il titolo risulti rimborsato, ed il termine per la presentazione della istanza di rimborso decorre dalla intervenuta prescrizione dei titoli e delle cedole. Inoltre, ai sensi dell'art. 2006 c.c., comma 2, chi denuncia all'emittente lo smarrimento o la sottrazione di un titolo al portatore e gliene fornisce la prova, ha diritto alla prestazione del titolo.
Con la sentenza n. 249/38/11, depositata l'8 giugno 2011, la Commissione Tributaria Regionale di Roma accoglieva l'appello dell'Agenzia delle Entrate ritenendo che gli interessi disciplinati dal D.P.R n. 601 del 1973, art. 31, che originano da investimenti di titoli di Stato, fossero diversi da quelli previsti dalla L. n. 313 del 1993, art. 1, che sono dovuti, invece, in base ad una puntuale e precisa previsione di legge e per i quali è previsto un diverso rendimento ed una differente disciplina giuridica. Si tratterebbe, secondo i Giudici di appello, di "fattispecie totalmente distinte: da un lato, i frutti scaturenti dai rimborsi dei titoli smarriti o trafugati, dall'altro, gli interessi direttamente scaturenti dagli investimenti in titoli di Stato." Infatti, "per gli interessi derivanti dalla L. n. 313 del 1993, art. 1, non è stata prevista alcuna disciplina speciale di favore a carattere agevolativo e, pertanto, in forza del divieto di estensione analogica della disciplina tributaria in tema di agevolazioni ed esenzioni fiscali, permane per essi la soggezione al regime giuridico ordinario di tassazione dei redditi di capitale." Secondo la ricorrente, la C.T.R si è limitata, in maniera apodittica, ad affermare la diversità degli interessi disciplinati dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 31, rispetto a quelli previsti dalla L. n. 313 del 1993, art. 1, senza individuare la ratio legis del trattamento fiscale di favore nè i motivi per cui lo stesso non potrebbe applicarsi a caso di specie.
In altri termini, il fatto che il legislatore abbia ritenuto opportuno disciplinare, con la L. n. 313 del 1993, il rimborso dei titoli del debito pubblico, la cui disponibilità viene meno per causa non imputabile alla volontà dell'emittente e del sottoscrittore, ed abbia previsto, quindi, la corresponsione di interessi, nella misura del saggio legale, per il periodo compreso tra il termine di scadenza e quello di prescrizione dei titoli stessi, deve essere valutato come espressione della volontà di continuare a riconoscere ai sottoscrittori un corrispettivo per la disponibilità forzatamente prolungata del capitale iniziale, in favore dell'emittente dei titoli.
Ne conseguirebbe che tali interessi, essendo strettamente e direttamente collegati ai titoli sottratti e costituendo la remunerazione degli stessi, non potrebbero non avere la stessa natura degli interessi corrisposti durante la vita dei titoli di Stato. Pertanto, secondo la ricorrente, gli interessi in questione, corrisposti dal Ministero del Tesoro, in applicazione della L. n. 313 del 1993 sui titoli di Stato sottratti, smarriti o distrutti, calcolati in relazione al periodo intercorrente tra il termine di scadenza ed il termine di prescrizione dei titoli stessi, devono essere considerati anch'essi esenti da imposizione.
Ritiene, invece, il Collegio che la decisione impugnata non sia incorsa nella dedotta violazione di legge.
Invero, gli interessi, che originano da investimenti in titoli di Stato, rappresentano un atto di autonomia privata, si producono, in via predeterminata, per tutta la durata dell'investimento e nella misura stabilita pattiziamente.
Gli interessi previsti dalla L. n. 313 del 1993, art. 1, invece, originano da una puntuale e precisa previsione di legge e per essi non è espressamente previsto un trattamento tributario agevolativo.
Appare evidente che gli interessi previsti dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 31, e quelli previsti dalla L. n. 313 del 1993, art. 1, hanno diversa natura e sono ricollegati al verificarsi di differenti presupposti (gli uni sono collegati al possesso del titolo, sono dovuti nella misura stabilita all'acquisto e decorrono da tale momento alla scadenza, gli altri sono ricollegati alla perdita del titolo, sono dovuti al saggio legale e decorrono dalla scadenza del titolo stesso al termine di prescrizione).
Inoltre, come rilevato dall'Amministrazione, gli interessi legali in questione, non possono considerarsi come un provento, conseguito in sostituzione dei redditi perduti, nè sono sostitutivi di quelli che originariamente dovevano incassarsi alla scadenza;infatti essi si riferiscono ad un periodo diverso e si sommano agli interessi scaturenti dai titoli di Stato, senza sostituirli.
Nel caso di specie, infatti, è pacifico che la banca, dopo il decorso del termine di prescrizione, abbia ricevuto il valore dei titoli e delle cedole, nonchè gli interessi legali di cui alla L. n. 313 del 1993, art. 1, sui quali ha versato le imposte di cui chiede la restituzione.
Detto questo, appare palese come alla categoria di tali interessi non possa in alcun modo estendersi il regime di tassazione più favorevole, di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 31.
Inoltre, deve rilevarsi che i regimi di esenzione ed agevolativi sono norme eccezionali, insuscettibili di applicazione analogica, per cui, nel silenzio del Legislatore, una disciplina tributaria speciale, di carattere agevolativo, non può applicarsi in via analogica o estensiva.
Permane, quindi, per gli interessi legali di cui alla L. n. 313 del 1993, art. 1, la soggezione al regime giuridico ordinario di tassazione dei redditi di capitale.
Alla luce di tali considerazioni, si può affermare il seguente principio di diritto, secondo cui non sono equiparabili gli interessi previsti dalla L. n. 313 del 1993, art. 1, a quelli previsti dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 31, che hanno diversa natura e sono ricollegati al verificarsi di differenti presupposti, nè è possibile l'estensione, agli interessi dovuti ai sensi della L. n. 313 del 1993, art. 1, del regime di esenzione previsto per gli interessi individuati dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 31, che è disciplina di carattere eccezionale.